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Kumquat canditi

Con il cibo è questione di occasioni. Sempre.
Non solo il calendario segna il ripetersi ciclico di alcune ricette che mettiamo in cantiere sincronizzando inconsapevolmente il tempo naturale e quello storico, ma anche certe avventure trovano la loro ragione e il loro coraggio nella prospettiva di un evento, di un’occasione specialissima che spinge il cuore e anche le mani oltre l’ostacolo.

Così è stato per questi kumquat (mandarini cinesi come li chiamava la mia nonna), che erano arrivati in un micro-bagaglio dalla Sicilia. In vista c’era il workshop di food-photography (in presenza!) qui a Barcellona e nella settimana il ritorno della festa di Sant Ponç, una di quelle che più amiamo in città perché dal Medioveo porta a Barcellona erbe aromatiche, piante medicinali, miele e frutta candita.

Così ho fatto quello che mai avevo fatto, cioè provare a candire la frutta, ovviamente senza gli strumenti adeguati e senza nessun porto sicuro. Ma la cucina è così, si prova e al massimo si fallisce.

Come è andata? Io penso bene, perché il sapore era strepitoso, la consistenza adeguata e l’aspetto corretto. Detto questo non sono in grado di garantire che i kumquat si sarebbero conservati bene come alla frutta candita conviene, perché li abbiamo finiti a morsi, con fettine di torta inzuppate di sciroppo allungato con succo di limone.

Li rifarò, prometto, con più strumenti e più scienza ma per intanto questa è la traccia di questa avventura improvvisata.

Per prima cosa occorre lavare i kumquat, fare due buchini in ogni frutto e congelarli. I miei provenivano dalla mia campagna in Sicilia dunque sono più sicura che non ci fosse assolutamente nulla sopra se non un poco di polvere etnea, se non siete sicurissimi della provenienza potete lavare con maggiore attenzione e tenere a bagno.
Dopo una notte di congelatore li ho messi in una pentolina e coperti di acqua fredda, una volta scongelati ho acceso il fuoco e li ho cotti a fiamma non troppo forte per una ventina di minuti. Li ho scolati e ho conservato l’acqua.

A questo punto tocca preparare lo sciroppo e qui tocca procedere un poco a naso. Siccome l’operazione sarà lunga e lo sciroppo si ridurrà bisogna abbondare: un principio che può funzionare è calcolare circa tre volte il volume dei kumquat. Ovvero misurare una quantita di acqua tre volte superiore al volume dei kumquat che volete candire (i miei erano pochi, una ventina direi) e pesare lo stesso quantitativo di zucchero. Mescolare acqua e zucchero e da lì ottenere lo sciroppo. Io ho usato l’acqua in cui avevo cotto precedentemente i kumquat (per conservare tutto il profumo e per non sprecare) e ne ho aggiunta un poco, ho pesato lo zucchero in pari quantità e quindi messo sul fuoco.
Da quando comincia il primo bollore contate due minuti, quindi spegnete e immergete i kumquat. Qui occorrerebbe la griglia apposita per tenerli immersi, io dopo aver tentato vari accrocchi ho usato un coperchio più piccolo di quello della pentola e ho dato un paio di rimestate ogni tanto. Li ho lasciati dodici ore, poi li ho scolati con una spumarola larga (di quelle per i fritti cinesi) e ho fatto bolllire nuovamente lo sciroppo due minuti, quindi spento e calato nuovamente i kumquat. Così per 4 giorni: una bollitura la sera e una la mattina.

Il metodo è empirico, mi rendo conto, ma ha funzionato.

Per il resto pochi appunti: per lo sciroppo con cui bagnare la torta ho diluito una parte di sciroppo della canditura con 2 parti di succo di limone e una di acqua. Il resto della frutta candita (pesche, mandarini e arance…) li ho comprati alla fiera di sant Ponç!

Per la ricetta della torta invece qui:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=11992

Lemon pie

Lasciate da parte i fiori e concentratevi sulla torta lì nel mezzo, quella con le crestine irregolari e l’aria scapestrata. è un lemon pie ed è buonissima. Si lo so, manca la meringa ma lo confesso la meringa umida sulla crema al limone non mi fa impazzire e alla fine finisco sempre per tenerla di lato e a mangiarmela con poca convinzione, giusto per non lasciare nulla nel piatto.

Vi succede?

Per il resto vi prometto che di questa versione non vi rimarrà una sola briciolina, a condizione che il limone vi piaccia come piace a me. Senza compromessi e senza mezze misure.

La ricetta
(per due crostate di circa 20 cm di diametro)

per la base
300 g di farina 00
100 di burro
100 di zucchero a velo
1 uovo e 2 tuorli

Per la crema al limone:
il succo di cinque limoni
4 uova
140 g di zucchero
100 g di burro
40 g di crème fraiche

Setacciare la farina, mescolare con lo zucchero a velo, aggiungere il burro freddo tagliato in pezzetti regolari e lavorare fino ad ottenere un composto sabbioso, aggiungere le uova e lavorare brevemente finché la pasta non è omogenea. Formare una palla, e conservarla coperta in frigorifero per 1 ora.

Lavare i limoni asciugarli con cura e grattuggiare la scorza senza intaccare la parte bianca che risulterebbe amara. Spremere i limoni fino ad ottenere circa 140 g di succo. In un pentolino capace versare il succo di limone con lo zucchero, portare fino al primo bollore quindi aggiungere le uova leggermente battute e rimettere sul fuoco dolce mescolando continuamente con una frusta. Riportare a bollore lieve senza mai smettere di mescolare, spegnere e fuori dal fuoco aggiungere il burro e la scorza grattugiata, emulsionare velocemente. Una volta perfettamente fredda incorporate alla crema 40 g di crème fraiche.

