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Sicilia 2022

Eccoci qui a tirare le somme. Settembre è così, un mese di raccordo: un poco inizio e un poco fine dell’anno.

Per i buoni propositi, le liste fitte, la giacca sulle spalle e il cambio dell’armadio ci sarà tempo (almeno spero), e questi primi giorni di questo mese lungo e insieme corto possiamo indugiare un poco con gli occhi e tutto il resto sulla Sicilia ancora vicina.

A Cerzazza, nel nostro giardino di limoni ai piedi dell’Etna abbiamo passato una stagione lunga, quasi due mesi che pure sono volati con il ritmo naturale della luce e quello accellerato di una casa che chiedeva molte cure.
Ho aperto cassetti, rivoluzionato armadi, pulito angoli remoti, potato strelizie, coccolato il gelsomino, domato aloe arborescente e un pergolato di kiwi ombroso ma incline a diventare selvaggio. Insomma abbiamo abitato la casa, il giardino, lo spazio e anche un tempo che è stato nostro come forse nessuna estate prima di questa.
Viene da dire che siamo diventati grandi, e forse era ora.

Molta di questa energia è arrivata dalla nostra Officina: abbiamo aperto la casa, il giardino, la campagna, lo spazio sotto il gelso al primo corso di Fotografia di cibo tornato in presenza. Chi segue questa pagina anche su instagram avrà sicuramente trovato le tracce di un’emozione che è stata forte e condivisa, ma il senso di scriverne qui è quello di provare a serbarne la memoria, visto che queste pagine sono prima di tutto un diario.

Anna per parte sua ha inaugurato un suo personalissimo quaderno in cui ha annotato le cose che ha imparato questa estate (oltre che una lista di tutte le cose nuove scoperte, dove 9 su 10 si mangiano). Al primo posto andare sott’acqua, al secondo dormire finalmente da sola, al terzo camminare a piedi nudi fino alla saia. A me è sembrato bellissimo, anche perché tra le sue scoperte c’è la merenda con la limonata ghiaccata e il pane tagliato a listarelle, come me lo faceva mio nonno.

Ho provato mentalmente a copiare il suo elenco limpido, ma mi incaglio facilmente e non so sempre capire se posso spuntare la casella conquiste o quella buoni propositi, ma il senso sì lo tengo tra le dita: tocca avere il coraggio di fare quello che ci fa felici, prima di tutto immaginandolo e poi senza paura, un cassetto alla volta.

Lo appunto qui, così che me ne possa ricordare anche quando la luce comincia a calare e l’energia si affloscia sul divano. Ma lo annoto anche come una conquista, come qualcosa che devo a me stessa, come quando si arriva al fondo di una ricetta mai osata, alla fine di un lievitato complesso, o dei molti passaggi per la pasta sfoglia.
Siamo arrivati fin qui, non era poi così difficile, o forse sì, c’è voluto tempo, attenzione e pazienza ma guarda che meraviglia questa brioche sfogliata!

Ecco sì, ma cosa abbiamo mangiato?
ci ripenso guardando ai giorni in campagna e mi torna in mente soprattutto la cucina larga e il tavolo fuori, come se il mangiare fosse più un tempo e un luogo che non un ingrediente o una ricetta. La verità è anche che il fatto stesso di tornare, e di tornare dove si sente una radice, ti “obbliga” ogni volta a ripassare in rassegna tutti i sapori e le cose che ti sono mancate: granite, arancini, frittelle alle feste padronali, parmigiana e caponata appena si è seduti a tavola in più di cinque. Insomma abbiamo ripassato i classici, uno per uno, ma non solo.

Ci pensavo proprio nella lunga notte di viaggio che ci ha riportato a Roma sui viadotti infiniti che dalla Calabria ti transitano finalmente nella Lucania stretta e poi in Campania, la vita del blog e quella dei social poi, ha finito per tracciare una strana assurda linea di demarcazione: se si mangia due volte non si può più dire!
Come se il fatto di non volersi ripetere allontanasse la vita reale da quella comunicata. Ora però se pure capisco benissimo l’esigenza di comunicare e raccontare cose e ricette nuove, esperienze e scoperte, so anche dopo tutti questi anni di esercizio che la cucina è fatta anche di ritorno sui propri passi. Di ciclicità e di ricorrenza, non solo perché ci piace mangiare due volte quello che ci piace (ma pure tre, ma pure quattro, ma pure appunto tutti gli anni…) ma anche perché ogni volta che si ripercorre una strada conosciuta, una ricetta che è sempre quella, si cambia un poco e si scoprono mondi.

Dunque annoto qui le scoperte di quest’anno, copiando Anna per usarle insieme come promemoria e come buon proposito.

Il pesto di pomodori secchi.
ne abbiamo mangiato a bizzeffe e conto che altro ne mangeremo, tanto da dedicargli un post a parte corredato da foto esplicativa perché se lo merita e perché è pure fotogenico. La grande novità di quest’anno è stata l’idea di aggiungere la scorza di limone ma soprattutto qualche pomodorino fresco in modo da rendere il composto più umido e più legante con la pasta, senza doverlo sommergere di olio (che pure, rassegniamoci, ci va che ci vuole)!

Tabulè di legumi
Di tabulè ne ho mangiato a fiumi dai tempi dell’Erasmus a Parigi e poi negli anni a venire in cui costituiva la risorsa ideale per sfamare truppe cammellate di amici alle feste o semplicemente per portasi un tapper in cima agli scogli di lava e passare al mare 12 ore filate. Le cose negli anni sono un poco cambiate e oggi che il Fotografo persegue la sua dieta rigida e intransigente da cui sono banditi i carboidrati, siamo passati a quelli di legumi. Ne trovate facilmente nei negozi di cose un poco alternative o anche al Naturasì, e una volta che ne avete una buona scorta la cosa è facile. Versatene una certa quantità in una ciotola grande, molto grande e senza reidratare con acqua cominciate a versargli sopra pomodori tagliati piccoli (con la loro acqua di vegetazione), cetriolo, cipolla rossa, e qualunque altra verdura abbiate a portata di mano (peperoni, ma anche rucola, portulaca, etc, etc). Aggiungete un’erba aromatica a piacere ma molto abbondante (basilico, prezzemolo, o menta) irrorate con succo di limone, acidulato di umeboshi e olio extravergine di oliva. Se volete farlo chic aggiungete anche qualche mora o qualche pezzetto di frutta. Il giorno dopo è ancora più buono.

