Category

per secondi

Category

Viva il pollo arrosto!

Questo pollo ha tutta una sua storia che attraversa la rete, ma poi atterra alla Boqueria, una storia che lega la città alla campagna, Barcellona alla sua Catalunya e in particolare alle terre vulcaniche della Garrotxa.

Spesso ho pensato che la vita di città mi va un poco stretta. Da Barcellona l’ho detto tante volte, usciamo con fatica: come se fuori di qui esistesse solo l’aereoporto e un altrove dove atterrare con le valigie cariche e la sensazione di un trasbordo oceanico. In realtà ovviamente non è così, ma per qualche strana ragione faccio fatica ad uscire da questo recinto. Uno dei modi per evadere è risalire almeno un poco la corrente dei prodotti che dalla campagna arrivano in città, una cosa un poco medievale forse, che ha a che fare non a caso con la nascita dei mercati e della vita moderna.

è successo con le uova, è successo con questo pollo che non è un pollo qualsiasi, ma un pollo di razza autoctona locale (penedesenca), tutto nero e fiero, che cresce lento e che perciò, come è successo in tanti processi di industrializzazione del cibo, stava quasi per essere perduto. Nella Garrotxa, al Mas el Cros, hanno puntato su di lui: gli danno spazio, tempo e tutto quello che gli serviva e lo hanno battezzato Rocanegra per mettere insieme il suo colore con l’aspetto di quella terra vulcanica.

Ed io, vestita di inverno, sentendomi un poco Julia Child in versione catalan cuisine, che cosa ci ho fatto con questo pollo tanto speciale?

Riflessioni, dubbi e consulti per poi decidere che il modo migliore per onorarlo era farne pollo arrosto, con calma, con tempo, con tutto quello che serviva per onorarlo a dovere.

Qui sotto trovate il racconto (e la ricetta) di come è andata. Aggiungo solo che con la carcassa (cotta) si può ottenere un brodo saporitissimo, che i fegatini sono diventati un crostino suntuoso e che il collo e la cresta sono in congelatore in attesa della ricetta definitiva (si accettano suggerimenti).

Ingredienti:

1 pollo intero degno di questo nome (eviscerato)
1 testa di aglio
3 limoni non trattati
un mazzo di erbe aromatiche a scelta e a piacere (per noi timo e poco rosmarino)
1/2 bicchiere di vino bianco (o anche di vino moscato)
olio extravergine di oliva
sale e pepe

per accompagnare:

Patate e patate dolci nel nostro caso, ma anche rape bianche e in stagione radici amare (sempre mescolate alle patate)

Togliete il pollo dal frigorifero almeno un’ora prima di infornarlo. Eliminate eventuali piume, quindi con calma farcitelo in questo ordine: prima di tutto una spolverata di sale e pepe senza esagerare, poi mezza testa di aglio tagliata in orizzontale, la metà di un limone non trattato, aromi e quindi seconda metà del limone. Non è necessario cucire il pollo dopo averlo farcito, sempicemente legate in alto le zampe.
Ora massaggiate il pollo con olio extravergine di oliva dappertutto, come se gli metteste la crema solare, salate.
Lasciate riposare, ma accendete il forno.

Sistemate il pollo nella teglia, con le patate tagliate in grossi spicchi regolari e un secondo limone tagliato in grossi pezzi. Infornate in forno a 220°C per circa 15 minuti, quindi aggiungete il vino, date una girata alle patate e continuate la cottura per altri 15 minuti. Trascorso questo tempo diminuite la fiamma, girate il pollo e regolate a 180/160°C, bagnate con regolarità con il fondo della cottura e completate la cottura (contate che generalmente si calcolano 60/80 minuti circa per un pollo di circa 2 kg, un poco di più se ruspante).

Zuppa di pesce

Come la fate voi la zuppa di pesce?
Qui siamo perennemente in cerca della soluzione perfetta, perché in fatto di zuppa di pesce parlare di ricetta sembra riduttivo.
Un poco perché tutto dipende dal mercato: parti con un’idea e atterri su di un altro pianeta, quando al banco non c’è nulla di ciò che cerchi e molto di quel che non immaginavi. E la zuppa di pesce diventa un esercizio di immaginazione, a cavallo tra le aspettative e la realtà.
Un poco perché, diciamocelo, è un lavoraccio.

Allora ho pensato a un vademecum pratico per rendere l’impresa fattibile, non solo una volta l’anno.

