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arrosto con prugne e mele (home made)

Era da un po’ che non ci giocavamo più, ma davvero l’associzione carne (principalmente di maiale ma non solo) e frutta è stata su queste pagine, e ben prima di loro, una delle più praticate. Abbiamo cambiato casa, città e macellaio, arrostito mirtilli, ciliegie, clementine, nespole e visciole per trovare che sì, ci pare proprio che funzioni, che sia un buon trucco per evitare l’effetto soletta e per giocare sulle variazioni.

In questo caso le prugne e le mele si son fatte un viaggetto, dall’Etna fino a Roma… prugne del Dumigghiaro e mele di Pietrafucile, campagne piccole, piccolissime ma amate e riconoscenti, al punto che ancora ci rimane da capire come possa un albero tanto piccino, esile persino, riempire cassette e cassette di prugne schiette e corpose.
Per la carne la faccenda è stata più urbana, macellaio romano, romanissimo, di quartiere e tatuatissimo, entusiasta (e pure di più…) che il suo lavoro fosse fotografato … e che se in caso la prossima volta, ce serve un modello lui ci sta. Noi ci contiamo.

il tordo matto

Non è che sia stata poprio proprio esattamente la gita di pasquetta, però delle nostre ore trascorse a Zagarolo abbiamo riportato le sensazioni forti di un altrove tanto e tanto vicino.
Mentre forse ci si divide e ci si alambicca con troppa collaudata partigianeria tra cucina di trucchi (quella rapida-rapida dei surgelati, del dado, del ci ho messo cinque minuti e me ne vanto) e cucina alta (del mettere, del togliere e comunque solo e soltanto del ristorante) ci si dimentica che per fotuna (tanta!) l’Italia, come tanti altri luoghi del resto, è un posto dove si continua a far le cose per bene, con cura, con prodotti, con ingegno, con cultura di tradizione ma non solo.
Dunque siamo stati a Zagarolo e ci siamo andati proprio a cercare il tordo, quello matto. Trovarlo non è stato difficile: abbiamo chiesto di lui nel centro assolato del paese e ci hanno spedito da Pietro, macelleria Pacifici, nella via che taglia di mezzo il paese proprio lì dove comincia a scendere.

le recensioni dei calycanti. solociccia di dario cecchini

Ci siamo stati. E poi ci siamo tornati. Il menù da Solociccia è sempre quello, strutturato da cima a fondo attorno ad un tema solo, e il tema, è evidente, è la carne, la ciccia. Sì perché il Cecchini è un macellaio, anzi è il macellaio di Panzano in Chianti. La sua “bottega”, l’antica macelleria Cecchini, sta proprio di fronte al ristorante e lui si giostra giocoliere, saltimanco, attore consumato nel palcoscenico animato e conviviale che include la bottega, la casa (cioè il ristorante) e lo spazio che sta nel mezzo. Ma la sensazione è che sia un po’ tutto il paese a circondare il Cecchini e lui ad essere parte del paese e del Chianti, in generale. Del resto Solociccia è un’esperienza: si aspetta insieme agli altri il turno di servizio (ce ne sono due a sera) e insieme agli altri si mangia, passandosi vassoi e chiacchierando spesso in diverse lingue, ci si può portare il vino da casa e anche qui capita di scambiarsi le bottiglie. Poi la sequanza è fitta…

arista all’uva fragola

La settimana, si è capito, è quella giusta, dedicata in tutto e per tutto all’uva, con buona pace di Maite che comunque si è già rimessa in viaggio. Ma se l’uva che si raccoglie di giorno con attenzione, fatica e allegria finisce (ben pesata e recensita) nel celeberrimo ribollir dei tini, nelle pancine affamate che ci si mette? Uva! Ancora? sì, ma questa volta fragola (che l’altra non si può perdere… che si spreca) e mischiata “intimamente” con un’arista reale che il macellaio ha calcolato per dodici. Hanno cotto insieme svariate ore e alla fine l’abbinamento era così riuscito che ha vinto più di uno scetticismo, compreso quello di Maite che in fondo ha trovato che questa maniera trattava l’uva più come vino che come frutta.

arrosto ai mirtilli rossi

La foto qui sopra è una specie di compromesso, compromesso a tre naturalmente. Sì perchè noi, les filles, vorremmo (spesso, non sempre eh…) immagini un po’ romantiche e sbiancate, in stile Donna Hay per capirsi, tutte tazzine e ciotolini, straccetti appoggiati e piccoli dettagli di colore spesso rotolanti. Il fotografo, lui, tende a sbuffare… roba da femmine, e poi sempre tutto bianco e lo straccetto sotto il piatto ancora? no, per favore no… E allora discussioni sullo sfondo, sullo styling, sullo straccetto… fai come vuoi tu… oppure qualche volta… va beh allora la faccio io la foto… e alla fine a un certo equilibrio si raggiunge quasi sempre. In questo caso i mirtilli rossi aiutavano (i famosi dettagli piccoli colorati e rotolanti), il tagliere, ormai lo sappiamo, risultava fotogenico, la carne era sufficientemente maschia, la luce poteva permettersi d’essere bianca un po’ Donna Hay, un po’ macelleria piastrellata anni sessanta…