Ajo blanco al limone
qui, essendo tema gazpachos e variazioni, il terreno è quello del Fotografo. La variazione di quest’anno che secondo me è una bomba è semplice ma geniale: un poco di scorza di limone (possibilmente verde) e anche in questo caso qualche mora congelata per decorare.
Nota: la traccia per l’ajo blanco la trovate qui: http://lacucinadicalycanthus.com/?p=31

More congelate
Qui si tratta solo di un piccolo consiglio ma che a noi ha svoltato la vita. Essendo le pendici dell’Etna una terra ricchissima di more selvatiche irresistibili, ogni anno ne raccogliamo cesti enormi. La raccolta dà a tutti molta soddisfazione (anche a me che le more non le mangio) ma poi non risuciamo a consumarle tutte fresche. Ne facciamo un poco di marmellata (ma è laborioso e alla fine forse non troppo remunerativo) dunque la soluzione migliore risulta congelarle cosi come sono (e anche in piccola parte in formato ghiaccioli). Ne abbiamo così una scorta perfetta che serve un poco per tutto: dal gin tonic, all’ajo blanco, passando per lo yogurt del mattino, ma per Anna funionano pure come caramelle fredde da mettere in bocca ogni volta che passa per la cucina.

Prugne fresche e ricotta salata
Con Anna abbiamo giocato al Food Pairing ed è saltata fuori questa cosa qui: mezze prugne a barchetta con scaglie di ricotta salata e una grattugiata di limone (a buccia verde possibilmente). Ci si può aggiungere una fogliolina di menta o poco pepe. Provate.


La (nostra) Boqueria

Manchiamo da un poco

e mi sento vagamente in colpa come quando da piccola non aggiornavo il diario, quello preziosissimo e segreto con la chiavetta effimera sul lucchetto minuscolo a lato.

Abbiamo molte scuse, un poco come quando eravamo piccoli. La vita a volte va veloce o anche solo tranquilla, un giorno dopo l’altro, tra la cucina, il set e ora anche le lezioni. Poi per fortuna ci sono picchi di grandi e piccoli eventi, che ti fanno fermare, ti fanno voltare a guadare e ti ritrovi con la voglia di riprendere la penna in mano, o di ticchettare sulla tastiera.

é questo il senso di un diario, no? anche di un diario di cucina!

Dunque è successo che la settimana passata è uscito il nostro ultimo libro: La Boqueria e i mercati di Barcellona.
Io mi sono guardata indietro ed ho avuto un gran bisogno di spiegare cosa significa per me. Non solamente tre anni di lavoro, la pandemia nel mezzo, non soltanto il nostro 21esimo libro (se ho fatto bene i conti) e il 500esimo del catalogo di Guido Tommasi (ne siamo molto orgogliosi!) ma anche la sensazione chiara e matura che qui stia la nostra identità.

Facciamo tante cose, ma per prima cosa facciamo libri. Siamo vintage, ci piace raccontare storie, fissarle sulla carta con le parole, le immagini e le ricette. Si dice facile e forse al fondo lo è, ma c’è un grande lavoro dietro e molta responsabilità.

Perché i libri una volta che li lasci andare, una volta che escono in libreria, escono al mondo. Tu non li controlli più, come è giusto che succeda ai figli, hai solo potuto fare del tuo meglio e sperare che fioriscano.

E a lasciare andare questa nostra Boqueria ci abbiamo messo parecchio. Ho vissuto con una fatica rinnovata ma del tutto speciale l’ultima correzzione di bozze, la chiusura delle pagine dei ringraziamenti, che nei nostri libri sono senpre lunghe ma questa volta smisurate. Paura di sbagliare gli accenti del catalano o l’opportunità di una traduzione, paura di dimenticare un ringraziamento importante e soprattutto di non aver saputo restituire abbastanza il riassunto di una vita, perché in questo ultimo libro c’è un racconto assolutamente corale.

Nella mia vita precedente, che da qui mi sembra lontanissima, mi occupavo di comunicazione visiva, insegnavo cose di fotografia e di cinema, ma mi interessavo soprattutto di etnografia del quotidiano, facevo interviste, lavoravo sul campo, osservavo e cercavo di raccontare. Ecco in questo ultimo libro è come se la vita di adesso mi riportasse qualcosa di quel tempo, o meglio ho scoperto che nelle vite, compresa la mia, le cesure sono sempre finte. Siamo quello che eravamo, in modo diverso magari, ma se è vero che allora cucinavo tanto è pure vero che oggi guardo alle cose con lo sguardo che ho allenato allora. C’è voluta la Boqueria, uno dei mercati più famosi al mondo, per farmelo toccare con mano!

Quando abbiamo iniziato a lavorare su questo libro, ma ancora prima, appena trasferita a Barcellona entrare alla Boqueria era una sofferenza.

Non trovavo la quadra, non trovavo la porta di ingresso che non mi pareva potesse essere il grande arco modernista iperfotografato dai turisti di mezzo mondo che guarda alla Rambla. La sensazione era tanto più paradossale considerato che il mercato di Sant Josep (vero nome ufficilale della Boqueria) è organizzato attorno a un porticato, dunque poroso e aperto, anzi apertissimo!
Ma penetrare realmente la Boqueria è stato un processo lungo. All’inizio mi perdevo proprio, non sapevo mai dov’ero e una volta attraversato il cuore centrale con l’isola dedicata al pesce non sapevo neppure più da dove ero entrata e come uscirne. Un labirinto dunque.

Mi hanno salvato le storie e le persone a cui stavano attaccate.

