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roba verde (o quasi)

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Insalata siciliana ma pure un poco andalusa

Qui a Barcellona la primavera ci fa soffrire. Quest’anno piove da un tempo così lungo che non ne ho più memoria e tutto è così in ritardo che ho persino voglia di fare il cambio degli armadi. Mi pentirò di averlo detto non appena ci dovrò mettere mano, ma per ora lana, cappotto e arance.

Questa insalata che è un classico assoluto in Sicilia ha mille varianti, ma si declina quasi sempre con finocchio e olive nere. Potete aggiungere prezzemolo, pepe nero e se vi piace l’idea anche filetti di aringa o cipolla rossa. Poi siccome tutto il Mediterraneo è paese e le parentele tra la Sicilia e la Spagna sono cose di sostanza ho scoperto che in Andalusia si fa uguale, ma con il baccalà crudo e qualche volta con l’uovo sodo.

Qui trovate dunque un appunto da cui partire, se avete ancora arance a disposizione scegliete la vostra rotta, altrimenti appuntatevela per quando torneranno fresche nei banchi dei mercati.

La ricetta
4 arance
1 finocchio grande
(succo di limone)
+
tocco sapido (ad esempio olive nere, o feta come nel nostro caso)
cipolla (cipolla rossa, oppure porro, oppure cipollotto fresco)
+
pesce in conserva (aringa o baccalà, ma in questo caso evitate il tocco sapido se non volete bere tutto il giorno…)
+
erbe aromatiche (prezzemolo, coriandolo fresco, oppure come nel nostro caso fiori di calendula)

Per condire:
Olio extravergine di oliva
aceto e sale (oppure acidulato di umeboshi)

Tagliate le arance, se volete essere sofisticati pelatele a vivo (ovvero eliminate con un coltello affilato tutta la buccia intaccando anche la pellicina bianca, quindi sempre con il coltello ricavate gli spicchi seguendo le nervature dell’arancia… è un poco faticoso e complicato da spiegare ma in questo modo otterrette degli spicchi privi di pellicina). Se, come nel nostro caso, avete arance bio e sanguigne che vi sono costate un occhio, potete tagliarle a rondelle fini tenendo anche la buccia (sono più complicate da mangiare però più estetiche).
Lavate i finocchi, eliminate lo strato più esterno quindi tagliate a fettine sottili, immergndole man mano in succo di limone.
Affettate finemente i porri (o le cipolle).
Montate quindi il piatto cominciando con i finocchi, quindi le arance, poi olive nere o feta o aringa o baccalà, completate con la cipolla, le barbe verdi del finocchio e condite.

Verza al forno (facilissima)

Quanto è bella la verza?
Eppure io e lei abbiamo avuto in questi anni un rapporto altalenante, grandi entusiasmi e grande stanchezza, ne compro troppa o manco la vedo, perché diciamocelo la verza è una roba un poco difficile da gestire.

Troppo grande quando è bella, troppo faticosa da tagliare, troppo lunga da finire: il terzo giorno che la rimetti in tavola sai che ti “sacrificherai” solo tu.

Ora credo di aver trovato la soluzione giusta, quella che fa per me (e per i miei commensali, Anna inclusa). Si fa praticamente da sola, non “lascia prigionieri” e consente persino di dosare al gusto.

La traccia, l’idea, il metodo me lo ha suggerito lei, Sasha, che seguo con attenzione su Intagram perché i suoi contenuti sono densi e i suoi consigli veramente sul campo.
Poi ho proceduto un poco a naso, e soprattutto secondo quello che avevo in frigo, anche in certe sere di cena all’ultimo minuto.

Ho fatto così.
Ho abbracciato la verza più bella del mercato, a casa ho staccato le foglie più esterne per metterle nel brodo (o anche per una vellutata con le patate). Ho ripreso la verza che a questo punto è una specie di palla, l’ho lavata agilmente sotto l’acqua corrente e l’ho tagliata a metà in verticale con un coltello affilato a lama larga. Sempre con lo stesso coltello ho tagliato delle fettone di circa 1,5 centimetri le ho sistemate sulla placca del forno rivestita di carta, le ho irrorate di succo di limone e/o acidulato di umeboshi (ma anche tamari, soya, etc) ho aggiunto fette di limone, erbette al gusto (qualche volta origano, altre volte cumino, ma anche semi di finocchio, etc) e olio extravergine di oliva.
Ho lasciato così per una mezz’ora, poi ho acceso il forno ed ho cotto tutto a 200°C finché non cominciava a dorare, a quel punto ho tolto dal forno, girato, cosparso con lievito di birra in scaglie (o anche granella di mandorle, noci, o nocciole) e un altro giro di olio extravergine di oliva più altre erbette al gusto. Di nuovo in forno fino a doratura leggera.