  1. Fatevi amico il pescivendolo, o meglio ancora la pescivendola.
    Buoni rapporti vi garantiranno non tanto e non solo pesce fresco e di qualità (che questo lo vorremmo dare per scontato), ma anche un poco di aiuto al momento di pulirlo (specie se ordinate e chiedete con anticipo). Inoltre un amico in pescheria vi metterà da parte teste e lische che sono una mano santa per avere un buon fumetto che è la base del sapore. Potete pure farvele dare quando ci sono, conservarle in congelatore e usarle quando serve
  2. Costruite un bouquet.
    La zuppa è alchimia, tutto dà il suo contributo ma il risultato è molto più che la semplice somma delle parti. Considerate dunque che a seconda dei vostri gusti dovrete giocare sulla compatibilità dei sapori. Per la zuppa si considera fondamentalmente solo il pesce bianco e il pesce di scoglio (sebbene nella tradizione catalana ci siano eccezioni), a cui si aggiungono molluschi e crostacei.
    Noi italiani abbondiamo con gli aromi, ma in generale tenete presente che nella zuppa di pesce less is more. Dunque nel fumetto mettete le cose classiche ma in piccola quantità, cipolla e/ porro, una carota piccola (!), un piccolo gambo di sedano (o anche solo un mazzetto piccolo di foglie), se volete esagerare un bouquet garnit. Il pepe, se lo mettete, solo bianco. Considerate però che in altre tardizioni si mette anche solo la cipolla, e pure piccola.
    Nel soffritto soprattutto a Sud si va di molto pomodoro (e qualche volta anche di cipolla), io trovo che il pomodoro rischia di far la voce troppo grossa e tendo a farne a meno. Ma fate come più vi piace, o semplicemente come faceva la vostra mamma.
  3. Alternate le pezzature.
    Dopo anni di sacramenti io mi regolo così: un pesce grande (tipo merluzzo, rana pescatrice o anche quando si ha fortuna uno scorfano grosso) che mi faccio pulire con cura (la carne da una parte e lische e teste per il fumetto), minuzzaglia di scoglio (in ordine sparso, quel che c’è c’è), calamari o polipetti, poi scampi e conchiglie (in genere vongole e cozze).
  4. Procedete in più tempi.
    Iniziate dal fumetto e mettetelo da parte (potete semplicemente raccogliere lisce e teste ben lavate in una pentola con gli odori, corpire di acqua e portare a bollore, quindi schiumare e proseguire la cottura a fuoco dolce per una ventina di minuti. Se invece volete fare le cose in grande rosolate le lisce e le teste in una noce di burro, quindi sfrumate con un bicchiere di vino bianco secco, poi coprite d’acqua e procedete come nella versione semplice).
    Riprendete il fumetto, filtratelo e versatelo in una pentola, aggiungete la minuzzaglia e portate a bollore leggero, fate cuocere con pazienza finché tutto il pesce si sarà frantumato e cotto. A quel punto filtrate nuovamente il fumetto e premete con forza la minuzzaglia contro il colino a maglie fini per estrarre tutto il sapore.
    Fate il soffritto e calate prima il pesce grande quindi versate il fumetto arricchito e calate i molluschi, abbassate la fiamma al minimo e lasciate andare per circa mezz’ora, quindi incorporate anche i crostacei (scampi, gamberi, pannocchie di mare, etc). A parte lavate le conchiglie e fatele aprire in una padella a fiamma viva, senza aggiungere né olio né aromi. Se vi piace potete filtrare il brodo di cottura che si sarà formato e aggiungerlo alla zuppa, altrimenti incorporate semplicemente le conchiglie.
    Ci siamo quasi, mescolate con cura, aggiustate di sale e se vi piace aggiungete una nota piccante.
  5. Considerate la variante catalana
    Da quando abitiamo a Barcellona abbiamo adottato nuove abitudini, tra cui la picada. Si tratta di una delle salse fondamentali della cucina catalana e funziona come una sorta di ispessitore sia della densità del piatto che del suo sapore. Le ricette variano enormemente e ben si addicono al tono alchemico della zuppa di pesce: sempre prevedono frutta secca, una nota farinacea (pane, ma anche biscotti), aglio e aromi (dallo zafferano al ciccolato, giusto per capirsi…) e qualche volta includono ingredienti strani come le uova e il fegato del pesce. Il risultato, battuto al mortaio, è una pasta sapida e profumata che fa magie nella zuppa: si aggiunge alla fine di tutto, una grande mescolata per amalgamarla perfettamente, cinque minuti di cottura e dieci minuti di riposo a pentola coperta. Provate e vedrete.

Petto d’anatra alle ciliegie

Non mangiamo molta carne, la nostra cucina quotidiana è in generale molto vegetale, un poco per affezione e un poco per scelta. Eppure per il petto d’anatra io ho da sempre una passione senza compromessi, che è passata geneticamente ad Anna.

Qui a Barcellona, forse per l’influsso della Francia così vicina, il petto d’anatra si trova facilmente, di buona qualità e a buon prezzo, mentre nei miei ricordi di bambina era una cosa un poco rara e un poco esotica che mia mamma riportava qualche volta dal mercato di piazza delle erbe a Padova. Ed era una festa.

Per cucinarlo serve davvero poco, solo un poco di attenzione sui tempi di cottura e sulle temperature e un qualche cosa di un poco acido che lo sgrassi. Stavolta sono state ciliegie.