La Signora Francisca che vende quinto/quarto e frattaglie da quando era bambina e accompagnava la nonna Sisqueta. Lei mi ha dato la chiave per capire che il mercato è un teatro, che va in scena ogni mattina, che non si mette semplicemente in mostra.
Il Pere, quarta genereazione di un banco che è nato con la Boqueria stessa, quando ancora non esistevano la Sagrada Familia, o il Barça. La città è qui, lo è ancora con tutte le sue difficoltà, in un rapporto complesso ma semplice che lega con un filo insissolubile il ventre della città ai suoi campi, così come lo aveva descritto Zolà per il ventre di Parigi.
Il Petràs che è un romanzo a sè, una storia di funghi, rude “burberia” di montagna e amicizia. E adesso che conosco un poco della sua vita il suo banco non è solamente una meraviglia da mille e una notte, ma un monumento vivente del mercato e della città stessa.

Vi sembra poco?

Se volete dargli una sbirciatina on line, o anche comprarlo, lo trovate qui:
https://www.guidotommasi.it/guido-tommasi-editore/catalogo/la-boqueria

I melograni di Natale

Di questo Natale tanto particolare credo che quello che più mi resterà in bocca è l’incertezza, o detto in un’altra maniera il sapore diverso delle cose di sempre. Quest’anno mi sembra tutto più necessario: fare l’albero, impastare i biscotti, sentire gli amici, azzeccare la scelta di un libro, il colore di un paio di guanti, la ricetta del dolce della Vigilia, anche e proprio perché saremo in pochi.

Deve essere per questo che almeno quest’anno riusciamo ad andare al passo con il calendario: abbiamo (già?!) fatto l’albero, e anche un presepe stortignaccolo ma molto creativo con alberi di settembrini gialli e chicchi di melograno (fidatevi sulla parola…).

E quest’anno che siamo giusti sul calendario e sentiamo tutto un poco di più siamo felici della collaborazione che abbiamo stretto con BonVent, un piccolo mondo a cui siamo molto vicini sia fisicamente che nella sensibilità.

Per loro abbiamo immaginato, apparecchiato e fotografato una tavola mediterranea, semplice e poetica.

Ve la mostreremo poco a poco cominciando da questi melograni che ci sembrano l’augurio migliore per questo anno così faticoso che finisce e per quello nuovo che vogliamo tutti diverso.

Mettete del melograno sulla vostra tavola e se volete cominciate da qui:


Mousse di robiola e melograno al vin santo:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=720

Patè di fegatini al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=713

Tagliolini con castagne, caprino e melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=7028

Pilaf di frumento intero con melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=716

Faraona al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=688

Ciambellone al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=12119

Bibita al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=1954

Il calendario 2020 dei corsi e le pesche di vigna

Che cosa ci sia dietro ad una fotografia, e in particolare dietro ad una fotografia di cibo, è spesso un fatto così intricato che guardarci dentro dà un poco di vertigine.

A me ne dà una un poco particolare, stratificata pure quella, perché da una parte mi rimanda alla mia vita precedente quella in cui di fotografia (non di cibo!) mi occupavo in università e dall’altra mi porta a un presente molto presente in cui la quotidianità del mio cibo, del mio lavoro e della mia famiglia si mescolano e si confondono ormai come un’abitudine.

Prendiamo la foto qui sopra, ad esempio. La casa di Barcellona in questi giorni profuma di pesche di vigna, le ultime ad arrivare, e forse per questo quelle che amo di più. Sono dolci ma non melense, con una consistenza soda che le rende perfette per farne barattoli di conserve sciroppose. E infatti la dispensa comincia a traboccare.
Tutti gli anni però il problema è lo stesso: qual è la concentrazione giusta dello sciroppo perché le conservi, ma non le inzuppi, preservandole sode e con una punta asprigna?

Mentre io pensavo alla mia equazione con i fogli di appunti davanti, il Fotografo cercava la quadra per incasellare sul calendario tutto il suo lavoro degli ultimi mesi.

Confinamento, post confinamento, estate e rientro a studiare teorie e tecniche per i corsi di fotografia di cibo a distanza. Ha registrato video (e li ha fatti registrare pure a me!), ha incrociato telecamere e fotocamere, smontato regole dei terzi, sezioni auree, schemi a serpente, a triangolo e a diagonali incrociate. Ha disegnato schemi di luci, di composizione e di post-produzione, ha cercato esempi nella rete, su Instagram, su Tiktok, nei libri e persino nella mia collezione di riviste di cucina in cinque lingue e molti lustri. Un lavorone!

Ecco perché nell’immagine io sono circondata da appunti e pesche di vigna, ma con la fotocamera al collo. è la macchina dismessa dal Fotografo, quella che arriva a me molto amata e molto usata. Ma io, che in questi ultimi anni mi sono abituata a fare tutto (o quasi) con il cellulare, dovrò provare ad imparare di nuovo e non vedo l’ora, perché è questo il tempo giusto per i buoni propositi, quest’anno più che mai.

Se dunque avete voglia di imparare, di affinare o di ripassare qui trovate tutto il calendario fino alla fine di questo anno un tantino particolare: http://mauriziomaurizifotografia.com/workshop/calendario-20-21/

Ci sono corsi tematici (sulla luce, sulla composizione e sul ritocco), ma c’è anche un corso che prende per mano a partire dalle basi e poi, passo passo, attraverso tutte le fasi e i problemi, una vera scuola insomma. Tenete conto che i posti sono limitatissimi (e i primi sono già andati!), proprio per poter seguire i passi di ognuno, se dunque siete interessati (o conoscete qualcuno che potrebbe esserlo) scriveteci presto!

Per le pesche di vigna invece fate così.
Sceglietele sode e senza difetti, lavatele e non sbucciatele, tuffatele un minuto o anche meno in una pentola di acqua bollente. Prelevatele con la schiumarola e sbucciatele con il pelapatate. Eliminate il nocciolo cercando di mantenere le due metà intere (è la faccenda più noiosa), sistematele in barattoli sterilizzati e asciutti mettendole sempre la parte piatta sotto e la gobba sopra, premete leggermente in modo che si accomodino per bene. Coprite con uno sciroppo di zucchero bollente (io uso in genere 400 g di zucchero per litro di acqua e aggiungo zenzero in pezzi e il succo di mezzo limone, poi faccio sobbollire per una decina di minuti finché non comincia ad essere appena viscoso). Chiudete subito i barattoli avvitando forte. Sistemateli in una pentola piena di acqua con uno strofinaccio a separarli per evitare che possano rompersi. fate bollire per 10 minuti, prelevateli con cautela e lasciateli raffreddare a testa in giù.

