Category

zuppe

Category

Zuppa di calçots con la sua salsa

Qui in Catalunya sono una specie di religione gastronomica oltre che un rito collettivo.

Ma oggi la facciamo breve e ricordiamo semplicemente che i calçots sono dei cipolloni allungati che vengono coltivati in una maniera un poco particolare (un poco simile a quello che succede con il radicchio tardivo, ovvero rimboccando continuamente la terra intorno al bulbo) e si raccolgono nelle giornate più fredde dell’anno, in generale da metà gennaio fino ai primi di marzo.
Si mangiono praticamente sempre cotti alla brace, serviti in una tegola rovesciata e accompagnati da una salsa simile al romesco (ne riparleremo…) in riunioni in campagna, o attorno a una masia (un casolare fattoria). Mangiandoli è così facile sporcarsi di salsa che spesso si distriuiscono bavaglini giganti e gogliardici per traccannare felici e senza pensieri i calçots intinti nella salsa rossa e branditi con le mani.

Questo in campagna. Ma in città? in città ci arrangiamo come possiamo. I calçots arrivano facilmente, anche se qualche volta non proprio ruspanti, il problema semmai è la brace.

Dunque noi abbiamo deciso di far valere il forno ma per poi arrivare alla zuppa (proprio come predicavamo qualche post fa a proposito della zuppa di papate dolci). La ricetta è facilissima e vale la pena, perché i calçots anche cotti così alla buona hanno un sapore dolce e leggermente vanigliato che caramellizza in modo delizioso. La salsa a base di frutta secca, pomodoro, peperone (la ñora) e aglio valorizza tutto moltissimo.

Per la salsa:

1 ñora (o 1 peperone choricero)
4 pomodori maturi
1 testa di aglio
1 bicchiere di olio extravergine di oliva
150 g di mandorle
1 fetta di pane grigliato o fritto

prezzemolo (facoltativo)

Lasciate la ñora in ammollo in acqua per una notte intera. Il giorno seguente apritela a metà e con un cucchiaino ricavate la polpa. Sistemate la testa di aglio e i pomodori i una teglia e cuoceteli in forno per circa 30 minuti, quindi pelate i pomodori, eliminate il grosso dei semi e ricavate 4-5 spicchi di aglio dalla testa.Sistemate nel mortaio le mandorle, la polpa della ñora e il pane e cominciate a battere fino ad ottenere una pasta granulosa ma omogenea, incorporate quindi i pomodori, l’aglio e l’olio e amalgamate. Per ottenere una consistenza più fina potete triturare tutto con il minipimer.

per la vellutata:

un mazzo di calçots
2 tazze di brodo vegetale
1 daikon (o una patata) già cotto
1 cucchiaino di Kuzu (facoltativo)
olio extrvergine di oliva
sale e pepe

Pulire sommariamente i calçolts, eliminare le punte e la buccia più esterna, lasciando però ben intatto tutto il resto. Sistemarli in una teglia, irrorare di olio extravergine di oliva e di sale e pepe a sentimento, cuocere in forno caldo fino a che siano teneri. Una volta cotti eliminare le parti più abbrustolite e se vi piace usatele per decorare il piatto finale. Trasferite i calçolts nel frullatore assieme al daikon già cotto (o alla patata) e frullare diluendo poco alla volta con il brodo vegetale (se usate il kuzu, scioglietele in una tazza con un paio di cucchiai di brodo e poi aggiungetelo alla zuppa). Servire calda o tiepida con la salsa.

Zuppa di patate dolci al forno

Eccoci qui a riprendere il filo, ancora una volta eppure non da capo, perché la cosa bella di conservare un blog che ha cominciato a parlare nel 2008 è che ti senti al sicuro, a casa.

Dunque possiamo ripartire da qui, come aprendo il quaderno delle ricette che si appuntavano a penna, a matita o qualche volta incollando trafiletti di riviste, e aggiungendo note a margine, assieme alle macchie di sugo o di burro.
Il senso credo stia tutto qui.