Note. Potete variare come volete le spezie e i condimenti, vi consiglio però di considerare sempre una nota acida, una salata e una aromatica. L’aggiunta del lievito in scaglie o della grandella di frutta secca serve più che altro a permettere un minimo di gratinatura che sta sempre bene, se non avete problemi con i cereali potete usare tranquillamente pangrattato. Se la verza è molto grande potete farne solo metà e conservare l’altra metà per un’altra sera, ma a casa nostra di solito finisce tutta intera.

Hummus verde

Ve la ricordate la prima volta che avete mangiato l’hummus? Io credo di averla ormai persa di vista, ma quasi sicuramente deve essere successo a Parigi, durante l’Erasmus quando la città, grande e cosmopolita, mi ha insegnato tante cose, anche in cucina.

Che poi fosse tanto facile da fare pareva una meraviglia, con l’unica difficltà una volta rientrata in Italia di reperire la tahina, che allora era una cosa super-esotica. Così difficile da trovare che avevamo imparato a sostituire con altre cose, a volte assurde, qualche volta con lo yogurt e spesso semplicemente a farne a meno, emulsionando con l’olio extravergine di oliva e il limone.

Oggi è un piatto del nostro menù frequentissimo e sdoganato, in estate come in inverno e tendiamo anche per assimilazione a combinarlo in molti colori.

Questa versione che è semplicissima aggiunge gli spinacini freschi, se lo avete mezzo avocado e per guarnire scaglie di cocco. Semplice e superhealty, parola (e concetto…) che a Parigi ignoravamo totalmente.

La ricetta (ad occhio)

Se partite dai ceci secchi (che sarebbe l’deale) metteteli a mollo in frigorifero per almeno 24 ore. Noi facciamo così: teniamo sempre un barattolo con i ceci in acqua nel frigo, quando li usiamo ne mettiamo un barattolo nuovo, così da non doverci pensare prima. Tenete presente che possono stare tranquillamente 3-4 giorni e probabilmente anche di più, semplicemente saranno più facili da cuocere.
Quando li usate scolateli, sciacquateli bene e metteteli a cuocere in una pentola capace con molta acqua e un cucchiaino di bicarbonato. tenete la fiammo dolce e quando saranno cotti spegnete. Scolateli conservando un poco dell’acqua di cottura (ma pure tutta, perché è la preziosa acqua faba che serve per un milione di cose magiche: guardate qui).
Raccogliete i ceci ancora caldi nel boccale del frullatore aggiungete la tahina (tanta, in genere e secondo la lezione di Ottolenghi circa metà del peso dei ceci a secco, per esempio per 200 g di ceci 100 g di tahina), il succo di limone, uno spicchio di aglio (o di più a seconda della quantità dei ceci e del gusto) sale qb. Frullate aggiungendo un poco di acqua di cottura fino ad ottenere una consistenza cremosa, a questo punto introducete 2 manciate di spiancino tenero (ovviamente ben lavato e asciugato) e un quarto di avocado, frullate ancora, assaggiate e regolate al vostro gusto. Servite con scaglie di cocco e un filo di olio extravergine di oliva.

Zuppa fredda di crescione

Succede ogni anno al rientro: la casa è rimasta chiusa più di un mese, a volte due, le piante hanno sofferto e il frigorifero è vuoto.

Arranchiamo allora le prime ore, contenti di scovare riserve insperate (una scatola di sardine del viaggio in Portogallo, un fondo di riso integrale, un barattolo di olive…) e amministrandoci con parsimonia le cose che abbiamo riportato in valigia, stipate in ogni spazietto, a volte quasi inventato.

Poi facciamo la spesa sulla scia delle voglie, ma qualcosa scappa sempre fuori in una casa rimasta disabitata e così capita pure che ti immagini una zuppa fredda di cetrioli e ti dimentichi i cetrioli.
La zuppa in questione era questa, semplice, facile e salutista, visto che abbiamo ovviamente ritrovato anche i buoni propositi di settembre, assieme al solito brusco calo delle temperature.

Poco male, cenare bisognava pure cenare e dunque aprendo il cassetto delle verdure nel frigo si è scoperto che non c’erano i cetrioli ma c’era il crescione.

La cosa valga di promemoria: il verde spesso si può intercambiare con un verde diverso. Se non sono cetrioli è crescione, se non è crescione potrebbero essere spinacini teneri (e ben lavati), rughetta, portulaca, magari pure un avocado.

