Manchiamo da un poco
e mi sento vagamente in colpa come quando da piccola non aggiornavo il diario, quello preziosissimo e segreto con la chiavetta effimera sul lucchetto minuscolo a lato.
Abbiamo molte scuse, un poco come quando eravamo piccoli. La vita a volte va veloce o anche solo tranquilla, un giorno dopo l’altro, tra la cucina, il set e ora anche le lezioni. Poi per fortuna ci sono picchi di grandi e piccoli eventi, che ti fanno fermare, ti fanno voltare a guadare e ti ritrovi con la voglia di riprendere la penna in mano, o di ticchettare sulla tastiera.

é questo il senso di un diario, no? anche di un diario di cucina!
Dunque è successo che la settimana passata è uscito il nostro ultimo libro: La Boqueria e i mercati di Barcellona.
Io mi sono guardata indietro ed ho avuto un gran bisogno di spiegare cosa significa per me. Non solamente tre anni di lavoro, la pandemia nel mezzo, non soltanto il nostro 21esimo libro (se ho fatto bene i conti) e il 500esimo del catalogo di Guido Tommasi (ne siamo molto orgogliosi!) ma anche la sensazione chiara e matura che qui stia la nostra identità.
Facciamo tante cose, ma per prima cosa facciamo libri. Siamo vintage, ci piace raccontare storie, fissarle sulla carta con le parole, le immagini e le ricette. Si dice facile e forse al fondo lo è, ma c’è un grande lavoro dietro e molta responsabilità.

Perché i libri una volta che li lasci andare, una volta che escono in libreria, escono al mondo. Tu non li controlli più, come è giusto che succeda ai figli, hai solo potuto fare del tuo meglio e sperare che fioriscano.
E a lasciare andare questa nostra Boqueria ci abbiamo messo parecchio. Ho vissuto con una fatica rinnovata ma del tutto speciale l’ultima correzzione di bozze, la chiusura delle pagine dei ringraziamenti, che nei nostri libri sono senpre lunghe ma questa volta smisurate. Paura di sbagliare gli accenti del catalano o l’opportunità di una traduzione, paura di dimenticare un ringraziamento importante e soprattutto di non aver saputo restituire abbastanza il riassunto di una vita, perché in questo ultimo libro c’è un racconto assolutamente corale.

Nella mia vita precedente, che da qui mi sembra lontanissima, mi occupavo di comunicazione visiva, insegnavo cose di fotografia e di cinema, ma mi interessavo soprattutto di etnografia del quotidiano, facevo interviste, lavoravo sul campo, osservavo e cercavo di raccontare. Ecco in questo ultimo libro è come se la vita di adesso mi riportasse qualcosa di quel tempo, o meglio ho scoperto che nelle vite, compresa la mia, le cesure sono sempre finte. Siamo quello che eravamo, in modo diverso magari, ma se è vero che allora cucinavo tanto è pure vero che oggi guardo alle cose con lo sguardo che ho allenato allora. C’è voluta la Boqueria, uno dei mercati più famosi al mondo, per farmelo toccare con mano!

Quando abbiamo iniziato a lavorare su questo libro, ma ancora prima, appena trasferita a Barcellona entrare alla Boqueria era una sofferenza.
Non trovavo la quadra, non trovavo la porta di ingresso che non mi pareva potesse essere il grande arco modernista iperfotografato dai turisti di mezzo mondo che guarda alla Rambla. La sensazione era tanto più paradossale considerato che il mercato di Sant Josep (vero nome ufficilale della Boqueria) è organizzato attorno a un porticato, dunque poroso e aperto, anzi apertissimo!
Ma penetrare realmente la Boqueria è stato un processo lungo. All’inizio mi perdevo proprio, non sapevo mai dov’ero e una volta attraversato il cuore centrale con l’isola dedicata al pesce non sapevo neppure più da dove ero entrata e come uscirne. Un labirinto dunque.

Mi hanno salvato le storie e le persone a cui stavano attaccate.
La Signora Francisca che vende quinto/quarto e frattaglie da quando era bambina e accompagnava la nonna Sisqueta. Lei mi ha dato la chiave per capire che il mercato è un teatro, che va in scena ogni mattina, che non si mette semplicemente in mostra.
Il Pere, quarta genereazione di un banco che è nato con la Boqueria stessa, quando ancora non esistevano la Sagrada Familia, o il Barça. La città è qui, lo è ancora con tutte le sue difficoltà, in un rapporto complesso ma semplice che lega con un filo insissolubile il ventre della città ai suoi campi, così come lo aveva descritto Zolà per il ventre di Parigi.
Il Petràs che è un romanzo a sè, una storia di funghi, rude “burberia” di montagna e amicizia. E adesso che conosco un poco della sua vita il suo banco non è solamente una meraviglia da mille e una notte, ma un monumento vivente del mercato e della città stessa.

Vi sembra poco?
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https://www.guidotommasi.it/guido-tommasi-editore/catalogo/la-boqueria