E il senso di oggi è una zuppa, o forse meglio una crema, o forse una vellutata. Ma facile, facile e buona, tanto da piacere persino ad Anna (che è in una fase di rifiuto assoluto verso tutto quello che si cucina in casa)… che ci serva da punto di partenza ma anche da scusa per appuntarsi e ricordarsi due o tre cose!

La zuppa è facile per definizione, ma è piena di insidie e di aguati, il suo esito peggiore è la noia e la mancanza di sapore.

La soluzione è semplice ed è a portata di mano: per prima cosa tocca ricordare che partendo da ingredienti buoni (per qualità e per stagionalità) si è già a metà dell’opera. Poi non resta che accendere il forno. Sì il forno.
Avete presente quelle ricette spesso di impronta anglosassone in cui i pomodori passano dal forno per uscirne caramellati, arrendevoli e additivi come caramelle? Ecco la regola non vale solo per i pomodori, ma per praticamente tutte le verdure.
Il sapore si intensifica e il vantaggio collaterale è che nel caso delle patate dolci e della zucca non serve sbucciare.

Il terzo segreto è il daikon, ma ve lo spiego più sotto

per 4 persone

4 patate dolci (possibilmente a pasta arancione, ma potete sostituire anche con zucca, carote, o anche cavolfiore)
2 cipolle di medie dimensioni
1 radice di daikon (serve a inspessire e a rendere la zuppa cremosa, fidatevi!)
olio extravergine di oliva
sale o acidulato di umeboshi

per completare: brodo, o acqua, latte (o anche bevande vegetali) e per finire semini a scelta (zucca, girasole, lino, ma anche nocciole tostate o noci) e spezie (curcuma, zenzero, paprika o caienna).

Sbucciate le cipolle, lavate le patate dolci (o la zucca), il daikon e tagliate tutto a pezzi non troppo grandi in modo che la cottura sia unifome e la superficie caramellata maggiore. Sistematele su una pirofila, cospargete di olio extravergine di oliva, date una mescolata e infornate in forno già caldo a 180°C/200°C in funzione ventilata se l’avete. A seconda della pezzatura le verdure tarderanno circa 30/40 minuti a cuocersi, sorvegliate che non si abbrustliscano troppo e quando potrete infilarci una forchetta dentro toglietele dal forno.
Scavate la polpa delle patate dolci (o della zucca) con un cucchiaio e versate tutte le verdure nel frullatore, aggiungete le spezie che preferite e un paio di mestoli di brodo o acqua. Iniziate ad emulsionare e regolate la consistenza secondo i vostri gusti, allungando se vi piace anche con latte.
Regolate di sale, aggiungete un filo di olio e servite con i semini che preferite.

Ps Il daikon non è una fissa fighetta, ma serve davvero. Serve soprattutto se, come il caso del Fotografo, non potete mangiare amidi (patate, fecole, farine, etc) ma non vi rassegnate a consistenze brodose e slegate. Se volete addomesticarlo e renderlo meno esotico chiamatela rapa bianca, o anche rapanello bianco; la trovate nei verdurai un poco forniti, ma anche nei supermercati e nei negozi bio. Se poi ve ne volete innamorare leggete le sue proprietà che non sono poche.

Salmorejo

Eccoci qui con giugno ben avviato ad annunciare che il libro del mese sarà Gazpachos, uscito per Guido Tommasi Editore proprio il 6 giugno di due anni fa.

Ci piacciono le coincidenze e ci aiutano a ricordare. In primo luogo quanto amiamo i gazpachos, tutti quanti e senza distinzioni, e poi quanto la vita possa essere colorata, con il caldo dell’estate sulla pelle e il gusto fresco che sfama e disseta insieme. Lo prendiamo dunque anche come un augurio per l’estate alle porte, per il viaggiare che tanto ci è mancato e per la meravigliosa coincidenza che vuole che almeno questa volta, quel che è buono ci fa pure un gran bene!

