Buone cose porta il mondo, l’amicizia, la rete! Tocca solo sapere pescare, o meglio disporsi a cuor contento a scrutare il mare, alzando a tratti lo sguardo dal libro che si ha in mano, dallo scoglio sul quale si sta seduti che pure brulicano di vita.
Sarà che ho voglia di vacanza, degli scogli di lava della mia parte di Sicilia che a giugno, per tante e tante ragioni, cominciano a chiamare.
Sarà che la Sicilia è tanta e, seppure lontana, la respiro benissimo da qui, dove molte, moltissime cose hanno trovato una radice, un richiamo un eco. Le persiane avvolgibili dei balconi legate con la corda al gancio del muro, i biscotti morbidi che sono melindros a Barcellona e giambelline a Caltagirone, il pesto trapanese che diventa romesco e tante, tatissime altre storie che mi piacerebbe un giorno avere il tempo di studiare.
Questa però è la storia della “frittedda” di Marzia, con cui ci conosciamo da sempre e da mai, lungo tutto il tempo lungo del blog e poi dei libri, e poi di tutto il resto. Lei ci ha regalato questo pezzo di Sicilia che confina sorprendentemente con il Lazio, dove la vignarola del maggio è molto simile a questa frittedda di Sicilia occidentale che si spinge fino ad Enna.
Ma la cucina è questa magia di identità e mescolanza, di territorio e di commercio, di radice comune che a volte inaspettatamente fiorisce a distanza nell’identico risultato. Se non si ha paura si resta stupiti!
Marzia non solo ci ha mandato una ricetta, ma un messaggio bellissimo che la racconta inquadrandola perfettamente tra lo spazio delle varianti possibili e la regola dell’uso di famiglia. Tutto (quasi) è possibile, ma la versione giusta è sempre una sola!
La Sicilia è così, e forse non solo lei. Il Fotografo si è ostinata a chiamarla vignarola, del resto i Romani son testoni, convinti di essere (ancora) il centro gravitazionale dell’universo. Ma discutere abbiamo discusso, di tutto e soprattutto del piatto da usare, dello sfondo e dei colori, ora provate voi ad immaginare qual era la versione siciliana e quale quella romana, quella femminile e quella maschile, chi ha preferito i pallini e chi i quadretti… poi chiameremo in causa Marzia e ci faremo dire qual era quella giusta!
“Cara MT questa è la ricetta della “fritteddra” (frittella ) di fave, carciofi e piselli. A casa mia, mia madre che era di Partanna (Tp) la preparava per tutta la primavera e si mangiava da sola o con la pasta (conchiglie o ditali, o anche spaghetti). A Palermo, dove vivevamo, ci aggiungono l’agrodolce (aceto e zucchero, quando la cottura è finita), ma a noi pareva che rovinasse l’equlibrio delicato di amargnolo delle fave e dei carciofi e il dolce dei piselli. A Enna, il finocchietto, che di solito è sublime, ma qui copre tutti gli altri sapori. Insomma, ci sono vari modi di fare la frittella, ma quella vera è una sola”Frittedda” di fave, piselli e carciofi!”
La ricetta che Marzia ci ha mandata è tratta dal sito: palermotoday.it
1 kg di fave da sgusciare oppure 400 g di fave surgelate
1 kg di piselli da sgusciare oppure 400 gr di piselli surgelati
4 carciofi
4 cipollotti lunghi
50 g di finocchietti selvatici lessati e tritati (facoltativo, noi non lo abbiamo messo)
40 g olio extravergine d’oliva
Pulite con coraggio i carcifi, eliminate le foglie esterne più dure, tagliate le punte e una volt ottenuto il cuore tagliatelo a metà, eliminate anche l’eventuale peluria e affettateli conservandoli man mano in acqua acidulata con succo di limone per evitare che anneriscano. Se lavorate con ingredienti freschi sgusciate le fave e i piselli.
affettate sottilmente i cipllotti, fateli rinvenire in un tegame largo con l’olio extravergine di oliva, aggiungete i carcifi ben scolati e fate rosolare per un paio di minuti mescolando con un cucchiaio di legno. Unite le fave e i piselli e rosolate per un minuto appena, quindi versate mezzo bicchiere di acqua e cuocete a fiamma dolce per circa 10 minuti. Trascorso il tempo verificate la cottura e aggiustate di sale. Potete servire sia calda che fredda.