Primavera

L’inzio di maggio è stato un poco in salita. Il fatto è che fuori è primavera, ce ne siamo accorti persino tra le mura di casa e mentre il calendario ci ricordava che avremmo dovuto essere tutti insieme in campagna, proprio in questi giorni proprio in queste ore, ci è invece toccato tra capo e collo il cambio degli armadi.

Ci sono catastrofi peggiori, lo so benissimo, ma quest’anno è stato difficile e strano, con l’umore scollato dal sole alla finestra e montagne di vestiti ad accomularsi ovunque, come se l’armadio fosse esploso. Quando li metterò? Quando li ho messi? Non c’è stato l’inverno, e la primavera è arrivata senza che l’aspettassi.

E dire che proprio quest’anno ci eravamo organizzati bene, e per tempo. Domenica passata l’avremmo duvuta passare nel Chianti, in una grande tavolata tra le vigne. Avevamo preparato le tovaglie, immaginato già un poco i menù e raccolto attorno a quel tavolo grande già molti amici, vecchi e nuovi.

Lo so, ci sarà il tempo nuovo per i corsi di fotografia, per i pranzi condivisi, per quel modo di stare insieme che abbiamo cominciato a disegnare Marie ed io. Ma intanto oggi la primavera che è là fuori manca più degli altri anni: mi mancano le peonie, e anche i lilà, mi manca Marie, mi manca quella luce speciale che c’è in campagna, le chiacchiere fitte fitte nella cucina. Le cose che crescono e fioriscono, il verde nuovo.

Ma ci proviamo a rimediare come possiamo. O perlomeno a seminare promemoria ed esperimenti, per Anna, ma in fondo anche e molto per noi grandi. Anche in città succedono meraviglie, persino durante una pandemia.

Se tagli secco il tronco di un sedano e lo metti in acqua avrai una pianta nuova, giustamente lenta ma tutta nuova. Ci crederesti? I rametti di menta che l’Enriqueta ci regala quando compriamo il pesce hanno messo radici, i semi di mela piantati nel cotone il 23 di marzo sono germinatissimi ed è tempo di trasferire in terra e persino i microscopici semini di limone, che abbiamo affidato al cartone delle uova, sono alberelli lillipuziani. L’avocado lui, va come sempre lentissimo, ma qui il tempo non ci manca. Lo aspetteremo.

Poi al mercato (che qui non ha mai chiuso, ma che anzi si è organizzato egregiamente per servire in sicurezza e a domicilio) hanno pensato che valesse la pena di fare primavera in tutti i balconi della città. Le piante che non hanno potuto essere piantate nei parchi (chiusi fino alla settimana scorsa) sono state regalate in tutti i mercati di Barcellona: all’ingresso e anhe ad ogni singolo banco.

Quel giorno coincideva con la prima vera uscita di casa per Anna: siamo tornate a casa con un bottino favoloso, per la nostra primavera.

Questo Sant Jordi

Questa settimana è stata complicata. Fin qui avevamo vissuto di rincorsa, inventando giorni diversi, abitudini rinnovate, routine alternative tra il terrazzo e la cucina. Ma i giorni si sono fatti alla fine sentire, colpa anche della pioggia che mai è stata così tanta a Barcellona in aprile, fin da quando hanno comiciato a contare le gocce.

Eppure dietro al nervosismo e alla stanchezza secondo me c’era questa settimana pure una tristezza un poco speciale. Fra le molte cose che abbiamo perduto in questo confinamento, per noi comunque molto fortunato (stiamo insieme, stiamo bene!) c’è pure la festa di Sant Jordi.

Tra tutte le feste di Catalunya forse questa è quella che preferiamo. Si festeggia l’amore e si festeggiano i libri. Si può immaginare qualcosa di meglio?

La città si riempie di rose e di libri. Ogni angolo ne è inondato, e tutti regalano parole e fiori, un libro e una rosa.
Tutti gli anni non sappiamo come sbrogliarci tra mille cose bellissime, e finiamo sempre per andare a caso e a naso.
Quest’anno ovviamente non sarà così. Quest’anno siamo a casa.
Per questo forse, e con l’anticipo un poco infantile delle delusioni molto temute, la settimana si è fatta un poco pesante.

Poi però succede che ti svegli e pensi che se non puoi farci niente puoi fare comunque qualcosa. Che la festa è festa e ognuno ci ha messo del suo.

Anna ha disegnato un enorme Sant Jordi in versione femminile, dunque una santa e rivoluzionaria Santa Jordina che ora sventola al nostro balcone, e poi rose giganti con i cartoni con cui ci consegnano la spesa. Ha costruito marionette dei personaggi del suo libro preferito, il Sam e Julia, e letto a voce alta fin quasi ad imparare a memoria.

Io per parte mia mi sono finalmente decisa ad affrontare la torta delle rose che mi sembrava l’omaggio più giusto per Sant Jordi da molto e molto tempo. Solo quest’anno ho trovato il tempo; la fortuna delle prime volte (oltre che un introvabile pacco di farina manitoba…) mi ha dato una mano.

Ma chi si è impegnato più di tutti in questo strano Sant Jordi fai da te è stato il Fotografo. Tramava da giorni, sempre attaccato al telefono, misterioso e taciturno più del solito.

Che si è inventato? ma un libro, ovvio. Un libro fai da te che è un omaggio a questa festa e che non poteva che essere una condivisione, un fare insieme, quello che forse più ci manca ora.
Così ha chiesto a sei amiche e a un amico, tutti di qui e tutti instragrammers da urlo di dedicare una ricetta a questa festa.
Ero quasi gelosa, poi per fortuna lo ha chiesto anche a me.

Per questo oggi la ricetta non c’è. La troverete sul libro insieme a tutte la altre, quando il Fotografo avrà finito di impaginare e di farlo bello.

Ci lavora alacremente e promette che sarà pronto entro la fine della settimana, chissà se ce la farà. A me questa volta mi viene dolce anche l’attesa, mi fa tornare un poco indietro, quando cuciva i primi pdf che erano libri in nuce di quel che poi è venuto. Ora è più bravo, ma diciamolo piano, che non ci senta per carità.

