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mercat de mercats

Settimana intensa a Barcellona, o forse semplicemente normale. Ma fatto è che da quando siamo rientrati al nostro cuarto primero non la smettiamo di correre di qui e di là , con la macchina fotografica sempre appresso, appesa al collo o ai manici del passeggino. Abbiamo cominciato con Eat-street di cui parleremo in dettaglio molto presto (visto che gli abbiamo dedicato uno sguardo un po ‘ speciale), poi questo fine settimana è stato il tempo della festa dei mercati, mercat de mercats, come dire mercati al quadrato. Ora noi per i mercati abbiamo una passione fuori scala, sono il luogo dove finiamo sempre a passeggiare con una ragione precisa ma anche senza, giusto così per sbirciare il brulichio della vita che li attraversa o perfino per ricaricarci da un cattivo umore. Per i mercati di Barcellona poi, l ‘innamoramento è conclamato visto che su queste pagine gli abbiamo dedicato un minuzioso censimento. Mercat de mercats, dunque. E proprio nella piazza della cattedrale, dove passiamo e ripassiamo anche senza pensare.

la festa, il mercato e noi

è già tempo di valigie, quelle all’incontrario questa volta: quelle che da Barcellona ci riportano in Italia per le vacanze di questo scampolo di giugno che rimane e del luglio che ci aspetta siciliano. In mezzo ci sono una montagna di vestitini da stirare e da stipare in bagagli immancabilmente troppo piccoli, con un fotografo di sottofondo che pretende di viaggiar leggero: la macchina, il carica batterie e poco, pochissimo altro.
E direi che invece qui saremmo, sarei, di un’altra scuola: quella che pretende di traslocare mondi, di traghettarli interi da un continente all’altro. Mica solo scarpe e ammennicoli di femmine, ma anche cibo, nutrimenti, anima. Vorrei portare tutto, anche se è il tempo è breve e lo spazio poco: le mandorle marcona che qui sanno tostare come in nessun altro luogo del pianeta, la sobrassada dolce della butiffareria difronte a Santa Maria del Mar, per non dire dello zucchero scuro che profuma, dei banchi (per intero!) del pesce dove, con perizia e leggerezza, ti puliscono tutto, senza battere ciglio, anche quel chilo e mezzo di alici o la sogliola piccina per Anna che ne è ghiotta. Il mercato mi mancherà, il mercato più forse di altre cose e al pari dell’abitudine del mangiar sempre e ovunque, pesce, carne, mariscos y embutidos, todo siempre…

Così quando sabato sera abbiamo trovato il nostro mercato, quello di santa Caterina, aperto e in festa, ci è sembrato di poterla prendere sul personale. Ci sembrava insomma che se ci aveva accolti all’arrivo il Carnevale (sempre dentro al mercato…) ci diceva allegramente arrivederci, buone vacanze questa festa luminosa e gaia, folle e semplice come una favola.

sant ponç, le erbe y la calle

E dopo Sant Jordi venne Sant Ponç. Barcellona lo stiamo capendo (e vivendo da dentro) trova sempre una ragione per fare festa e in generale, sa far festa molto bene. In questo caso si trattava di erbe aromatiche e medicinali e del loro santo patrono, Sant Ponç appunto, che hanno invaso la calle de Hospital che dalla Rambla si inoltra nel Raval passando (visto che niente è per caso) dall’Accademia farmaceutica di Catalunia. Quelle strade sono state un tempo orti conventuali e lì vicino nasceva, proprio dall’esprorio di un convento, quel che sarebbe stata la Boqueria. Insomma le radici e le ragioni a cercarle ci sono sempre.

sant jordi, dal vero!

Anche da lontano l’idea e lo spirito ci sono piaciuti sempre. Per San Jordi, il 23 aprile, Barcellona è in festa e regala libri e rose, un libro e una rosa, ma anche un mazzo intero di fiori e di pagine.
Romantico e pure un po’ astuto, così sulla carta. Ma a vederlo dal vivo il nostro primo San Jordi è stata un’emozione difficile da mettere in forma perché è una città intera che si anima in ogni suo angolo, piazza e vicoletto riempiendosi appunto di rose e di libri, come difficilmente si può immaginare.
è iniziato al mattino con il ritmo che qui è sempre un po’ disteso e sonnacchioso, ma alle nove i banchetti cominciavano ad animarsi e avevamo già collezionato diversi auguri di un !Feliz san Jordi!, come fosse Natale. E poi una Rambla finalmente percorribile e banchi su banchi da non sapere dove girarsi, le librerie che strabordavano sulla strada, la strada che ti chiamava a gran voce per una rosa. Sì perché per tradizione le rose le vendono a San Jordi le associazioni di volontariato e gli studenti, sorridenti e creativi in un ruolo non loro, un misto in generale di timidezza e creatività: chi regala un bacio in bonus, chi si traveste da drago, da principessa o da San Jordi appunto, chi si porta dietro l’amico che suona il violoncello, chi canta a squarciagola. Bello e vivo.