roast beef ai mirtilli

La carne in questi mesi l’abbiamo spesso declinata con la frutta tanto che ormai sta diventando quasi una specie di esercizio di stile, teniamo ferma la bestiola e ci giriamo intorno con tutta la variabile stagionale (e non): dalle prugne alle castagne, dalle mele alle pesche noci e poi ciliegie, ananas, nocciole e mandorle che forse sono frutta particolare.
Questa volta, visto che al mercato sono comparsi alcuni banchetti nuovi ingombri di fruttini stagionalissimi e localissimi, ci siamo buttati sui mirtilli e pensando che la cottura non aveva da essere lunga abbiamo preferito un pezzo di roast-beef da scottare appena appena, anche se in realt

stracotto di guanciale al merlot

Visto che qui sembra tornato l’inverno con tutto un calare della luce che pare irreale (che il grigio sia dipinto?) ci è venuta voglia di una cosetta calda, di quelle che cuociono lentamente lentamente e asciugano tutto l’umido fuori dalla finestra. Il macellaio, poi, ci ha messo del suo procurando un taglio che non è dei più consueti ma di certo dei più adatti a cotture lente, imbibite di vino rosso e di spezie, oltre che di pazienza. Così il guanciale l’abbiamo messo sul fuoco con un mucchio di cipolle nella pentola di ghisa rossa che credevamo, incauti, di avere quasi deposto per questa stagione…

polpettine all’arancia

Queste polpettine piccine piccine erano anche loro parte dell’aperitivo (per la vernice della mostra di Melotti) di cui stiamo parlando da qualche giorno e che Comida de Mama (con l’aiuto di Marta) ha raccontato con grande dolcezza. Dal nostro punto di vista, un po’ da dietro le quinte, abbiamo da svelare qualche retroscena: in primo luogo per rendere il merito della cottura a Giacomo che le ha fritte una ad una (ed erano tante e soprattutto piccole); poi per dire che la questione della scorza di arancia nell’impasto era davvero un primo esperimento, di quelle cose che ti immagini in bocca e che scommetti che funzionerà ma la certezza quella piena ce l’hai sempre quando è ormai troppo tardi… Così quando, à bout de souffle, ne abbiamo rubata una direttamente dalla pentola, c’era comunque un fremito d’ansia velato di ottimismo, meno male che funzionava e meno male aver rubato almeno quella, perché poi, nella confusione delle cose, di polpettine non siamo riusciti ad agguantarne altre.

brasato al cacao

 

Questa ricetta l’abbiamo letta sul numero di gennaio de La cucina italiana e complice l’osservazione arguta e puntita di Virginia sul fatto che in Italia si fatica a considerare il cacao un ingrediente non necessariamente da dolce, abbiamo deciso di metterla in cantiere. In cantiere sì, perchè se in sè non è né complicata né difficile richiede però un minimo di organizzazione preventiva che comprende il procurarsi il giusto pezzo di carne e soprattutto la marinatura di una notte nel vino.
Il risultato però è fastoso, corposo e intenso… pure un tantino forte… prevedete quindi un vino che riesca a tenere botta, una polentina (o patate o riso) che stemperi la faccenda e una siesta di qualche ora dopo pranzo.

roast beef zenzero e champagne

 

Ne avevamo già accennato parlando della genesi a puntate della zuppa gamberi e carciofi, ma dopo il post dedicato alla dipendenza da zenzero non si può più aspettare.
Riprendiamo dunque il filo della gita di sabato scorso al mercato di Sant’Ambrogio, per dire che superata la coda davanti al banco di Osvaldo (al quale prima o poi bisognerà dedicare un post personale, anzi personalissimo) e presa la decisione, azzardata, di associare lo zenzero fresco al roast beef, siamo arrivati a casa con il nostro pacchettino piuttosto maestoso.
Le fotografie di rito con qualche indugio (!) e poi la carne è finita in pentola senza che il piano fosse (ancora) del tutto deciso. Ma siccome l’azzardo chiama l’azzardo, assieme allo zenzero fresco ci è finita una parte di una bottiglia di champagne qui trainait (insomma che stava lì) nella non-cantina da troppo tempo, senza che nessuna occasione sembrasse sufficientemente degna. Aspetta, che aspetta, alla fine ci siamo detti che un’occasione qualunque era certamente la più degna per festeggiare il piacere di essere insieme, di cucinare insieme (finalmente!), di mangiarci la nostra carnina e di finirci la bottiglia di Moët & Chandon.