Intanto oggi c’è da festeggiare la festa e l’attesa: qui trovate tutti gli amici che partecipano. Seguiteli su Instagram, ne vale la pena e chissà che non troviate degli indizi. Lasciategli un fiore e un commento, non siate timidi, che anche in italiano va benissimo!

Stella Andronikou @stellaand
Maria Cosbel @mariacosbel
Patri Garcia @saboresymomentos
Sue Moya Giménez @art_by_sue
Nat & Jose @biteoflight
Ayose Valiente @ayose_vp
Olga Vila @olga_vila

oltre naturalmente a:
Maurizio Maurizi @maurizio.maurizi.fotografia
e a questa cucina: @lacucinadicalycanthus

La dispensa

Sono giorni così, in cui la casa è diventata il centro delle nostre vite,

in cui tocchiamo il tempo da vicino, in cui la misura dei nostri passi sono le mattonelle della cucina o le doghe del parquet. Uscire per il mondo è un esercizio complicato e pericoloso e lo si limita alle cose essenziali.

Che poi, a guardar bene, le cose essenziali fanno rima corta con quelle alimentari: rifornire la dispensa, organizzarla, mettere insieme il pranzo con la cena, ma pure la colazione e la merenda, come sempre e più di sempre.

Nelle scorse settimane mentre in Italia la situazione si faceva via via più grave e più chiara, qui a Barcellona (e forse potrei dire ugualmente nel resto del mondo) la vita andava avanti normalmente, senza nessuna intenzione di potere, o volere giocare di anticipo. Come se non si potesse imparare da quel che succede al nostro vicino, ma anzi lo si stesse a guardare da lontano alternando la pietà, lo spavento e la condanna. Un poco come in Italia abbiamo guardato noi alla Cina, che però è, o almeno sembra, tanto e tanto più lontana.

E noi, come tanti, ci siamo trovati un poco sospesi tra il dramma in corso e quello incombente, chiedendoci che potevamo fare e come organizzarci. Nella vita schizzofrenica a cavallo dello spazio tra qui e lì, ma anche forse a cavallo del tempo, tra oggi in Italia e tra una settimana a Barcellona, abbiamo avuto il tempo di organizzare la dispensa.

Non siamo corsi al supermercato, non abbiamo comprato 20 pacchi di cartaigienica, ma ci siamo chiesti cosa comprare con razionalità, prevedendo di uscire il meno possibile. Abbiamo fatto un poco a naso, sorpresi che dovessimo farlo per davvero, come avevano fatto le nonne durante la guerra, e mai noi.


Strada facendo abbiamo scoperto che alcune cose, erano più o meno quelle di sempre. Altre, anche consuete, hanno un sapore differente.

  • Per prima cosa è toccato svuotare tutta la dispensa. Barattoli refrattari dimenticati sul fondo dell’ultimo ripiano, doppioni insensati, spezie avvizite, incrongruenze tra contenente e contenuto, come quando conservi 20 g di zucchero di canna in un barattolo da 1 litro. Insomma ho fatto ordine. Come a Pasqua, o peggio come a settembre, quando rientro dalle vacanze e mi prendono tre giorni di stato compulsivo, che per fortuna passano veloci.
  • Poi ho lavato tutto. Nel frattempo il Fotografo boffonchiava che dovevamo svuotare il congelatore.
  • Nei giorni successivi, senza fretta, siamo andati a comprare le cose a lunga, lunghissima conservazione: lenticchie (quelle nere), ceci, riso nero e riso rosso, avena in fiocchi, cacao in polvere, zucchero, farine. Ci riforniamo in un negozio che è una meraviglia, proprio a ridosso del mercato del Born che ora è un centro culturale ma che è stato fino a pochi decenni fa il mercato all’ingrosso. Ci si trova tutto (o quasi) quel che si può conservare, tutto quello che si immagina stoccabile in sacchi, e proveniente a volte da molto vicino, a volte da molto lontano. La cesta della spesa sulla via del ritorno pesava parecchio.
  • Al banco delle verdure del mercato abbiamo comprato un poco più del solito, ed ogni volta che abbiamo cucinato abbiamo messo via un paio porzioni, che ci servano per giorni di poca voglia. C’erano già le fragole che qui, non so perché, arrivano prima: le abbiamo mangiate certo, ma una parte è finita congelata, così semplicemente lavata e asciugata.
  • Al banco del pesce alla Boqueria giovedì mattina non c’era nessuno. Mai ho visto il mercato così vuoto, mancavano i turisti. Ma venerdì, quando le scuole avevano già chiuso, si è riempito di chi ormai non lo frequentava più, dels veins, de los vecinos, dei “vicini”, cioè di chi abita il quartiere. Hanno fatto scorta, hanno ordinato per telefono, hanno congelato, riappropiandosi di un luogo e di un’abitudine perduta nei giorni normali. Se ne accorta La Vanguardia che ci ha scritto sopra un articolo così vivido che mi pareva di vederle due signore, mamma e figlia, con la cesta della spesa sottobraccio. La mamma, ricordandosi della fame del dopoguerra, continua a ricordare che devono comprare baccalà sottosale, che quello dura un’eternità, che si conserva anche se va via la luce…. e la figlia la interrompe e la rimboca, che no, mamma cosa dici?
  • Nel negozio pachistano sottocasa, specializzato in prodotti italiani, abbiamo comprato la pasta. Ha aperto da poco più di un anno, seguendo il fiuto imprenditoriale di altri suoi connazionali in città che hanno capito che la comunità italiana non è solo molto presente a Barcellona, ma tenacemente affezionata al suo cibo e ai suoi prodotti. è minuscolo, ma ci si trova di tutto, e da pochissimo ha aperto una seconda stanza, sgabuzzino come la prima, tutta foderata di pasta. Ovviamente c’erano solo italiani, con le braccia colme di pasta, ma pure di biscotti a regressione infantile e merendine che non vedevo dalla fine degli anni Novanta. Ognuno sente la nostalgia della mamma a modo suo già normalmente, figurati in quarantena.