Foderare la teglia da crostata con la pasta stesa a uno spessore di circa 4 mm, cuocere in bianco a 180°c per circa 20 minuti, quindi togliere i pesi e cuocere ancora per altre 10 minuti a 160°C sorvegliando che non scurisca.
Lasciare raffreddare completamente il guscio di pasta frolla quindi farcire con la crema al limone.

Red velvet di Natale

La torta è famosa, anzi famosissima, di suntuoso velluto rosso e nome inglese, quel red velvet cake che è una delle glorie della pasticceria americana. Io però per molti anni ci sono passata sopra oppure accanto, un poco per pregiudizio, un poco per pigrizia.

Ma in cucina tutto prima o poi trova il suo tempo e anche le sue ragioni, così senza averne nemmeno mai assaggiato un boccone mi sono trovata a metterla in cantire nella cucina che finalmente e lentamente sto tornando ad abitare.

La ricetta che ho usato è quella di Bakestreet che è una grande affidabile maesta (se non la conoscete correte a conoscerla!) Io ho apportato cambiamenti minimi nella base della torta mentre ho fatto a modo mio per la farcitura e la decorazione.

Il risultato è strato strepitoso, con alcune piccole cose da poter rivedere in particolare sulla quantità della farcia (potrebbe essere di più tra gli strati del dolce o ci possiamo immaginare di servirla con un cucchiaio di yogurt greco come abbiamo fatto il giorno dopo a colazione?) e anche sul mistero delle reazioni chimiche tra latticello e cacao (possono davvero bastare a tingere di rosso la torta senza colorante alimentare?), oltre che sul ruolo del lievito.

Ma sono sottigliezze la sostanza è che è buonissima, per nulla complicata da fare e tanto tanto tanto scengrafica. Basta?

Per una stampo a cerniera da 20 centimetri di diametro circa (il mio era un poco meno)

420 g di farina da pasticceria (debole)
360 g di zucchero
140 g di burro
3 uova grandi (circa 190/200 g)
300 g di latticello (oppure di latte con un cucchiaino di succo di limone)
25 g di cacao in polvere
6 g di lievito in polvere
10 g di colorante alimentare rosso
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di aceto + un cucchiaino di bicarbonato

per la farcia:
250 g di ricotta (o qui in Catalunya di matò)
200 g di formaggio salmabile
100 g di skryr o di yogurt
2 cucchiai di zucchero a velo

Per prima cosa accendere il forno in modalità statico a 180°C, quindi imburrare lo stampo a cerniera spolverarlo di farina ed eliminare l’eccesso. Se non avete il latticello mescolate il latte con il limone e lasciate riposare senza mescolare.
Mescolare invece la farina con il sale, il lievito e il cacao e conservare da parte.
Lavorare il burro con lo zucchero, aggiungere le uova una per volta, quindi il colorante e la farina poco per volta alternando con il latticello. Alla fine mescolare l’aceto con il bicarbonato e versare nell’impasto, ultima vigorosa mescolata, versare nello stampo sbattere leggerrmente per far uscire le bolle d’aria e quindi in forno per circa 50/60 minuti. Una volta sfornata lasciare raffreddare completamente prima di tagliare e di farcire.

Come una piccola baklava

Con i dolci mediorientali ho avuto sempre un problema di dolcezza. Nel caffè della moschea a Parigi, proprio dietro l’università che frequentavo durante l’Erasmus rinunciavo spesso a corna di gazzella e pasticcini di nomi e forme favolosi, troppo dolci, non era roba per me.

Qui però, non so se per colpa dell’età che cambia o del fatto che da casa mi pare di poter dosare la dolcezza con l’agro e l’amaro del limone e delle arance, sto cambiando idea. Anche perché queste cosette qui, che sono quasi piccole baklave in miniatura, sono di una facilità disarmante che le rende pericolose.

Insomma le ho fatte, le abbiamo usate per il set di una lezione sull’esposizione alla scuola di fotografia e me le sono pure mangiate, non da sola per fortuna!

La ricetta

1 confezione di pastafillo

per lo sciroppo:
125 g di marmellata di arance amare
60 g di miele
110 g di succo di agrumi (arance, mandarini e almeno mezzo limone)
15 g circa di acqua
la scorza di un limone non trattato
cannella in polvere
semi di cardamomo

Per il ripieno:
120 g di mandorle tritate
80 g di noci tritate
200 g di burro

semi di sesamo

Preparate lo sciroppo. In una pentolina non troppo piccola verste tutti gli ingredienti, mescolate bene e portate a bollore, abbassate la fiamma e fate sobbollire finché non si sia ridotto a metà. Eliminate la scorza e le spezie e conservate lo sciroppo da parte.

Con delicatezza aprite la confezione della pastafillo e dividetela con un coltello affilato a metà sul lato lungo ottenenedo due rettangoli uguali.
Sul piano di lavoro sistemate un foglio di pastafillo pennellatelo con il burro fuso e coprire con un secondo foglio, pennellare nuovamente con il burro e cospargere del trito di frutta secca. Con le dita alle due estremità del rettangolo arrugate a fisarmonica il foglio di pasta fillo in un modo da ottenere una striscia che arrotolerete su se stessa formando una specie di rosa. Collocate ogni rosellina in uno stampo da muffin leggermente imburrato e cospargete ciascuna con semi di sesamo

In forno ventilato (se possibile) già caldo a 180°C per circa 20 minuti sorvegliando che non scuriscano troppo. Appena sfornate bagnare con lo sciroppo.