La ricetta del salmorejo a pag. 14 del nostro libro

Per 4 persone

700 g pomodori rossi maturi già spellati e privati dei semi
150 g di mollica di pane di due giorni prima
20 cl di olio extra vergine d’oliva
1 cl di aceto di vino rosso
1 dente d’aglio
Sale
prosciutto crudo sfilettato e uova sode tagliate finemente per la guarnizione

Pelate i pomodori, eliminate la maggior parte dei semi, raccoglieteli in un recipiente capiente e triturateli conservando interamente l’acqua di vegetazione. Aggiungete la mollica di pane spezzettata e l’aceto e lasciate che si ammorbidisca per una decina di minuti.
Nel boccale del frullatore sistemate lo spicchio di aglio sbucciato e privato del germe, quindi versate il pane con il pomodoro, frullate fino ad ottenere una crema densa. La quantità di pane può variare a seconda della qualità dei pomodori e del loro grado di maturazione
Aggiungete l’olio extravergine di oliva e frullate finché la crema sia uniforme.
La consistenza dovrà risultare più spessa rispetto a quella del gazpacho, abbastanza da poter “sostenere” il prosciutto e le uova sode che tradizionalmente sono usati come guarnizione.

Zuppa di pesce

Come la fate voi la zuppa di pesce?
Qui siamo perennemente in cerca della soluzione perfetta, perché in fatto di zuppa di pesce parlare di ricetta sembra riduttivo.
Un poco perché tutto dipende dal mercato: parti con un’idea e atterri su di un altro pianeta, quando al banco non c’è nulla di ciò che cerchi e molto di quel che non immaginavi. E la zuppa di pesce diventa un esercizio di immaginazione, a cavallo tra le aspettative e la realtà.
Un poco perché, diciamocelo, è un lavoraccio.

Allora ho pensato a un vademecum pratico per rendere l’impresa fattibile, non solo una volta l’anno.

  1. Fatevi amico il pescivendolo, o meglio ancora la pescivendola.
    Buoni rapporti vi garantiranno non tanto e non solo pesce fresco e di qualità (che questo lo vorremmo dare per scontato), ma anche un poco di aiuto al momento di pulirlo (specie se ordinate e chiedete con anticipo). Inoltre un amico in pescheria vi metterà da parte teste e lische che sono una mano santa per avere un buon fumetto che è la base del sapore. Potete pure farvele dare quando ci sono, conservarle in congelatore e usarle quando serve
  2. Costruite un bouquet.
    La zuppa è alchimia, tutto dà il suo contributo ma il risultato è molto più che la semplice somma delle parti. Considerate dunque che a seconda dei vostri gusti dovrete giocare sulla compatibilità dei sapori. Per la zuppa si considera fondamentalmente solo il pesce bianco e il pesce di scoglio (sebbene nella tradizione catalana ci siano eccezioni), a cui si aggiungono molluschi e crostacei.
    Noi italiani abbondiamo con gli aromi, ma in generale tenete presente che nella zuppa di pesce less is more. Dunque nel fumetto mettete le cose classiche ma in piccola quantità, cipolla e/ porro, una carota piccola (!), un piccolo gambo di sedano (o anche solo un mazzetto piccolo di foglie), se volete esagerare un bouquet garnit. Il pepe, se lo mettete, solo bianco. Considerate però che in altre tardizioni si mette anche solo la cipolla, e pure piccola.
    Nel soffritto soprattutto a Sud si va di molto pomodoro (e qualche volta anche di cipolla), io trovo che il pomodoro rischia di far la voce troppo grossa e tendo a farne a meno. Ma fate come più vi piace, o semplicemente come faceva la vostra mamma.
  3. Alternate le pezzature.
    Dopo anni di sacramenti io mi regolo così: un pesce grande (tipo merluzzo, rana pescatrice o anche quando si ha fortuna uno scorfano grosso) che mi faccio pulire con cura (la carne da una parte e lische e teste per il fumetto), minuzzaglia di scoglio (in ordine sparso, quel che c’è c’è), calamari o polipetti, poi scampi e conchiglie (in genere vongole e cozze).
  4. Procedete in più tempi.
    Iniziate dal fumetto e mettetelo da parte (potete semplicemente raccogliere lisce e teste ben lavate in una pentola con gli odori, corpire di acqua e portare a bollore, quindi schiumare e proseguire la cottura a fuoco dolce per una ventina di minuti. Se invece volete fare le cose in grande rosolate le lisce e le teste in una noce di burro, quindi sfrumate con un bicchiere di vino bianco secco, poi coprite d’acqua e procedete come nella versione semplice).
    Riprendete il fumetto, filtratelo e versatelo in una pentola, aggiungete la minuzzaglia e portate a bollore leggero, fate cuocere con pazienza finché tutto il pesce si sarà frantumato e cotto. A quel punto filtrate nuovamente il fumetto e premete con forza la minuzzaglia contro il colino a maglie fini per estrarre tutto il sapore.
    Fate il soffritto e calate prima il pesce grande quindi versate il fumetto arricchito e calate i molluschi, abbassate la fiamma al minimo e lasciate andare per circa mezz’ora, quindi incorporate anche i crostacei (scampi, gamberi, pannocchie di mare, etc). A parte lavate le conchiglie e fatele aprire in una padella a fiamma viva, senza aggiungere né olio né aromi. Se vi piace potete filtrare il brodo di cottura che si sarà formato e aggiungerlo alla zuppa, altrimenti incorporate semplicemente le conchiglie.
    Ci siamo quasi, mescolate con cura, aggiustate di sale e se vi piace aggiungete una nota piccante.
  5. Considerate la variante catalana
    Da quando abitiamo a Barcellona abbiamo adottato nuove abitudini, tra cui la picada. Si tratta di una delle salse fondamentali della cucina catalana e funziona come una sorta di ispessitore sia della densità del piatto che del suo sapore. Le ricette variano enormemente e ben si addicono al tono alchemico della zuppa di pesce: sempre prevedono frutta secca, una nota farinacea (pane, ma anche biscotti), aglio e aromi (dallo zafferano al ciccolato, giusto per capirsi…) e qualche volta includono ingredienti strani come le uova e il fegato del pesce. Il risultato, battuto al mortaio, è una pasta sapida e profumata che fa magie nella zuppa: si aggiunge alla fine di tutto, una grande mescolata per amalgamarla perfettamente, cinque minuti di cottura e dieci minuti di riposo a pentola coperta. Provate e vedrete.