Domani, dopo tre giorni tornerò al mercato. Ci andrò da sola, senza bere il mio solito caffè lungo la strada e probabilmente un poco di fretta, sembra pure che pioverà. Devo ricordarmi di comprare le patate, che ho dimenticato giovedì, le cipolle di Figueres che sono finite, e magari anche un poco di baccalà sottosale che non si sa mai…

La ricetta

Di granola esistono versioni infinite e anche noi, negli anni, ne abbiamo collezionate parecchie. Questa semplicissima piace molto ad Anna, i mirtilli rossi la rendono un poco sorprendente, ma variate come più vi piace gli ingredienti e il risultato sarà sempre irresistibile.
La ricetta è presa dal nostro libro Dolci calendari dell’Avvento e dimostra che la granola va bene per qualsiasi stagione.


per 2 barattoli medi:
300 g di avena a fiocchi grandi
75 g di nocciole o noci
75 g di mandorle
70 g di semi di zucca
60 g di uvetta
60 g di mirtilli rossi disidratati (o anche di zenzero disidratato, o di albicocche…)
50 g di semi di girasole
70 g di zucchero di canna
un pizzico di sale

180 ml di tè nero
80 g di miele
60 g di olio di cocco

Accendete il forno a 160°C e, se possibile, in funzione ventilato.
Mescolate l’avena con le mandorle, le noci (o nocciole), i semi di zucca e di girasole. Aggiungete un pizzico di sale e, se la volete dolce, 70 g di zucchero di canna. Mescolate bene.
In un pentolino fate sobbollire leggermente il tè con il miele e olio, versate quindi il composto ben caldo sul mix di avena e mescolate con un grande cucchiaio di legno per fare in modo che si impregni in modo uniforme.
Sistemate il composto su due teglie rivestite di materiale antiaderente (carta da forno o tappetini) e tostate la granola per circa 20-25 minuti mescolandola regolamente per fare in modo che si asciughi e si tost i modo uniforme. A fine cottura aggiungete le uvette e i mirtilli rossi. Mescolate bene, infornate per altri 5 minuti a 120°C e spegnete. Lasciate raffreddare a granola in forno quindi conservatela in barattoli ermetici.

Nota: in questi giorni per noi funziona bene a colazione, ma pure a merenda, oppure quando si passa davanti alla dispensa in cerca di una piccola carezza.

Fatto a casa.

Fermarsi e accellerare, correre e pazientare. Queste pagine hanno diversi anni alle spalle, che hanno coinciso con i tempi lunghi e stretti della mia (della nostra…) vita.

Un farsi quotidiano che è quello della cucina, ma anche un tempo da guardare all’indietro, fatto di mia madre che se ne è andata, di Anna che è arrivata, di giorni facili e di ore pesanti, di libri, di progetti arrivati in fondo e di altri senza porto.

E molto spesso, in questi ultimi anni soprattutto, queste pagine sono rimaste ad aspettare: non c’era tempo, e poi dopo sembrava che non ci fosse un senso. Tutto ha accellerato, il tempo si è accorciato e si accorciato anche il tempo della cucina, quello della scrittura, quello della lettura condivisa.

Ci sono parole tecniche per dirlo, per dire che il tempo dei blog come diari è tramontato, che i social ci hanno messi tutti su una giostra che si avvita, che ci è mancato il tempo, che tutto si è ridotto ad un sorriso.


E noi, in fondo, abbiamo avuto i nostri libri in cui essere larghi, in cui accomodarci comodi come su una poltrona che scegli perché ti assomiglia, in cui puoi stendere le gambe, ma pure accucciarti, o salirle in groppa.

Ma il blog? Queste pagine sono rimaste ad aspettare ed io, con la convinzione di certi amanti presuntosi, mi son detta che non se la prendeva. Ma infondo più che pensare a lui, ho pensato sempre a me stessa sapendo che queste pagine sono la parte intima a cui tornare. Sempre, come si torna a casa.

Così oggi, proprio oggi ricominciamo da qui. Da questa cucina e da questa casa.

Perché le cose sono anche semplici da fare, ma tocca fermarsi e respirare come dico a volte ad Anna troppo concitata nel gioco o nell’emozione, che sia la paura o la voglia di fare indigestione.
La parole dei poeti lo dicono così bene! grazie papà che mi ci hai fatto inciamare proprio nell’ora giusta.

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
(…)

Adesso siamo a casa.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.

Nove marzo duemilaventi, Mariangela Gualtieri

La ricetta

Di ragù vegetali ne ho cucinati tanti. Ma tanti per davvero. Non tanto per un’avversione alla carne, ma per pura e semplice praticità. Era un cavallo di battaglia della nonna, lo è stato di mia madre ed ha i suoi trucchi; ma gli anni dell’Università me ne hanno insegnato anche versioni un poco facilitate che avevano (ed hanno) il grande vantaggio di far fuori i resti del cassetto delle verdure, e di allenare una pazienza un poco facile. Tagliate le verdure, infatti, la cosa si fa da sola. Basta ridurre il fuoco al minimo, rimestare di tanto in tanto con un lungo cucchiaio di legno e regalargli tutto il tempo che si ha a disposizione, anche a rate. Certe mattine lo mettevo sù, all’ora di colazione, mettevo i libri sul tavolo di cucina e gli studiavo accanto, lo spegnevo per andare a lezione e lo riprendevo ancora un paio d’ore, così perché riducesse ancora un poco e condensasse. Un poco come la materia che studiavo nelle dispense fotocopiate in via di Pantaneto.

Le dosi sono indicative, così come i tempi di esecuzione. Potete variare ma non siate parchi, è un sugo che vuole generosità.
Idealmente, nella versione della nonna, il sugo vorrebbe il vino cotto che lei faceva in casa e che io ormai posso solo (o quasi) ricordare. In mancanza si può sostituire con un bicchiere di vino rosso corposo in cui sciogliere un cucchiaio di zucchero grezzo.