Clafoutis al rabarbaro e lampone

Con il rabarbaro ho un rapporto complicato. L’ho desiderato ardentemente quando era molto in voga e sui primi blog spopolavano le torte nordiche e francesi. Ho provato anche a piantarlo nel giardino romano del Fotografo, prima di capire che, come per molte altre buone intenzioni, non c’era verso.

Non sono serviti i ricordi di un Alto Adige tanto vicino al Trentino in cui sono cresciuta: lì il rabarbaro è una cosa non solo comune, ma quasi infestante, con le sue grandi foglie carnose (e velenose!) che spuntano negli orti ordinatissimi accanto alle case, o in lindi mercatini all’aperto. Niente da fare, il rabarbaro è rimasto sempre una cosa esotica.

Sarà per tutto questo passato che quando la settimana scorsa l’ho intravisto al mercato della Concepciò (dove vado ogni tanto in cerca di fiori e di verdure speciali) l’ho trovato spudorato. Una provocazione.


L’ho comprato a peso d’oro, con la scusa che serviva per il set della Scuola di Fotografia del giovedi. Ma non è ho sprecato niente! Clafoutis per l’esercitazione didattica, la sera, nella cartella di Anna la mattina dopo.
Poi siccome due gambi in più erano serviti da corredo alla foto assieme a un mazzo stupendo di Elleboro violetto (che serviva da repoussoir), è finito pure in una zuppa thai, arrendevole ad acidulo.

Per il clafoutis:
2 gambi di rabarbaro
200 g di lamponi (i nostri surgelati)

100 g di zucchero
100 g di farina
100 g di burro
2 tuorli e un uovo intero
1 bicchiere di latte
1 cucchiaio di grappa
1 pizzico di sale

+ burro e zucchero per il fondo

Imburrare la tortiera e spolverizzarla di zucchero, quindi sistemare il rabarbaro (lavato e tagliato in pezzetti regolari), aggiungere anche i lamponi in modo da coprire uniformemente il fondo.
Montare le uova con lo zucchero, unire a poco a poco la farina e il latte, quindi il burro fuso, la grappa e il sale (niente paura per l’impasto molto liquido, è normale, deve somigliare a quello delle crepes).
Versare nella tortiera sopra la frutta e cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 30- 40 minuti.

Per la zuppa thai:
seguite la traccia qui, inserendo tra le verdure anche il rabarbaro:
http://lacucinadicalycanthus.com/?p=6947


Una torta al cioccolato per la Lalla

Sono giorni complicati, in cui si fatica a tenere in mano il filo del nostro quotidiano, pur al sicuro delle nostre case e delle nostre vite intatte. La cucina ci aiuta, come sempre ci ha aiutato, a tenere occupate le mani e anche la testa, ad occuparci ad avere cura e ad amare.

La settimana passata abbiamo festeggiato il compleanno della Lalla, e ritrovando in questi giorni le foto della torta che abbiamo preparato insieme Anna ed io mi sento immensamente fortunta e grata.


La ricetta

per la base:
250 g di cioccolato extrafondente
250 g di burro
200 g di zucchero
35 g di farina + 35 g di fecola di patate
4 uova

Sciogliere il cioccolato a bagnomaria, unire il burro e lasciare scogliere a fiamma spenta. Nel frattempo montare le uova con lo zucchero finché non risultino bianche e gonfie, unire la farina e la fecola un cucchiaio alla volta. Incorporare il cioccolato e amalgamare perfettamente, quindi versare in una tortiera imburrata e infarinata (diametro 18 cm). Cuocere in forno già caldo a 180°C per 30/40 minuti. Fare la prova dello stecchino che deve risultare molto umido ma non appiccicoso. Lasciare raffreddare completamente, idealmente tutta la notte.
Con attenzione e un coltello a lama larga seghettata ritagliare tre dischi.

Per la ganache montata:

300 g di ciccolato fondente
250 ml di panna fresca
25 g di burro
Tagliare il ciccolato in pezzetti piccoli e regolari e conservare da parte. Scaldare la panna in un pentolino senza arrivare al bollore, unire il ciccolato e il burro e mescolare fino ad ottenere una crema liscia. Lasciare raffreddare quindi versare in una ciotola che possa essere inserita in una seconda ciotola più grande colmata di ghiaccio. Iniziare a montare con le fruste fino ad ottenere un composto gonfio.

Sistemare un primo disco di torta su un piatto o su di una alzatina con il sac à poche formare dei ciuffi regolari in modo da coprire completamente il disco, coprire quindi con un secondo e procedere allo stesso modo. Sul terzo disco disegnare dei ciuffi a piacere, a noi è piaciuto per un volta provare ad essere asimettriche.
Per decorare polvere d’oro per uso alimentare.

Nota: le bellissime candeline sono di pura c’era d’api e sono della meravigliosa Cereria Subirà vicino a acasa nostra qui a Barcellona, il più antico negozio ancora in attività della città: dal 1761.

Briochine intrecciate al ciccolato

La cosa, tocca dirlo, è cominciata come succede spesso ultimamente da una richiesta del Fotografo: voleva oggetti scuri su sfondo chiaro per la lezione sull’esposizione spinta al corso di fotografia avanzato. Pensa e ripensa, discuti e combatti, lui le sue idee io le mie.
Alla fine è venuto fuori un compromesso a forma di briochine avvitate su loro stesse.

