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Gli azuki della signora Tokue

C’è in silenzio in cucina? Oppure a tendere bene l’orecchio quello spazio tra i fuochi, il lavello e il tavolo grande è un luogo chiacchierone, pieno di parole e di cose da dire e da dirsi? Siamo sicuri che, a parte le giornate convolse in cui molte mani pensano insieme al pranzo di Natale o alla torta di un compleanno speciale, non ci siano discorsi felpati anche quando siamo da soli con le mani in pasta?

ricette letterarie 3. soupe au pistou per saint georges

“C’è la zuppa al pesto. È buona anche fredda. Mangiane un po’. Ti abbraccio forte”. In un piattino aveva lasciato il formaggio grattugiato.
Indubbiamente ci sono mille modi di preparae la zuppa al pesto. A Marsiglia tutti dicevano: “Mia madre la fa così”, e dunque la cucinavano in modi diversi. Ogni volta un sapore diverso. A seconda delle verdure che venivano usate. Ma soprattutto a seconda di come erano stati dosati basilico e aglio, e della quantità di questi ingredienti che veniva aggiunta alla polpa dei pomodori sbollentati nell’acqua dove erano state cotte le verdure.
Honorine riusciva a fare la migliore di tutte le zuppe al pesto. Fagioli bianchi e rossi, corallini, patate e maccheroni. Lasciava cuocere a fuoco lento per tutta la mattina. Dopo cominciava con il pesto. A pestare in un vecchio mortaio di legno l’aglio e le foglie di basilico. A quel punto non bisognava assolutamente disturbarla. “Ehi, se resti lì come una statua a guardarmi non riesco a fare niente”.
Misi la pentola sul fuoco. La zuppa al pesto era ancora più buona se veniva riscaldata una o due volte. Accesi una sigaretta e mi versai un fondo di vino rosso di Bandol. (Solea)

Quest’anno celebriamo così, alla francese, il giorno di Sant Jordi che, senza nulla togliere alla Spagna e alla Catalunya, è pur sempre la giornata internazionale del libro e, per i calicanti, una festa particolarmente cara. Vorrà dire che regaleremo (idealmente) una testa d’aglio invece della rosa!

ricette letterarie 2. Le minne di sant’agata

Siamo fuori stagione, decisamente. O troppo in ritardo, o troppo troppo in anticipo, ma in ogni modo dal 5 febbraio, festa di Sant’Agata, ci allontanano i giorni e la temperatura. La verità, però, è che quando i libri scelgono il momento di capitarti addosso c’è poco da fare i conti con il calendario, ti capitano e basta, e non puoi che caderci dentro con gli occhi, le scarpe e in qualche caso anche con la lingua. Così, quando in questi giorni abbiamo finito di leggere Il conto delle minne (di Giuseppina Torregrossa, Mondadori editore), passandocelo di mano tra le borse delle spese nei tragitti degli autobus romani, provare a farle, le minne, era un imperativo assoluto e improrogabile. Dunque, emarginato il fotografo dalla cucina (che queste son cose di donne) ci siamo messe a impastare senza dubitare un attimo che la ricetta del libro fosse non solo possibile e fedele, ma l’unica per noi praticabile. Che sia stato un piccolo azzardo ce lo siamo confessate dopo, quando le minne candide asciugavano la glassa, perché se certe volte è pericoloso fidarsi delle ricette di un libro di cucina non lo sarà tanto di più fidrsi di quella di un romanzo?

ricette letterarie 1. timballo gattopardiano

La citazione è di quelle notissime. Ma è pur vero che la parola stessa, timballo, fa pensare alla Sicilia, all’esagerazione suntuosa (e decadente), al pranzo domenicale e festivo come niente altro al mondo. Tavola bianca e ricamata, il servizio, i bicchieri, una lentezza esasperata dello stare a tavola e prima in cucina, e dello starci tutti, in molte generazioni accostate e in molti rami. Inauguriamo Così, in modo un po’ letterale, una nuova serie, un nuovo gioco di associazioni tra forchette e parole (come già avevamo fatto per le fiabe) Perché leggere e mangiare, oltre che cucinare (e fotografare?) sono tra le cose che più ci picciono e ci fanno felici.

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