5-6 cipolle dorate
4 carote
il cuore intero di un sedano
1,5 kg (almeno) di passata di ottima qualità
8 cucchiai di olio extravergine di oliva
2 spicchi di aglio (in questa versione ho usato aglio tenero, 3 gambetti)
1 bicchiere di vino rosso
1 cucciaio di zucchero grezzo o di melassa
cannella, choidi di garofano, scorze di limone o di arancia, alloro, peperoncino… (a scelta e a piacere)
sale

Tritate finemente le cipolle. Fate lo stesso con le carote raschiate e con il sedano da cui avrete eliminato le parti più fibrose. In una pentola molto capace fate soffriggere leggermente l’aglio schiacciato e privato del germe assieme agli aromi che preferite, appena diventa biondo potete toglierlo e versare la cipolla, fatela dorare e quindi unite il sedano e la carota. Rimestate per qualche minuto finché le verdure non cambieranno di colore, versate quindi in pomodoro, mescolate bene, abbassate la fiamma al minimo e proseguite la cottura piano piano per lameno 2 o 3 ore. Potete anche interrompere la cottura e riprenderla senza problemi (se però tardate mettete la pentola in frigo). Quando il sugo si sarà ridotto di poco più di un terzo aggiungete il vino con lo zucchero, salate con parsimonia e proseguite la cottura un’altra ora. Alla fine aggiustate di sale.
Potete conservare il sugo in frigo per un paio di giorni in un barattolo ermetico, ma potete anche congelarlo o sterilizzarlo.

Workshop 2020.1°parte

Per informazioni e iscrizioni calycanthus.info@gmail.com

5 Aprile, Roma
La luce nella fotografia di cibo e nello still life
h 10.00 – 18.00

Workshop di un’intera giornata nel nostro studio fotografico attrezzato con illuminazione professionale e una grande varietà di accessori, props, supporti, fondali specifici per la fotografia di cibo e lo still life. Computer e videoproiettore ci permetteranno di analizzare concretamente il lavoro di editing.

Read MoreCominceremo analizzando lo stato dell’arte della fotografia di cibo con un rapido sguardo alla sua evoluzione negli anni, e con una panoramica degli stili attuali più ricorrenti e fortunati.
Metteremo in pratica e sperimenteremo tutte le fasi del processo creativo:
analisi della ricetta o del soggetto > allestimento del set e uso degli accessori > illuminazione, lampade fotografiche vs luce naturale> scelta dell’attrezzatura fotografica, inquadratura e scatto > editing.
Impareremo come scegliere e costruire una propria attrezzatura minima essenziale, con costo contenuto e massima resa. Non è necessario spendere una fortuna per avere un mini-studio per la fotografia di cibo!
Comprenderemo l’importanza della luce nelle immagini: come usarla e addomesticarla per ottenere mood diversi e atmosfere realmente capaci di interpellare e coinvolgere chi le guarda.
Impareremo come inquadrare e comporre un’immagine perché abbia armonia e forza.
Inizieremo ad usare con sempre maggior facilità tutte le funzionalità tecniche della nostra fotocamera per scattare foto sempre migliori tecnicamente.
Nella seconda parte della giornata analizzeremo le immagini prodotte per evidenziare composizione, pregi, errori e per mettere in evidenza punti di forza e possibilità di miglioramento.
Avremo la possibilità di familiarizzare con il processo di post-produzione per ottenere sempre il massimo risultato e produrre immagini sempre personali e di grande impatto.
Nel prezzo del corso è compreso il pranzo (in giardino se non diluvia…)
Costo 170€ Read Less

2 e 3 Maggio, Castellina in Chianti
La luce naturale e il ritratto nella fotografia di cibo.
2/5 h 10.30 – 18.30
3/5 h 10.30 – 13.30

Due giornate in un podere storico fra le vigne del Chianti.

Un Workshops di fotografia e un pranzo di Primavera, per tornare a condividere il cibo seduti a tavola insieme. Un fine settimana nel cuore del Chianti, in una azienda vinicola familiare sulle colline di Castellina.

Il corso si svolgerà nel cuore del Chianti senese, in un’ambientazione non solo bellissima ma assolutamente autentica. Per questo oltre al corso di fotografia, visiteremo la cantina e degusteremo i vini dell’azienda San Donatino.

La domenica, per chi vorrà fermarsi a pranzo, organizzeremo un evento un po’ speciale in cui vogliamo che il cibo torni ad essere condivisione concreta.

Read More Durante il workshop analizzeremo e metteremo in pratica di tutte le fasi del processo creativo: analisi della ricetta o del soggetto > allestimento del set e uso degli accessori > luce naturale e problemi di illuminazione > scelta dell’attrezzatura fotografica, inquadratura e scatto > elementi editing.
Prenderemo spunto dalla ricchezza di ambientazione nella natura e della luce di primavera per mettere al centro dell’attenzione “il ritratto e il cibo”. Le mani e le persone interagiscono con il cibo nella preparazione della ricetta e dell’allestimento. Come raccontare una storia in una immagine.
Impareremo come scegliere e costruire una propria attrezzatura minima, con costo contenuto e massimo resa. Non è necessario spendere una fortuna per avere un mini-studio per la fotografia di cibo!
Comprenderemo l’importanza della luce nelle immagini e come usarla e addomesticarla per ottenere mood diversi e atmosfere coinvolgenti.
Impareremo come inquadrare e comporre una immagine perché abbia armonia e forza.
Inizieremo ad usare con facilità tutte le funzionalità tecniche della nostra fotocamera per scattare foto sempre migliori tecnicamente.
Sperimenteremo le possibilità della commistione fra tecniche di ritratto e fotografia di cibo per raccontare storie con la macchina fotografica.
Il pranzo di Sabato 2 e un aperitivo degustazione nella cantina di San Donatino sono compresi nel prezzo
Costo 230€ +il pranzo di Domenica 35€
I posti sono limitati. Read Less

Tutti i corsi sono rivolti a chi si occupa di cibo da diversi punti di vista e vuole presentare il proprio lavoro attraverso fotografie personali, coinvolgenti, di impatto e qualità professionali. Food blogger, food writer, instagramer, tutti coloro che lavorano nell’ambito del cibo e della ristorazione (e della loro comunicazione), fotografi che vogliano sperimentare un primo approccio alla fotografia del cibo, o semplicemente appassionati di fotografia e/o di cucina.
Prenderemo in considerazione tutte le fasi del processo creativo:
analisi dell’oggetto > allestimento del set e accessori > illuminazione > inquadratura e scatto > editing.
in modo che sia i principianti che i fotografi con tecnica avanzata possano trovare risposte ai propri dubbi e alle proprie richieste e sviluppare un proprio progetto personale.