Venerdì, dopo la lezione, sono state la merenda per tutto il parco

La ricetta

Per la brioche
550 g di farina di forza
120 ml di latte
45 g di burro
3 uova
4 g di lievito secco
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaio di grappa
1 uovo e un cucchiaio di cacao per spennellare

Crema al ciccolato e nocciole (ricetta di Marie):
60 g di olio di oliva
400 g di nocciole tostate senza la pellicina
300 g di ciccolato fondente al 70% (meglio se in pastiglie, altrimenti tagliato finemente)

Per preparare la crema versate nel frullatore l’olio, aggiungete quindi le nocciole e fate andare fino ad ottenere una crema (ci vorrà un poco di pazienza). Aggiungere quindi il ciccolato e continuate a lavorare fino ad ottenere una crema omogenea. Se volete una crema più densa conservate in frigo.

Scaldate il latte fino a che sia tipiedo, spegnete e aggiungete lo zucchero e la grappa, quindi il lievito, mescolate bene e tenete da parte. Nella planetaria versate la farina setacciata, inserite la foglia e lavorate a bassa velocità unendo il latte e le uova, una per volta.
Quando l’impasto avrà consistenza e si stacherà dalle pareti sostituite la foglia con il gancio e continuate a lavorare inserendo il burro poco alla volta. Lavorate a velocità 2 per circa 10 minuti, quindi formate una palla e fate lievitare l’impasto per almeno 2 ore, o comunque finché non avrà raddoppiato il volume.

Riprendetelo, lavoratelo sul piano leggermente infarinato e stendetelo in un rettangolo di circa 40 cm x 25 cm. Sulla superficie stendete ora la crema di ciccolato, quindi ripiegate il lato lungo su se stesso, in modo da formare un rettangolo di 20 per 25 cm. Tagliate delle strisce di impasto della larghezza di circa 1,5/2 cm (dovreste ottenerne 12-14 a seconda della larghezza), arrotolate ogni striscia su se stessa e formate delle “rose” irregolari. Sistemate ogni brioche in uno stampo da muffin (singolo, oppure collettivo come quello in foto) leggermente imburrato e fate riposare coperto da un panno finché non avrà raddoppiato il volume.

Al momento di infornare spennellare con l’uovo leggermente battuto con il cacao in polvere.
Infornate in forno già caldo a 180°C avendo cura di bagnare la base del forno con un bicchiere di acqua 3 minuti prima, cuocere per circa 20/25 minuti

Madeleines

Serve una scusa per fare le madeleines?

Qui siamo lontani dallo scomodare Proust, dal mettere in campo la zia Léonie, o anche la mia personale nostalgia per le scatole in balsa con la scritta rossa che, tanti anni fa, mi sapevano di Combray, ma che a pensarci oggi probabilmente avevano un sapore sintetico e un tantino industriale.

Le madelaines di oggi sono una cosa molto più pratica: ovvero uno dei pochi, pochissimi dolci che picciono ad Anna, di quelli che faccio io, ovviamente.
A otto anni siamo in una fase in cui quel che è fuori dalla nostra cucina è praticamente sempre più buono, molto più buono e meno noioso. Lo schiaffo più duro che mi brucia ogni volta è la salsa di pomodoro, che nella mensa catalana di Anna fanno infinitamente meglio di me. Sto cercando con fatica di raggiungere lo standard e quando mi ci avvicino Anna mi felicita e insieme misura la distanza che ancora mi manca di colmare: “mamma brava, è quasi, quasi (!) come quella di scuola”.

Salsa a parte, sono tornata ad essere affezionata alle madeleines. Finchè dura le inforniamo spesso.

La ricetta

110 g di zucchero
100 g di farina (1/3 di forza)
100 g di burro
2 uova
1 cucchiaino da caffé di lievito
la scorza di un limone non trattato
1 pizzico di sale

Montare lo zucchero con le uova e il pizzico di sale, aggiungere la scorza grattugiata del limone, il burro fuso e la farina setacciata con il lievito. Far riposare in frigorifero l’impasto per un paio d’ore. Al momento di utilizzarlo mescolarlo con vigore, quindi sistemare negli stampi e infornare a 180°C/200°C per i primi 5 minuti, quindi abbassare a 160°C fino ad ottenere una leggera doratura sui bordi. Sfornare e lasciar raffreddare.

biscotti zebra e biscotti leopardo

Ogni tanto bisogna guardarsi indietro, in cucina come nella vita e avere un blog in questo serve. Ti aiuta a non dimenticare, a non dimenticare tutto quello che hai cucinato, gli errori, i tentativi e anche i successi, ma soprattutto ti aiuta a ricordare i compromessi e le volte in cui hai cambiato idea.

Marie ed io ce lo ripetiamo sempre, a proposito di cose come il risotto al pomodoro e le barbabietole, e anche a proposito di cose un poco più serie. Cambiamo idea e probabilmente ci fa bene.

Ora però ci sono anche cose che rimangono uguali, nonostante la vita ti porti a misurare i passi lenti del compromesso. Io, ad esempio, con il cibo figurativo ho da sempre un problema. Qualunque cibo in forma di qualcosa mi mette soggezione. Non parlo ovviamente delle forme astratte e innocue dei tagliabiscotti, quelle possono permettersi di rappresentare alci, casette in canadà, o perfino las meninas di Picasso (ce l’ho tutte e tre giuro!); parlo invece delle verdure a forma di gattino, delle uova con gli occhiette e dei rapanelli a topolino, è più forte di me.

Ma tutto questo è roba vecchia e soprattutto già sentita.

L’ho scritto tante altre volte che detesto il figurativo alimentare, tutte le volte almeno in cui l’ho dovuto praticare.