Insomma questa più che una ricetta è una traccia.

La ricetta (o la traccia) x 2 persone

2 tazze di crescione (o di spinacino, o di rughetta o anche 1 avocado)
tre rametti folti di menta fresca
la scorza di mezzo limone non trattato possibilmente verde
1 spicchio di aglio
origano
200 g di yogurt (vegetale o di capra)
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
acidulato di umeboshi (o sale)

Nel boccale del frullatore raccogliere lo yogurt, l’olio, l’aglio, la scorza di limone e il crescione. Cominciare a frullare a bassa velocità aggiungendo poca acqua fredda, quando comincia ad essere ben emulsionato aggiungere la menta e l’origano (a piacere). Regolare con l’acidulato di umeboshi o il sale e conservare in frigo almeno un’ora prima di servire.

Nota: potete tenere la zuppa più o meno consistente aggiungendo poca acqua fredda alla volta. Se non usate l’acidulato di umeboshi ma il sale, potete aggiungere un cucchiaio di succo di limone.

Pomodori, ricotta salata, albicocche e rosmarino

Ricetta di corsa e anche un poco “per finta”, giusto per dire che i pomodori sono nel loro momento, che vale la pena di scovarne tutte le forme, i colori e le sfumature.

Noi qui ne stiamo scovando di ogni tipo (compreso uno mai visto che si qui chiamano mammella di monaca!!) e le insalate vengono un poco da sè, con quello che c’è in frigo e andando oltre il cliché.

La ricetta

Ingrdienti
4-5 pomodri dei più strani che riuscite a trovare
2-3 albicocche o 1 pescanoce
40 g di ricotta salata di pecora
2 rametti i rosmarino anche di più se vi piace
mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva
sale martino (con moderazione)

Per prima cosa versate l’olio in un pentolino e unite il rosmarino, mettete sul fuoco a fiamma bassissima e non appena l’olio comincia a scottare spegnete e lasciate raffreddare. Lavate i pomodori e tagliateli in una forma che vi piaccia. Lavate la frutta e tagliate anche quella.
Tagliate la ricotta salata in scaglie sottili.
Componete il piatto e condite co l’olio al rosmarino. Tutto qui.

PS il Fotografo ha imparato un trucco, lo scrivo qui così forse non si accorge che lo rivelo: passate i pomodori interi per 5 minuti nel forno a 60°C prima di tagliarli… vedrete!

Primavera

L’inzio di maggio è stato un poco in salita. Il fatto è che fuori è primavera, ce ne siamo accorti persino tra le mura di casa e mentre il calendario ci ricordava che avremmo dovuto essere tutti insieme in campagna, proprio in questi giorni proprio in queste ore, ci è invece toccato tra capo e collo il cambio degli armadi.

Ci sono catastrofi peggiori, lo so benissimo, ma quest’anno è stato difficile e strano, con l’umore scollato dal sole alla finestra e montagne di vestiti ad accomularsi ovunque, come se l’armadio fosse esploso. Quando li metterò? Quando li ho messi? Non c’è stato l’inverno, e la primavera è arrivata senza che l’aspettassi.

E dire che proprio quest’anno ci eravamo organizzati bene, e per tempo. Domenica passata l’avremmo duvuta passare nel Chianti, in una grande tavolata tra le vigne. Avevamo preparato le tovaglie, immaginato già un poco i menù e raccolto attorno a quel tavolo grande già molti amici, vecchi e nuovi.

Lo so, ci sarà il tempo nuovo per i corsi di fotografia, per i pranzi condivisi, per quel modo di stare insieme che abbiamo cominciato a disegnare Marie ed io. Ma intanto oggi la primavera che è là fuori manca più degli altri anni: mi mancano le peonie, e anche i lilà, mi manca Marie, mi manca quella luce speciale che c’è in campagna, le chiacchiere fitte fitte nella cucina. Le cose che crescono e fioriscono, il verde nuovo.

Ma ci proviamo a rimediare come possiamo. O perlomeno a seminare promemoria ed esperimenti, per Anna, ma in fondo anche e molto per noi grandi. Anche in città succedono meraviglie, persino durante una pandemia.

Se tagli secco il tronco di un sedano e lo metti in acqua avrai una pianta nuova, giustamente lenta ma tutta nuova. Ci crederesti? I rametti di menta che l’Enriqueta ci regala quando compriamo il pesce hanno messo radici, i semi di mela piantati nel cotone il 23 di marzo sono germinatissimi ed è tempo di trasferire in terra e persino i microscopici semini di limone, che abbiamo affidato al cartone delle uova, sono alberelli lillipuziani. L’avocado lui, va come sempre lentissimo, ma qui il tempo non ci manca. Lo aspetteremo.