Zuppa di primavera

La sapete fare voi una zuppa al telefono?
Io qui sono diventata esperta, il risultato finale lo vedo su zoom ma le indicazioni le dò spesso direttamente al mercato (primo, dopo o durante) al mio papà che è fedelissimo al mercato del martedì a Rovereto e al Fotografo che da poco ha ri-scoperto il mercato di San Giovanni di Dio a Roma.

Questa roba verde qui sotto, ad esempio, è stata la cena, ma anche il set, della lezione della scuola di fotografia (livello avanzato) della settimana passata. A Roma cominciavano le primissime zucchine romanesche e certi pisellini freschi e tenerissimi, il resto lo hanno fatto cipolle bianche, scorza di limone e cottura breve.

E lo vedete anche voi che tutte le linee (e anche le curve) portano a Roma.

La ricetta
1 kg di zucchine romanesche
250 g di pisellini freschi già sgranati
2 grosse cipolle bianche
la scorza grattugiata di un limone non trattato
menta o origano fresco
olio extravergine di oliva
acidulato di umeboshi (o sale e un cucchiaino di succo di limone)

per decorare:
2 cucchiai di yogurt (di capra o vegetale)
semi di zucca, di lino di girasole (facoltativo)
1 cucchiano di curcuma (facoltativo)

Lavare le zucchire, tagliare gli apici e affettare in grossi pezzi regolari.
Tritare finemente la cipolla e raccoglierla in una pentola amplia con 4 cucchiaio di olio extravergine di oliva, appena la cipolla sarà trasparente aggiungere le zucchine e quindi i piselli. Coprire di acqua e lasciar cuocere finché le verdure non saranno morbide. Unire anche la scorza di limone e la menta e frullare con il minipimer. Regolare di sale e servire con un cucchiaio di yogurt e se vi piace semini assortiti e curcuma in polvere.