Così guadandomi indietro ho scoperto che ho fatto una torta giraffa e una torta unicorno, nel frattempo Anna (e anche la sua amica Maria) hanno superato le praterie rosa degli unicorni, sono approdate non so bene dove, in un luogo in cui esistono solo i leggins e le salopette.

Questi biscotti dunque non sono un compromesso tanto speciale, anzi direi che sono un grado zero del figurativo in cucina. Giusto così, se qualcuno cercasse il coraggio per buttarsi…

La ricetta

per il colore di base
300 g di farina 00
100 di burro
100 di zucchero a velo
1 uovo e 2 tuorli
1 piccico di sale

Mescolate la farina, lo zucchero a velo, aggiungete il burro freddo in pezzi e cominciate a lavorare. Quando il composto sarà granuloso aggiungete le uova e impastate fino ad ottenere un composto omogeneo. Formate una palla, avvolgetela nella pellicola alimentare e conservate in frigo per un’ora.

per il marrone chiaro
300 g di farina
100 g di burro
60 g di zucchero a velo
40 g di cacao amaro in polvere
1 uovo e 2 tuorli
1 pizzico di sale

Setacciate la farina con lo zucchero e il cacao, unite il burro a dadini e impastate velocemente fino ad ottenere un composto in briciole. Incorporate le uova e il sale e lavorate fino che l’impasto non risulti omogeneo ed elastico. Avvolgetelo in pellicola alimentare e conservatelo in frigo per un’ora.

per il marrone scuro:
usare una parte della base marrone chiaro e incorporare cacao amaro fino ad ottenere il giusto tono

Per i biscotti leopardo stendere l’impasto chiaro in uno strato uniforme di circa 0,7 cm, prelevare piccole palline di impasto marrone e disporle sopra l’impasto steso, prelevare porzioni più piccole di impasto scuro e sistemarle ai bordi delle “macchie” più chiare (è più facile a farsi che a dirsi, tenete conto di dover disegnare la livrea di un leopardo…), infarinate leggermente la superficie e sistemateci sopra un foglio di carta da forno. Stendete con delicatezza con il mattarello in modo da incorporare gli impasti colorati al primo strato, quindi ritagliate con le forme che preferite.

Per i biscotti zebra stendete l’impasto marrone chiaro in uno strato uniforme, sistemateci sopra delle porzioni di impasto più scuro in striscioline (mantenendo sempra la stessa direzione!). Infarinate leggermente, sistemate sopra la carta da forno e stendete con il mattarello. Ritagliate poi con le formine che preferite.

Cuocete in forno già caldo (modalità ventilato) a 170°C per circa 10 minuti.

Biscotti con scorza di arancia e tè

In tutti questi anni abbiamo cucinato di tutto, ma alcune ricette sono diventate roba di famiglia, quelle cose che non ti deludono mai e che mai ti stancano, nemmeno ad impegnarsi.

Tra queste ci sono sicuramente i biscotti al burro, tè e sale di quel demonio di Martha Stewart che se li assaggi non te li scordi più. Non posso contare quante teglie ne abbiamo infornate, ma ci ho messo molto tempo anche solo ad immaginare di fare delle variazioni su quella ricetta originaria che si fa in 5 minuti e ti appassiona per sempre.

Il momento è arrivato nel fine settimana passato, chissà perché, forse semplicemente perché era il suo tempo e perché a Casa Perris, negozio delle meraviglie qui a Barcellona, abbiamo trovato della scorza essiccata di arancia che dà assuefazione. Io ve l’ho detto.

La ricetta

280 g di farina
230 g di burro a temperatura ambiente
60 g di zucchero a velo
1 cucchiaio raso di tè earl grey
1 cucchiaio raso di scorza di arancia essiccata
1/2 cucchiaino di sale in scaglie (o sale grosso)

Setacciare la farina, mescolare con il tè, la scorza di arancia e il sale (potete macinare il tè come consiglia Martha, ma a me personalmente piace sentire un poco di grana sotto i denti). Montare il burro con lo zucchero e unire poco per volta la farina fino ad ottenere un composto omogeneo. Formare un salsicciotto avvolgendolo in carta da forno e congelare per almeno 1 ora (potete scegliere il diametro dei biscotti, se preferite dei biscotti più piccoli preparate due salsicciotti). Trascorso il tempo tagliate dei dischi dello spessore di poco meno di un 1 cm con un coltello affilao a lama larga, disponeteli su una teglia da forno e infornate a 180°C per circa 15 minuti, sorvegliando che non scuriscano eccessivamente.

Biscotti turchi alle mele

Qui inizia una settimana anomala e impegnativa, vediamo come arriveremo in fondo. Ma intanto ci portiamo avanti parlando di questi dolcetti turchi alle mele che da soli sono una consolazione, e mi sa che questa settimana ne avremo bisogno…

La ricetta arriva diretta diretta dal blog di Eva che ho scoperto da poco (e per caso), ma che mi ha fatto felice. Dentro ci trovate molte ricette dolci, con spiegazioni dettagliate (in castigliano e in inglese) e anche bellissimi video in tempo reale per chiarire tutti i passaggi. Se date un’occhiata all’indice rimarrete sorpresi dalla quantità e dalla qualità delle ricette (anche quelle italiane più impensate) e la adorerete (ha elaborato persino un sistema per fare in casa i gusci delle sfogliatelle ricce, io però devo capire dove comprare la macchinetta della pasta formato maxi…).