Poi al mercato (che qui non ha mai chiuso, ma che anzi si è organizzato egregiamente per servire in sicurezza e a domicilio) hanno pensato che valesse la pena di fare primavera in tutti i balconi della città. Le piante che non hanno potuto essere piantate nei parchi (chiusi fino alla settimana scorsa) sono state regalate in tutti i mercati di Barcellona: all’ingresso e anhe ad ogni singolo banco.

Quel giorno coincideva con la prima vera uscita di casa per Anna: siamo tornate a casa con un bottino favoloso, per la nostra primavera.

Gallette di riciclo

Qui non si butta via niente. Ma niente per davvero.

Non dovrebbe essere una novità: ci sembra(va) di avere sempre fatto molta attenzione, di essere stati responsabili, addirittura virtuosi, conservando gli scarti delle verdure per il brodo, inventando modi per riciclare degnamente ogni avanzo, e facendo lavorare a regime pieno quel congelatore che, appena arrivati nella casa nuova a Barcellona, ho voluto enorme.

Ma qui la quarantena ci sta insegnando la differenza tra la pratica e la teoria.

Non si tratta solo di non comprare più di quello che si potrà mangiare, di non lasciar scadere un cartone di latte, o di trovare un degno utilizzo per ogni albume che si sia separato dal suo tuorlo, o viceversa. Qui si tratta di cacolare bene quel che entra e quel che esce.

Noi usciamo poco, una o due volte la settimana, cercando di mettere dentro al piano della spesa quello che ci serve anche per i progetti, essendo la nostra cucina inseparabile ormai da molti anni dal nostro lavoro. Non è semplice, anche contando che ognuno ha le sue esigenze: il Fotografo la sua dieta salutista, Anna idiosincrasie ed amori assoluti da seienne, ed io un aumento considerevole del bisogno di carboidarti. Toccherà riparlarne.

Vivendo poi al quinto piano e senza ascensore, anche scendere a portare l’immondizia sembra di questi tempi un esercizio che merita premeditazione. Colpa di questo, o merito del tempo io mi sono messa finalmente al lievito madre (che a proposito sembra crescere florido e prosperoso) e il Fotografo si è messo a fare crackers salutisti dei resti delle sue centrifughe mattutine.

Alambicca, miscela, gioca persino con il colore e poi mi occupa il forno per ore ed ore, ma voi mettere non disperdere tutte quelle fibre semplicemente nella spazzatura? (… e non dover scendere a buttarla?)

La ricetta

10 foglie di kale
3 carote
1 barbabietola
1 pezzetto di zenzero
una manciata di mandorle tritate
una manciata di semi di lino tritati
1 cucchiaio raso di psyllium
1 pizzico di pepe di cayenna
1 pizzico di curcuma in polvere

Preparate l’estratto con gli ingredienti freschi, bevetevelo.
Raccogliete i resti delle fibre vegetali e mescolate con il resto degli ingredienti. Otterrete una specie di composto sabbioso. Stendetelo il più fino possibile su un foglio di carta da forno o su un tappetino antiaderente e lasciatelo seccare nell’essiccatore se lo avete, o nel forno ventilato al minimo. Una volta secco (ci vorranno parecchie ore…), tagliate in quadrati o in rettangoli e conservate in un barattolo ermetico.

insalata di pomodori catalani

Qui stamattina si sono chiuse valigie brevi: scappata in Galizia, quasi alla fine del mondo, a recuperare un poco di fresco e una bimba che è stata in vacanza lì, a cavallo del fiume, tra Spagna e Portogallo. A casa rimane il Fotografo, felice del caldo, felice dei ritmi lenti, felice della sua Barcellona da godersi per qualche giorno senza femmine…

La minestra dei forti

Sono stati giorni concentrati e lenti, con un tempo misurato dalle esigenze del corpo, quel filo scontato e teso che sembra funzionare quando non lo avvertiamo ed esistere solo quando si impunta nel chiedere attenzioni.
Sono stati, e sono, gorni di passi piccoli in cerca di nuove routine, fuori dalla nostra abituale vita acrobatica tra Roma e Barcellona, ma con acrobazie diverse e spericolate avventure. Siamo tornati a passeggiare nell’inverno trentino proprio quando è rifiorito il calycanthus e a concentrare le cure su cose minute ed essenziali, quelle di sempre in fondo, mangiare, dormire, starsi accanto e insieme.

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