La zuppa di carote (sanissima) della Pilar

Zuppa di carote is the new black!
Scherzi a parte a casa nostra (che di questi tempi è un posto un poco indefinito tra Roma e Barcellona) sta andando forte la zuppa di carote, ma non proprio la solita zuppa… Al Fotografo l’ha “prescritta” la sua nutrizionista, la Pilar, che lo segue da alcuni anni in un regime alimentare rigoroso e spesso molto alternativo.

In questi anni Pilar ci ha fatto scoprire di tutto e cambiare anche diverse abitudini, ognuno a modo suo naturalmente: il Fotografo da integralista, Anna ed io un poco alla carlona, veloci ad accogliere quel che di nuovo ci piace e restie a lasciare quel che ci piaceva prima. Ma tant’è, nella nostra vita sono entrati i fermentati prima che fossero tanto di moda, alghe dai nomi impossibili (comprese quelle di acqua dolce di certi laghi canadesi), risi di ogni colore, acidulato di umeboshi a cui abbiamo convertito l’intera cerchia di amici e parenti e lievito in scaglie (inattivato, per carità!) che Anna mangerebbe a cucchiaiate.

Con il nuovo anno stiamo riscoprendo le carote (e anche i finocchi) e saremmo pronti a scommetere che l’arancione sarà il nostro (uno dei nostri?) colore in cucina.

La zuppa è facile e un poco diversa: quasi un gazpacho al fondo, visto che tutto è quasi crudo. Fa bene e non punisce, garantito.

La ricetta

4 carote di medie dimensioni
1/2 finocchio
1/2 cipolla rossa
curcuma
curry
olio extravergine di oliva
acidulato di umeboshi

per servire:
semi di zucca (o altra semaglia)
origano o cumino nero, o anche semi di finocchio

Lavate le carote, raschiatele, tagliatele in grossi pezzi regolari e tuffatele in acqua bollente per pochi minuti (conservate l’acqua di cottura!). Pulite il finocchio e sbucciate la cipolla, quindi raccogliete le carote cotte nel frullatore e aggiungete le altre verdure. Frullate ed aggiungete poca acqua di cottura alla volta fino ad ottenere la consistenza che vi piace. Alla fine aggiungete la curcuma, il curry e il pepe, l’aciudulato di umeboshi e due cucchiai di olio extravergine di oliva. Servite con i semini e l’origano.

Zuppa fredda di crescione

Succede ogni anno al rientro: la casa è rimasta chiusa più di un mese, a volte due, le piante hanno sofferto e il frigorifero è vuoto.

Arranchiamo allora le prime ore, contenti di scovare riserve insperate (una scatola di sardine del viaggio in Portogallo, un fondo di riso integrale, un barattolo di olive…) e amministrandoci con parsimonia le cose che abbiamo riportato in valigia, stipate in ogni spazietto, a volte quasi inventato.

Poi facciamo la spesa sulla scia delle voglie, ma qualcosa scappa sempre fuori in una casa rimasta disabitata e così capita pure che ti immagini una zuppa fredda di cetrioli e ti dimentichi i cetrioli.
La zuppa in questione era questa, semplice, facile e salutista, visto che abbiamo ovviamente ritrovato anche i buoni propositi di settembre, assieme al solito brusco calo delle temperature.

Poco male, cenare bisognava pure cenare e dunque aprendo il cassetto delle verdure nel frigo si è scoperto che non c’erano i cetrioli ma c’era il crescione.

La cosa valga di promemoria: il verde spesso si può intercambiare con un verde diverso. Se non sono cetrioli è crescione, se non è crescione potrebbero essere spinacini teneri (e ben lavati), rughetta, portulaca, magari pure un avocado.

Insomma questa più che una ricetta è una traccia.

La ricetta (o la traccia) x 2 persone

2 tazze di crescione (o di spinacino, o di rughetta o anche 1 avocado)
tre rametti folti di menta fresca
la scorza di mezzo limone non trattato possibilmente verde
1 spicchio di aglio
origano
200 g di yogurt (vegetale o di capra)
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
acidulato di umeboshi (o sale)

Nel boccale del frullatore raccogliere lo yogurt, l’olio, l’aglio, la scorza di limone e il crescione. Cominciare a frullare a bassa velocità aggiungendo poca acqua fredda, quando comincia ad essere ben emulsionato aggiungere la menta e l’origano (a piacere). Regolare con l’acidulato di umeboshi o il sale e conservare in frigo almeno un’ora prima di servire.