Tornando a questi fagottini intrecciati di mele io devo confessare che li ho sbaffati tutti tra colazione e merenda: sono facili, carucci e adittivi. La ricetta è proprio quella di Eva con qualche piccolo adattamento dovuto più che altro alla mancanza della giusta grammatura di burro (e lo so, lo so che senza burro in casa non si dovrebbe stare… soprattutto di questi tempi).

La ricetta
400 g di farina debole
125 g di burro
125 g di yogurt tipo greco
50 g di crème fraiche
65 g di zucchero a velo
1 cucchiaino di lievito in polvere

per il ripieno:
4 mele
50 g di mandorle leggermente tritate
un pugnetto di uvetta
la scorza grattugiata di un limone e il suo succo
un cucchiaino di scorza di arancia essiccata (facoltativo)
1 cucchiaino di cannella grattugiata
1 cucchiaio (circa) di zucchero scuro (per noi panela)

Preparare il ripieno. Sbucciare le mele e tagliarle in pezzetti piccoli e regolari, cuocere a fuoco dolcissimo assieme al succo di limone, lo zucchero, l’uvetta e la cannella. Quando otterrete un composto omogeneo, spegnete e incorporate le mandorle e le scorze di agrumi. Lacsiate raffreddare completamente.

Setacciare la farina con il lievito (nota: nella ricetta originale c’è anche un cucchiaio di maizena ma io non ne avevo, inoltre è specificato che la quantità totale della farina necessaria va calibrata strada facendo).
Nel boccale della planetaria lavoriamo a velocità bassa il burro con la crème fraiche e lo zucchero a velo fino ad ottenere una crema omogenea (attenzione che gli ingredienti non siano freddi!). Incorporare quindi lo yogurt e poco alla volta la farina fino ad ottenere un composto omogeneo e liscio.
Rovesciare l’impasto sulla spianatoia e lavorare per circa 3 minuti, quindi formare una palla, corpire e lasciar riposare fuori dal frigo ma al fresco per un’ora.
Riprendere l’mpasto e dividerlo in 8 pezzi (da circa 90 g ciascuno), quindi stendere ognuno in un disco di circa 30 cm di diametro e dividere ogni disco in due metà e quindi in 4/4 (come se facessimo fette di una torta).
Incidere ogni quarto con dei tagli a V con l’apice verso la punta (trovate le foto sul blog di Eva), farcire con il composto di mele e richiudere i lembi in basso ripiegandone uno sull’altro come quando ci allacciamo la vestaglia (Eva lo spiega proprio così ;))

Sistemare i biscotti su di una teglia rivestita di carta da forno e conservare in frigorifero per mezz’ora. nel frattempo scaldare il forno a 180°C e quindi infornare in forno già caldo per circa 20 minuti (non devono colorarsi troppo).
Una volta freddi spolverizzare con zucchero a velo.

Se riuscite a non mangiarveli tutti si conservano bene in una scatola di latta.

Cruffins

Chi non li ha visti? A mezza via tra i muffin e i croissants i cruffins hanno un nome francamente orribile, ma sono irresistibili. Sfogliati ma non troppo, consistenti ma arrendevoli, burrosi il giusto e pure farcibili al gusto (se riuscite a non finirli tutti il primo giorno).

L’idea ce l’ha data Sara, che fa sembrare possibile ogni cosa. Poi era rimasta lì, tra transiti, lavori, arrivi, partenze, altro lavoro, altre partenze, i corsi e un anno in cui la programmazione non è (ancora) l’esercizio più facile del mondo.

Ma il mondo non si ferma, Anna continua a fare merenda, noi a fotografare e i pensieri a lavorarti dentro, dunque è arrivato il tempo dei cruffins. Manco a dirlo sono finiti direttamente sulla ribalta della prima giornata del corso sul corpo e l’azione nella fotografia di cibo, con due cambi d’abito ed esercizi infiniti sulle serpentine di zucchero a velo. Il secondo giorno, finalmente, li abbiamo mangiati.

La ricetta

per circa 12 cruffins

400 g di farina
80 g di zucchero
130 g di latte
50 ml di acqua
50 g di burro
1 uovo
5 g di lievito di birra secco

+ 130 g di burro
zucchero a velo

Setacciare la farina e raccoglierla nel boccale dell’impastatrice. Scaldare il latte finché risulti tiepido, conservarne mezzo bicchiere per sciogliere il lievito e versare il resto nella planetaria, aggiungere l’acqua, lo zucchero, il lievito ben sciolto e infine l’uovo. Lavorare tutto a velocità bassa fino ad ottenere un impasto omogeneo, incorporare prima 25 g di burro e quando sarà perfettamente integrato gli altri 25 g. Formare una palla e far lievitare l’impasto finché non avrà raddoppiato il volume (a me con la casa fredda sono servite circa 3 ore).

Riprendete l’impasto, dividetelo a metà e da ogni metà ricavate tre parti. Formate delle palline regolari e lasciatele riposare coperte per una mezz’ora, quindi con l’aiuto della macchinetta per la pasta stendetele una alla volta in rettangoli regolari e fini (io sono arrivata allo spessore 4). Su ogni rettangolo spalmate abbondante burro ammorbidito, quindi con pazienza e attenzione arrotolate partendo da uno dei lati corti e formando una sorta di rotolino. Una volta terminato questo lavoro (che è il più noioso) conservate i sei rotoli in frigo per un’ora.