E i libri che non stanno a guardare. Noi ci siamo buttati, come quasi sempre, sull’usato che stava al fondo ma proprio al fondo di una Rambla infinita, trovando tra altre chicche pure la versione spagnola del Manuale di nonna Papera (che è qui manco a dirlo è l’abuela pato). Ci siamo regalati dei libri a vicenda e anche Anna ha avuto il suo piccolo bottino (La rana Juliana e San Jordi i el drac), ma il pomeriggio abbiamo finito per restare travolti dall’offerta di tanto e di tutto e soprattutto dalla quantità impressionante di persone per le strade, traffico bloccato in Plaza de Catalunya, Psg de Gracia e Rambla de Catalunya. Tutto per i libri, sì per i libri! … e per le rose.

le palme

Il ricordo era per me siciliano e legato stretto a una fotografia in cui fiera in un cappottino rosso stringo la palma che il nonno mi ha regalato. Convinta allora e per molto tempo ancora che le palme intrecciate fossero un’esotica tradizione dell’isola dovevo arrivare fin qui per scoprire che invece sono spagnole, come tante e tante cose della (mia) infanzia siciliana. Biscotti, cassine avvolgibili, gigantoni per le feste di strada, ceci tostati e appunto le palme.
Domenica scorsa Barcellona ne era piena e noi affascinati le abbiamo inseguite. Ce n’erano di ogni tipo, intreccio e misura. Tradizione vuole che siamo il regalo di padrini e madrine ai propri figliocci e che le si adorni con nastri, caramelle, uova e dolcetti prima di portarle alla benedizione della domenica.

Jaime J. Renobell

Il nome, già da solo, suona bene. Romantico, esotico e molto catalano è l’insegna di un luogo un po’ magico, un po’ quotidiano in cui con mille scuse trascorriamo molto del nostro tempo qui a Barcellona.
Non è che le scuse siano difficili da trovare per varcarne la soglia, ma nel nostro ménage personale si aggiungono alle ragioni oggettive, anche la vicinanza a casa e soprattutto la prossimità al parco della Ciutadella dove Annina trascorre molti dei suoi pomeriggi ormai assolati.
Nell’incrocio di queste rotte personali tocca metterci pure il mercato del Born, recentemente restaurato e inaugurato come centro culturale, a cui il fotografo è molto affezionato per ragioni non solo e non propriamente storiche e sobrie (all’interno c’è infatti una sede distaccata, diciamo così, della birreria Moritz). Sempre lì vicino la Paradeta, il Museo del cioccolato, la Calle Princesa, insomma praticamente il centro dell’universo.
Ma insomma com’è come non è per passare di qui c’è sempre una ragione.
Dentro ci si trova tutto quello che può servire per onorare una dispensa: farine di ogni tipo, genere e forza; zuccheri plurali (divisi per provenienza, caratteristiche e integralità) e poi soprattutto legumi di ogni calibro e tipologia, con certi fagioli autoctoni impensabili, ma pure ceci, fave, piselli spezzati e pure interi e lenticchie di ogni sorta. Poi le granaglie dal kamut più integralista fino al miglio per uccelli, passando naturalmente per tutti i gradi intermedi. La frutta secca con almeno quattro “modelli” di pinoli divisi per provenienza, calibro e naturalmente prezzo, nocciole e soprattutto mandorle con le Marcona a farla da padrona ma declinate in ogni forma (con la buccia, senza, tostata, a lamelle, in polvere, in scaglie) e poi le spezie, i pimientos, la cannella in stecche infinite e  il cacao, il cioccolato, semi di lino, di sesamo bianchi- neri- crudi- e tostati, la frutta essciccata, i fiori di ibiscus “confitadi”, insomma è un antro di meraviglie un po’ come in quella favola delle mille e una notte del facchino e delle tre ragazze che lo conducevano attraverso il mercato a comprare ogni bendidio….