Nota: potete tenere la zuppa più o meno consistente aggiungendo poca acqua fredda alla volta. Se non usate l’acidulato di umeboshi ma il sale, potete aggiungere un cucchiaio di succo di limone.

zuppa verde per il lupo

C’era una volta un lupo, affamato come ogni lupo degno di questo nome in ogni storia che si rispetti. Viveva solo in una casa tra i boschi, tutto circondato dalla neve e dal freddo, stufo ed anzi arcistufo di mangiare sempre zuppa di verdura…

Oggi ci sembra di aver capito che in Italia finisca questo strano anno scolastico, iniziato normale e finito diverso. Noi invece, qui in Catalunya, ne abbiamo acora per due settimane, più o meno. Non siamo nemmeno troppo ansiosi di finirlo questo anno, preoccupati piuttosto di come sarà quello che verrà e molto occupati a tenere teso il filo con le maestre che hanno fatto di tutto per fare tutto il possibile.

E qui c’entra il lupo, anzi el llop, protagonista di una storia molto carina con cui ci siamo esercitati in calligrafie, onomatopee, disegni e interpretazioni. El llop sognava uno stufato di ovelleta (pecorella) ma quando in una notte buia e tempestosa una pecorella vera bussa alla sua porta, il lupo scopre piano piano di essere tremendamente vegetariano.

La settimana successiva la maestra Judith ha commentato: “Sentite, questo povero lupo sarà pure stufo di mangiare sempre la stessa zuppa! Ora che ha capito di essere vegetariano mettiamo insieme tutte le ricette che possiamo e diamogli delle alternative!”
Ed ha inizato lei, proponendo un gazpaco (non sa che noi ne abbiamo fatto un libro intero) poi ogni bambino ha spedito la sua.

Anna ha preso le cose seriamente.

La ricetta

3 zucchine
1 cipolla bianca
1 avocado
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
la scorza di mezzo limone (facoltativa)
un mazzetto di basilico (facoltativo)

Tagliare sottile la cipolla, rosolarla con l’olio e la scorza di limone in una pentola capiente, aggiungere le zucchine lavate e tagliate a pezzi regolari. Corpire di acqua e cuocere a fiamma media finché le zucchine non saranno tenere. Frullare e fare intiepidire. Aggiungere quindi l’avocado e il basilico (se lo usate) e frullare nuovamente. Regolare di sale.
Nota: un cucchiaio di yogurt greco al centro di ogni piatto ci sta una meraviglia.

zuppa di pesce con picada

Sulla zuppa di pesce avamo fatto, poco meno di un anno fa, una estesa dissertazione teorico-pratico che chiamava in causa il banco dell’Enriqueta (la nostra pescivendola qui al mercato di Santa Caterina) e la magia del brodo, visto che proprio sui brodi lavoravamo in quel periodo per il librino uscito giusto giusto giovedì  scorso in libreria.

quasi fosse uno tzatziki

Mica facile trovare il titolo per la cena improvvisata dell’altra sera perché, se il punto di partenza era stato una certa idea di tzatziki, per strada abbiamo fatto i conti con il principio di realtà secondo il quale apparecchiamo la nostra tavola da un annetto a questa parte.

la stracciatella lucana di Lina

A sbalzi, a tentoni, giocando a nascondino e qualche volta pure a rincorrersi la primavera sembra, nonostante tutto, arrivata. Ce ne accorgiamo dal verde che impera, dai mercati che si sono fatti più freschi persino qui a Barcellona dove le verdure sembrano vivere una stagione unica.

la zuppa tiepida di carote

Succede ogni anno e questo non ha fatto eccezione. Faccio finta di non accorgermene e rimando finché proprio non posso più ignorarlo, quindi mi tuffo nel cambio degli armadi armata di tutte le buone intenzioni, finisco quasi per soccombere e alla fine ne esco stremata. Il giorno dopo immancabilmente piove, o in quell’altra stagione torna la canicola. 

Pin It