Si può partecipare con qualsiasi tipo di attrezzatura. Una reflex è la migliore opzione, ma anche la fotocamera di uno smartphone ci può dare delle buone soddisfazioni. I corsi daranno anche indicazioni utili sull’editing, esplorando specifiche applicazioni per smartphone che possono risultare molto utili anche per i fotografi esperti.


Scuola mensile di fotografia di cibo
Dalla A di allestimento alla Z di edizione
4 lunedì dalle 18.30 alle 19.45

Corso progressivo in 4 incontri nel nostro studio fotografico attrezzato con illuminazione professionale e una grande varietà di accessori, props, supporti, fondali specifici per la fotografia di cibo. Computer e un videoproiettore per analizzare concretamente il lavoro di editing.

Il corso avrà un tema centrale differente in ogni incontro ed è pensato come una scuola di fotografia vera e propria.
Se sei interessato a questo corso scrivi per chiedere maggiori informazioni, i posti sono limitati.

Read More 1 1 Elementi base di fotografia di cibo. Particolarità, strumenti, elementi tecnici utili.
Fotografare con la reflex, fotografare con lo smartphone.
2 Elementi di composizione e di progettazione del set. “Natura morta” vs cibo vivo. Inquadratura e scelte tecniche
3 Illuminazione. Luce naturale vs illuminazione artificiale. Il controllo della luce.
4 L’editing
Il corso è aperto ad un numero molto ristretto di partecipanti per permettere uno stretto rapporto personale e di tutoraggio.
È pensato sia per chi vuole iniziare un percorso di accostamento alla fotografia di cibo, sia per chi vuole sviluppare un progetto personale ed ha bisogno di una consulenza personalizzata e completa. Read Less

Per informazioni e iscrizioni calycanthus.info@gmail.com


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la Sfogliatella di Alfonso Pepe e La Cucina di Napoli

La cosa magica del fare un libro è sempre la possbilità di incontrare le persone e le loro storie, in cucina e non solo. Nella grande avventura della nostra Cucina Napoletana uno degli incontri più belli è stato quello con il maestro Alfonso Pepe con cui abbiamo trascorso un’intera giornata, il tempo necessario per mettere in cantiere la sfogliatella riccia, strati e strati eterei e croccanti che racchiudono un sontuoso ripieno di ricotta e canditi.
Tutto questo lavoro e tutta questa magia non ci stavano dentro al libro, così il Fotografo ne ha fatto un video per raccontare quanta forza, quanto ingegno, quanto lavoro sia necessario per dar forma alla sfogliatella.Grazie infinite al maestro Pepe per fare le cose così bene e noi ne approfittiamo per ricordare che

il prossimo giovedi 4 Aprile saremo insieme a Lydia Capasso e Angela Frenda per presentare
La Cucina di Napoli nella Pizzeria Gourmand di Gino Sorbillo
via Ugo Foscolo 1 Milano

Vi aspettiamo!

La Cucina di Napoli

Silenziosi, anzi silenziosissimi siamo stati in questo inizio di anno che si è fatto lungo lungo. Ma la verità è che molte cose bollivano in pentola e ancora bollono, in diverse fasi di cottura e di sapore.

Oggi però dovevamo proprio riallacciare il filo perché siamo felicissimi di poter dire che finalmente, dopo tre anni di lavoro, esce la nostra Cucina di Napoli, progetto calycanto scritto, pensato e vissuto assieme a Lydia Capasso, sempre per Guido Tommasi Editore.

Dentro c’è un viaggio lungo lungo fatto di stagioni diverse e di sguardi diretti ed obliqui, perché Napoli è una città (e una cucina) difficile da capire e da afferrare fino in fondo. Quando credi di averne acchiappato il filo, scopri che ce ne sono molti altri tesi in direzioni intricate, sovrapposte o centrifughe, ma sempre bellissime.

Come per i fili di panni stesi che non siamo riusciti a fotografare così i fili di Napoli si muovono tra i clichè e la verità e tutto si tiene: la pizza a portafoglio, la poeticità dello scammaro e delle vongole fujute, i timballi e le sfogliatelle ricce, il danubio, la galantina, quel che viene da dentro e quello che veniva da fuori.

Suntuosa o povera, la cucina di Napoli non si accontenta, celebra il boccone che mastica avidamente e anche il suo immaginario, senza poter distinguere, come ricordava Erri De Luca, tra il ragù e la notizia del ragù, quel profumo lento e sicuro che avvolge la casa, il vicolo, la strada, che non solo annuncia il pranzo, la domenica, la festa ma che è già tutto questo.

Oderzo Food Fest 2018

Sono state settimane dense, di corse e rincorse, aerei, chilometri in macchina, pranzi in autogrill, baci al volo e incastri miracolosi. E ora che siamo tornati alla base tra Barcellona e Roma, riavvolgiamo il filo e riguardiamo indietro per fissare un poco ciò che è andato tanto veloce.

la fabbrica delle caramelle

Ieri è stato il primo giorno di scuola, per Anna e per noi, e siamo naturalmente riusciti a far tardi.
Diciamo che quest’anno ce l’abbiamo messa tutta: partiti con un giorno di ritardo e con una tempesta in corso, siamo arrivati a Barcellona notte tempo, un poco “mareati” per il ballo dell’aereo, con quasi nulla in frigorifero e quattro lavatrici in programma.

il masetto 2018

Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno…
Da quando siamo tornati dalla Sicilia non ci siamo chetati un minuto, facciamo in sù e in giù come le biglie di un flipper, Roma Rovereto, Rovereto Roma, per fortuna non a cavallo (!) ma così a stretto giro che gira un poco la testa.

Cerzazza 2018

è arrivato settembre e come al solito ci ha colti di sorpresa. Quest’anno, però, abbiamo alle spalle la scusa di un agosto che non ha fatto il suo dovere, che ha pianto troppa pioggia, persino nell’assolata Sicilia dove l’acqua è miraggio, sempre annunciata e sempre sconfitta.

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