un pesto di piquillo

Roba da emigranti questi spaghetti all’imbrunire!
Anche se a guardarli bene e a dirla tutta la pasta non ci manca molto qui al quarto (quinto) piano della nostra casa barcellonese, per la semplice ragione che la si trova facile facile. La troviamo al Corte Ingles, la stessa Garofalo che pappiamo in Italia con solo forse qualche problema di cottura  (ma anche per quella alla fine ci siamo convinti che sia una questione di acqua o forse di mare, o forse di vento).
Insomma la pasta c’era e resta, con però la voglia (la necessità?) di cambiare il gioco delle associazioni, soprattutto quando è tarda sera e il frigo svaligiato. Finisce allora che si guarda in dispensa e si fa con quello che si ha, anche perché il tempo nonostante le giornate siano diventate lunghe ci resta corto… dunque di un prezioso vasetto di pimentos del piquillo, di una manciata di mandorle marcona, dei rami di timo comprati profumatissimi in erboristeria è saltato fuori un pesto che rischia di diventare ricorsivo…

fabada e valigie

Che siano passati quasi due mesi dal nostro trasferimento a Barcellona pare una cosa un tantino incredibile. Da una parte tutto è andato veloce, anzi velocissimo presi da questioni di lavastoviglie, forno, canguro(baby-sitter) per Annina e tutto un turbinio di riferimenti nuovi da cercare, di passeggiate a zonzo e di abitudini nuove (viva la merenda!!).
Dall’altra sembra che qui ci stiamo da sempre, un po’ perché la città la conoscevamo già bene, un po’ perché la vita qui è facile e piacevole in quei dettagli minuti che viviamo come lussi speciali.
Il tempo dunque si accorcia e si dilata e adesso che si tratta di chiudere una valigia stretta per tornare in Italia qualche ora ci pare che sia tempo di raccontare la fabada, una robina di cotture lunghe e di buona premeditazione, che sa di Asturie, di pioggia vento e pure un poco di bufera. Al nostro rientro, tra qualche giorno, sappiamo che sarà già troppo tardi, incalzati come siamo da una primavera che si è largamente annunciata.

Visca el carnaval

Uff che tirata! Il carnevale quest’anno per noi è stato un’autentica settimana di colori, di corse, di mercati, di balli, di battaglie arancioni, di salsicce d’uovo, di ambasciatori del re-carnevale, di mercati ancora e poi fuochi bellissimi fino ad oggi, mercoledì delle ceneri che qui, più prosaicamente, è il giorno della sepoltura della sardina (che poi vorrebbe dire inizar a mangiar di magro, anche se sul concetto di magro ci sarebbe/sarà da dire..).
Noi non ci siamo persi niente, con Annina travestita (più o meno) da maduixeta (cioè da fragolina in catalano) nel passeggino rosso, eravamo al mercato della Concepciò al primo arrivo degli ambasciatori (giovedì) e da lì in poi li abbiamo seguiti praticamente ovunque, senza prendere fiato, spesso con mezzi di fortuna e dimenticando pure qualche volta di scattare le foto.
Perchè il carnevale ti mette di fronte a dilemmi esistenziali e filosofici: scegli di strane dentro o di starne fuori? di seguirlo, di anticiparlo, di camminargli a fianco? e se scatti foto puoi tirare coriandoli?

botifarra d’où de dijous llarder

Il carnevale è una roba seria, al punto che divide come poche cose al mondo: chi lo ama lo adora, chi invece ne farebbe a meno sotto sotto (e a volte pure più in superficie) lo detesta. Io lo adoro, da sempre.
Eppure negli ultimi anni, dopo aver passato le ebrezze infantili, l’incertezza per prove ed errori dell’adolescenza e l’incanto di alcuni veri carnevali veneziani (prima che la festa smettesse di essere tale) mi ero rassegnata a fare quanto meno finta di niente. Poca voglia e poco contagio e la sensazione che qualcosa fosse perso per sempre: la luce che cominciava a diventare lunga, il freddo che pungeva ma il sole che illudeva, gli gnocchi in piazza, il gioco di giocare e abiti diversi. Tutto questo probabilmente si è effettivamente perduto, o forse è rimasto indietro come è normale che succeda anche per chi si ostina a viaggiare con bagagli troppo grossi, però oggi è stato bello ritrovare carnevale.
Un carnevale in parte sicuramente diverso, a tratti persino esotico, ma come mi succede per molte cose qui a Barcellona, insieme molto familiare e sorprendente. Ne racconteremo quando avremo finito di festeggiarlo e quando la macchina del fotografo avrà sputato fuori tutto quello che riuscirà a mettersi in pancia, a occhio e croce intorno al mercoledì delle ceneri che qui coincide con la celebrazione del funerale (e relativo interramento) della sardina nel parco della Ciutadela.
Oggi però, per essere in clima e in tempo, pubblichiamo il ritratto della protagonista dell’inizio del carnevale catalano, ovvero la butifarra d’uovo. Sì, sì, proprio così, una salsiccia (cotta) con l’uovo dentro, oltre che carne di maiale e molte spezie (in particolare noce moscata). Se la tradizione della butifarra è tipica di queste latitudini quella della butifarra d’où lo è nel tempo e nello spazio da tempi antichissimi (attestata nel 1600 si suppone però molto più antica). Si mangia per tradizione il primo giorno del carnevale assieme alla coca di lardons e ad altre sciocchezzuole molto leggere; per summa di autrenzialità poi la salsiccia con l’uovo si mangerebbe dentro la tortilla, ovvero uovo con uovo passando però per il maiale. Noi su questo ci siamo astenuti e l’abbiamo mangiata così, semplice, semplice…