Imburrate e infarinate degli stampi da muffins.
Riprendete i rotolini e con un coltello a lama larga e ben affilato tagliate ogni rotolino a metà nel senso della lunghezza. Ora, tenendo la parte sfogliata verso l’esterno, arrotolate ogni segmento su se stesso, formando una sorta di spirale non troppo chiusa sugli apici. Sitemate ogni spirale in uno stampino, coprite con un panno e fate lievitare ancora per un’ora in un posto non troppo caldo. Cuocete in forno già caldo a 180°C per circa 20 minuti.
Una volta freddi cospargeteli con zucchero a velo.

Nota: con la marmellata di lamponi sono spettacolari!

Collorelle siciliane

Se mio padre legge che le ho chiamate “collorelle” farà il diavolo a quattro. Per lui son “cudduredde/i” con quella “e” che rimane sospesa tra i denti a mezza via con una “i”, ma ambigua, acennata, con dentro quel gesto dal basso verso l’alto che solo in Sicilia vuol dire no invece che sì.

Tutti i popoli del mondo dicono no muovendo il capo lateralmente e dicono sì muovendo quel medesimo capo lungo l’asse verticale, i siciliani no, i siciliani dicono, anzi accennano a un no (in realtà molto definitivo) muovendo leggermente la testa dal basso verso l’alto.
Da questo si dovrebbe poter capire perché in Sicilia una ricetta ha mille versioni e tutte e mille pretendono di essere l’unica, l’autentica, l’assoluta! A garanzia si chiamano in causa numi tutelari familiari da tre o quattro generazioni, la zia Maria, la nonna Concettina, le cugine… tutte femmine e tutte da secoli riunite attorno al tavolo di marmo della cucina a impastare, spesso assieme, quando l’occasione lo richiede.

Così è di questi dolcetti che per me erano rimasti in fondo un racconto mitologico, fino a questo Natale.


Mio padre, nato a sud dei monti Erei in un piccolo paese nei dintorni di Caltagirone, aveva delle zie e delle cugine di città (di Caltagirone appunto…). Le zie, ed in particolare una, la zia Gina, avevano l’eredità perduta di una fabbrica di ceramiche e un negozio di mode in cui mio padre, bambolotto di sei mesi, finì esposto nella vetrina in completo di lana d’angora e boccolo-tirabaci sulla fonte.
Negozio a parte le zie, e le cugine, Aurelia e Letizia, a metà dicembre, puntuali, si mettevano al lavoro. Era lavoro collettivo e impegnativo, con molti chili di impasto e molte ore davanti, ma il risultato era un merletto finissimo con un ripieno di semola, mandorle e miele. Roba da mille e una notte. E nelle mille e una notte il ricordo era rimasto prigioniero, ah ‘e cudduredde/i, quelle vere, mica quelle schifezze/rozze che fanno a Giarre (ndr il paese di mia madre…)

E le codduredde/i, o collorelle son rimaste solo memoria. Ci è voluta la testardaggine e l’amore di Lucilla per decidere che quest’anno andavano fatte sì, o sì. Così, con la ricetta arrivata via watsup da Maria Antonietta (prontipote delle cugine) si è messa pazientemente al lavoro, con l’intrepida incoscienza di quando si mette in cantiere una ricetta tradizionale che non solo non si è mai vista fare, ma nemmeno mai assaggiato (so di cosa parlo…) .

Il risultato ha premiato lo sforzo e alcune cose si sono capite lungo il cammino, come ad esempio la cottura per la quale non c’era molto appiglio nella ricetta delle zie…

La ricetta (delle zie, in realtà cugine di mio padre, di Caltagirone)

per la pasta
1 kg di farina
250 g di strutto (per noi burro)
250 g di zucchero

Per il ripieno:
500 g di miele (per noi castagno, ma sospetto in Sicilia sarebbe di zagara)
300 g di farina di semola
200 g di mandorle tostate e tritate
scorza di arancia grattugiata
100 ml circa di acqua

Per la pasta formate una fontana sul piano di lavoro al centro unite lo strutto o il burro ammorbidito e cominciate a lavorare con la punta delle dita, incorporare poca acqua alla volta fino ad ottenere un impasto omogeneo e liscio. Raccoglietelo in una ciotola copritelo con un piattino e uno strofinaccio e lasciatelo riposare tutta la notte.

Dedicatevi al ripieno. In un tegame dal fondo spesso scaldare il miele con l’acqua, unire le mandorle tostate e tritate, la scorza di arancia grattugiata e quindi la semola poco per volta. Mescolare finché il composto non si addensa ma senza arrivare al punto che sia troppo duro e difficile da maneggiare.

Riprendete l’impasto e stendetelo prima al mattarello e poi con l’aiuto di una macchinetta per la pasta fino ad ottenere delle lunghe strisce. Con l’impasto formate dei salsicciotti che avvolgerete con la pasta stesa, confezionando con pazienza degli anelli.
Decorateli quindi con dei piccoli pizzichi sull’impasto (noi abbiamo usato le pinzette per le sopracciglia…) quindi cuocete in forno a 180°C per circa 15/20 minuti, e sfornate non appena iniziano a indorare.


Note. Se volete ammirare gli strumenti bellissimi con cui si realizzano i pizzichi guardate qui, vi farete anche un’idea più precisa di come procedere con l’arrotolatura dell’impasto. Io purtroppo questa volta mi sono ricordata di Chez Munita troppo tardi e pensare che avevo pure lasciato un commento… ma son passati 11 anni, (ehm..)

La torta di crêpes

Questa cosina qui era rimasta indietro, pubblicata solo su Instagram ma preparata per uno dei set della prima edizione della scuola di Fotografia, negli ultimi mesi del faticoso anno passato.