Se tenete il petto d’anatra in frigorifero toglietelo almeno 1 ora prima di utilizzarlo, se è sotto vuoto aprite la confezione e lasciate che la carne si ambienti. Incidete la pelle dal lato del grasso formando una sorta di griglia.

Scaldate una padella con poco olio extravergine di oliva. Quando è ben calda appoggiate il petto dal lato della pelle, incoperchiate e fate cuocere per 4-5 minuti, scoperchiate, girate, salate e proseguite altri 3 minuti. I tempi sono un poco variabili a seconda del petto ma anche dei vostri gusti.
Trascorso il tempo di cottura, togliete il petto dalla padella, corpritelo e conservatelo nel forno spento.
Eliminate gran parte del grasso di cottura tenendo solo una base, aggiungete 2 scalogni tritati finemente e fate imbiondire, quindi aggiungete una manciata di ciliegie snocciolate, due rametti di rosmarino, qualche foglia di salvia e un bicchiere di moscato. Fate ridurre fino ad ottenere una salsa densa.

Riprendete il petto, tagliatelo in fette regolari e nappatelo con la salsa. Potete anche ripassarlo velocemente nella padella con la glassa alle ciliegie.

zuppa di pesce con picada

Sulla zuppa di pesce avamo fatto, poco meno di un anno fa, una estesa dissertazione teorico-pratico che chiamava in causa il banco dell’Enriqueta (la nostra pescivendola qui al mercato di Santa Caterina) e la magia del brodo, visto che proprio sui brodi lavoravamo in quel periodo per il librino uscito giusto giusto giovedì  scorso in libreria.

pollo tonnato

Ognuno ha le sue debolezze in cucina e certo non solo. Per me, ad esempio, il vitello tonnato, o come si diceva allora con dubbio accento francese il Vitel Tonnè, è un mito irresistibile. La ragione deve nascondersi come al solito nel fascino del proibito visto che a mia madre non piaceva e non lo contemplava tra le possibilità della cucina estiva.

Piccione al caffè

In cucina si può essere sicuri che ci sarà sempre e comunque una prima volta. La quantità di ingredienti, modi e associazioni che nascono dal cibo fa sì che non si finisca mai di misurarsi il passo, di pensare ci riuscirò, che salterà fuori, come devo fare?

il pollo e i 40 agli

Non cerchiamo scuse mettendola sul tempo, ma tocca pur dire che quest’anno la primavera tarda (ancora) ad arrivare, persino qui a Barcellona dove normalmente non è che faccia un vero inverno. Ma ogni regola ha la sua eccezione così a noi ci è toccato festeggiare Pasqua con una sorta di cappone.

alici e salsa verde

C’è stato un tempo qui a Barcellona in cui facevamo un saor alla settimana. Sarde a beccafico (anche coi masculini a dir la verità…) come se piovessero e i tortini siciliani in aceto-e-menta o in limone-e-pangrattato una cena sì e l’altra pure. Era l’ebrezza di averle così a portata di mano, così polpose, fresche e ben pulite che chiamavano dal banco e non si poteva dir di no.
Poi come succede sempre ci siamo un po’ stancati. C’è stato dunque il periodo del verat, o caballa che dir si voglia, ovvero dello sgombro. In salmoriglio per lo più, con l’avvertenza di comprarne a sufficienza per non rimanere a bocca asciutta, visto che la bimba quasi treenne con cui dividiamo casa se ne scofana(va) quantità non immaginabili. Ora siamo in una fase schizzinosa e la parte scura dello sgombro è diventata “non mi piace”, “le spine le mangia la mamma” (sigh). La coda di rospo, che qui impazza, non ha mai trovato esito in casa, soprattutto perchè il Fotografo insiste nel dire che non è pesce vero e che sa di pollo. Tonno e pesce spada non li compriamo per principio; la sogliola è considerata all’unanimità pesce per bambini piccoli (!), mentre amiamo alla follia calamari e crostacei di ogni lignaggio.
Al banco della Enriquetta siamo passati poi a certi merluzzetti piccini aperti a libretto che sono stati l’ultima grande passione. Semplicemente impanati con il pangrattato e passati al forno o in qualche caso in padella.
Insomma vediamo di non annoiarci.

E così proprio per cambiare un poco siamo tornati pure a quella alicette deliziose. In una versione semplice semplice con però una salsa verde di accompagnamento a cui da soli non avremmo pensato mai.

storia di un prosciutto

Ora che è primavera tocca ricordarlo con tenerezza: per Natale abbiamo messo in cantiere una faccenda epica. Si trattava di cucinare per la nostra rubrica Allacciate i grembiuli sul canale Cucina del Corriere della Sera un piatto suntuoso, una di quelle sfide che restano appuntate in un angolo della testa e cercano il momento giusto per far capolino. Era Natale, era il momento buono. Dunque con qualche (!) difficoltà ci siamo procurati un prosciutto intero e da lì, abbiamo cominciato a contare le ore… e quasi i giorni.

Pin It