le minne sulle scale

e dunque sì, c’è stato il capodanno cinese e dopo quello il black out: il blog si è oscurato, si incapricciato, si è chiuso a riccio e non c’è stato verso. Prima impossibile connettersi, poi misteriose stringhe che assicuravano che su apache (!) tutto era ok, ma insomma niente, e gestire la crisi da qui non è stato semplicissimo.  Il server è caduto, si è fatto male, almeno un pochino, e poi è ripartito.
Ma se questa è la versione ufficiale, rimangono da considerare certe ragioni impalpabili e animiste che hanno (forse) a che fare con il nostro (parziale) trasferimento qui a Barcellona e con la nascita di quarto-primero. O almeno così sospettiamo…

capodanno chino e pure un poco catalano

La giornata atmosfericamente parlando non era delle migliori, anzi volendo fare le pulci all’andamento del meteo da quando siamo a Barcellona è stato un raro esempio di piovigginoso, umidino, grigiastro quando invece per lo più il tempo si mantiene soleggiatissimo e ventoso. Ma tant’è,  questo capodanno esotico e casalingo insieme non era cosa che potessimo mancare: sabato è infatti finito l’anno del serpente e domenica mattina si festeggiava intorno alla Sagrada Familia l’inizio dell’anno del cavallo.
Ora noi, oltre che curiosissimi, ci sentivamo un poco chiamati in causa, perché questo nostro arrivo a Barcellona a gennaio inoltrato ha avuto ed ha ancora tutto il sapore (e pure un poco l’onere…) di un inizio nuovo nuovo, di un capo di anno insomma. Così armati di ombrelli, sciarpe e passeggino incellofanato ci siamo mescolati a una parata di draghi colorati, ventagli, tamburi e fuochi in cui sfilava la comunità cinese a Barcellona, accompagnata però anche da gruppi locali di castellers e da tante, ma proprio tante mescolanze.

Il forno e la granja

Nelle nostre micro-cronache da Barcellona quella di oggi è una giornata importante: aspettiamo infatti, trepidanti, l’arrivo del forno e della lavastoviglie quassù al quarto/quinto piano senza ascensore. Se tutto andrà a buon fine a quasi due settimane dal nostro arrivo e nel giorno in cui finisce gennaio e finisce pure l’anno cinese, la nostra cucina sarà pronta per iniziare a lavorare.
Ci sarà allora da decidere (son problemi eh…) da dove cominciare, con che cosa inaugurare il nuovo forno? Ricetta comprovata, sicura, sicurissima con cui testare l’unicità di questo specifico forno, oppure nuova, nuovissima per iniziare insieme e da capo? E poi dolce o salato? Italiano, spagnolo, catalano? Son problemi, val la pena di ribadirlo, che si scioglieranno come neve al sole (a proposito qui ci sono 18 gradi!) difronte alla banalità degli ordini di priorità: i nuovi libri in cottura, la tempistica delle consegne, la nostra rubrica sul canale cucina del corriere che dettano pure qui menù invero un poco strampalati.
E poi, poi c’è il mercato, anzi i mercati, che sono a Barcellona meraviglia di esotico e di conosciuto e hanno cambiato già non poco la nostra dieta quotidiana: pesce, pesce a non finire che non solo c’è in grande quantità ma è conveniente e super disponibile, perchè armate di enormi coltellaci e guanti di gomma azzurra le pescivendole (in genere chissà perché sono femmine…) tagliano filetti perfetti di qualunque bestiolina di mare, grande o piccina, filettini di alici, salmoni, sogliole, ma pure merluzzi e persino code di rospo. Il fotografo, che è fobico in modo imbarazzante delle spine, gongola e forse smetterà persino di scrutare il piatto con sospetto, inforcando gli occhiali come zio paperone in cerca di qualche spinuccia sopravvissuta fin dentro alla sua porzione.
Insomma c’è da credere che alla fine nel forno nuovo finirà una cosa quasi a caso, si accenderà, sarà la prima volta, ma poi non ci sarà il tempo né lo stupore di pensarci e con la pirolisi (!) non avremo paura nemmeno degli schizzi del gallo nero del Penedès. Aspettiamo dunque, fiduciosi, arriverà, arriverà anche quassù… se è arrivato il frogorifero, arriverà pure il forno… arriverà e ci passerà… non cadrà della scale… non si graffierà… non…

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