Proprio ieri è cominciata la seconda edizione della scuola, con un gruppo bellissimo tra San Diego California, una barca nel porto di Catania, il Trentino, Milano, Genova, Roma, l’Emilia che guarda a Barcellona, Mantova, …. E a riguardarla da qui la torta ritrova tutto il suo fascino, probabilmente anche perché ho dimenticato le ore che ho passato a fare crêpes sottilissime, un sabato mattina, impilandole con pazienza e concedendo ad Anna solo assaggi di quelle venute male.

Se vi sentite pazienti dunque buttatevi! Per incoraggiarvi devo dire che archiviata la cottura delle crêpes il resto è una “discesa” piacevolissima che vi riempirà di soddisfazioni.

La ricetta

Ingredienti:

per le crêpes:
500 g di farina
8 uova
1 l di latte
1 pizzico abbondante di sale
un po’ di olio extra vergine di oliva

Per la glassa al cioccolato:
400 g di cioccolato 70%
200 g di panna fresca
1 noce di burro

per il ripieno di ricotta
300 g di ricotta
200 g di panna
(se volete osare, potete sostituire la ricotta con il mascarpone)

Nocciole tostate e alchechengi per decorare


Sitemate la farina in un recipiente, formate la fontana, al centro rompete le uova e cominciate a lavorare. Incorporate piano piano il latte, il sale e l’olio alla fine, facendo attenzione a non formare grumi. Lasciate riposare l’impasto almeno un paio d’ore, ma meglio tutta la notte.
Imburrate una padella, oppure ungete con un poco di olio, e una volta trovato il giusto calore della padella dispondete una mestolata di impasto. Muovete la padella per distribuirlo uniformemente e lasciate cuocere a fuoco dolce, finché non cominceranno a formarsi delle bollicine e i bordi si solleveranno leggermente. è il momento di girare le crêpes, potete farle saltare o aiutarvi con una paletta di silicone. Una volta girata fate cuocere la crêpe un minuto anche dal secondo lato e quindi sistematela su di un piatto. Procedete così, con pazienza, con tutto l’impasto. Non scoraggiatevi se le prime vi verranno male, è normale! Considerate che di tanto in tanto dovrete ungere nuovemente la padella ma sempre con parsimonia: non deve friggere, ma sempliemente non attaccarsi.

Preparate la ganache di cioccolato: tagliate a pezzetti piccoli e regolari il cioccolato e versatelo nella panna bollente, spegnete, mescolate con vigore e aggiungete il burro.

Montate la panna fredda, se volete aggiungete un paio di cucchiai di zucchero a velo, ma per noi non è stato necessario. Incorporate quindi con delicatezza la ricotta (o, se volete peccare, il mascarpone!).

Montate la torta. Sistemate la prima crêpe direttamente sul piatto dove servirete il dolce, cercando di posizionarla ben al centro. Spalmate uno strato sottile di farcia di ricotta e ricoprite con una seconda crêpe, spalmate quindi con la ganache di cioccolato (sempre in strato sottile e senza arrivare troppo sui bordi) e ricoprite con la terza crêpe. Procedete così fino a terminare gli ingredienti (o la pazienza).
In cima decorate con nocciole tostate, alchechengi e un poco di ganache al cioccolato.


Note: La ricetta per le crêpes è quella collaudata della Marie e pure della nonna bretone del Fotografo, semplicemente in doppia dose, la trovate qui:
http://lacucinadicalycanthus.com/?p=6038
Come raccomandava la nonna Fanette se riposano una notte in frigo saranno molto meglio.

Per la farcitura noi abbiamo alternato uno strato sottile di ricotta e panna da montare con uno strato di ganache al cioccolato ma considerate che potete variare a piacere, ricordando però che l’alternanza degli strati è una buona soluzione per evitare l’effetto stucchevole o eccessivamente secco.
Potete servirla con un cucchiaio di panna e un extra di ciccolato e nocciole.

Il budino di cachi

Quest’anno è stato quasi un tormentone: il budino miracoloso di cachi, fatto solo con frutto maturo e un cucchiaio di cacao amaro, pareva troppo bello per essere vero.

Toccava provarci, soprattutto perché il Fotografo, con la sua dieta intransigente non tollera praticamente nulla ma rimpiange parecchio, anche se non lo dà (troppo) a vedere.

Dunque ci abbiamo provato, e la prima volta è stato un disastro. Distratta e anche un poco scettica ho spellato il caco e ovviamente, la cosa non ha funzionato (è infatti la buccia lapposa del caco che funziona come addensante naturale..). La seconda volta ero concentrata, ma in quel fine settimana il Fotografo aveva già fatto fuori frullatore, minipimer e macinasemi in una volta sola, dunque ho tentato di “frullarlo” con la frusta del Kitchen aid…. inutile dire come è andata.

La terza volta ha funzionato. Frullatore nuovo qui a casa a Rovereto, buccia inclusa e 1 cucchiaio e mezzo di cacao in polvere. Tutto qui, consistenza perfetta già nel frullatore. Un’ora di riposo ed era pronto.

Miracoloso quindi, ma ti devono piacere i cachi, e questa è un’altra storia.

La ricetta

1 caco maturo, lavato e con la buccia
1 cucchiaio o 1 cucchiaio e mezzo di cacao in polvere
+ 1 frullatore

Lavate il caco, eliminate il picciolo e tagliatelo in grossi pezzi con tutta la buccia. Versate nel boccale del frullatore, aggiungete il cacao e frullate fino ad ottenere una crema omogenea e corposa. Versate nelle forme e aspettate che si solidifichi (a me non è servito il frigorifero). Al momento di servire, se vi piace, aggiungete una spolverate di cannella.

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