daube alla provenzale

La Daube alla provenzale è un piatto tipico della cucina francese. Quando ero piccola mio padre la preparava di tanto in tanto e per me era un momento di festa. Non cucinava molto spesso, ma quando lo faceva, era con tutti i crismi, un po’ come Ratatouille. La cucina diventava il suo regno e guai a chi lo interrompeva… ma in realtà era un piccolo-lungo momento molto divertente perché ad un certo punto della cottura arrivava e diceva: vieni, vieni, assaggia il sughetto! Non è che tra me, mio fratello e mia sorella ci si facesse pregare, e per tutti e tre era il tripudio di scarpetta con il pane per l’assaggio del sugo. Anche mio padre non rinunciava agli assaggi… e quindi arrivati alla fine, quando dovevamo mangiare la carne… diceva sempre: Merde, non c’è abbastanza sugo, la prossima volta devo farne molto di più!

terrina di coniglio alle nocciole

Per le terrine si può finire per nutrire una vera ossessione. Sono terribilmente concrete, carine da morire, lavorate ma sempre naturali, con pure qualche cosa di alchemico che sembra saltare fuori come una domanda finale: come si saranno combinati i sapori?
Non a caso alla base delle terrine ci sono spesso marinature, profumi, spezie e cotture indirette come il bagno-maria (altra passione culinaria infantile e inspiegabile…) che ne fanno qualche cosa di speciale. Tipicamente messe in cantiere per le feste, non sono spesso a ben guardare più complicate di altre cose ben più quotidiane.
Questa terrina qui l’abbiamo presa diritta diritta da un libro Garden Party (Guido Tommasi editore) che si è rivelato una fonte preziosissima a cui già altre volte abbiamo attinto e mai, fino a ad ora, per ricevimenti giardineschi..

brasato alla birra scura e al pepe rosso di sichuan

 

Dal macellaio del mercato di Ponte Milvio lo stesso pezzetto di carne è finito in due diverse borsette.
Sulla fine del pezzo più grosso manteniamo per il momento un certo riserbo, mentre sul secondo, quello più piccino (!) converrà dire che il macellaio sosteneva che fosse giusto giusto per tre, ma che, a dire la verità, anche per cinque sarebbe bastato e pure di misura…  “un gran bel pezzo da cottura lenta”, sempre secondo il macellaio, una cosa da fare brasato, con il vino, per tante tante ore, e su questo in effetti aveva ragione, pienamente. 
Solo che invece che il vino nella cottura lenta ci è finira la birra, scura e piena di aroma, a cui abbiamo aggiunto il pepe rosso di sichuan di cui avevamo sentito elogi accalorati ma sul quale a dire la verità avevamo qualche perplessità, temendo l’effetto marketing che ultimamente circonda (eccessivamente?) alcuni prodotti (perché, ad esempio, abbiamo mangiato un sale unico per trent’anni per poi scorprire che “vuoi mettere quello rosa dell’Himalaja?”). 
Ma questo pepe non ci ha delusi in nulla, ha un sapore e un profumo meravigliosi, un pizzicore leggero, qualcosa che lo avvicina al cardamomo e al chiodo di garofano, alla fine si sente persino un po’ di menta, o addirittura un formicolio piacevole. Con la birra scura poi ha dato delle soddisfazioni almeno in parte inaspettate, insomma ci ha convinti così tanto che ne avremmo portato un pezzettino anche al macellaio di Ponte Milvio, se solo ne fosse avanzato… e soprattutto lo avremmo portato di corsa a Virginia, quando abbiamo trovato questo, una sorta di prova del nove sull’importanza del pepe (nel brasato e) nella vita.

polpettine di amaranto, pollo e noce moscata

 

Siamo fans dell’amaranto scoperto, come dicevamo, da poco e sotto casa (http://www.mandacaru.it/), e come spesso accade quando si scopre una cosa nuova lo metteremmo dappertutto. Così, dopo esserci cimentati con la zuppa, e in attesa di osare provare a farne pop corn, ci siamo lanciati sulle polpette. 
In questa prima versione all’amaranto abbiamo mescolato il pollo usato per un brodo, una patata per dare consistenza, poco latte per dare morbidezza, noce moscata e scalogno crudo per dare carattere, un uovo perché ci vuole.
Le polpettine sono venute spettacolari, ma soprattutto ci ha colti una specie di ebrezza creativa: con quante altre cose si possono impastare le polpette di amaranto?

ricetta d’artista n°3. empanadas chilenas para el cumple de Humberto

Humberto Orellana è un musicista un po’ speciale!
Un po’ speciale perché suona uno strumento, la viola da gamba, dimenticato per qualche secolo forse perché era troppo bello e poi gli altri sfiguravano.
Un po speciale perché gli stumenti che suona se li costruisce da solo. Oltre che musicista anche liutaio. Un po’ speciale perché, nella notte dei tempi, è stato maestro del fotografo.

Humberto vive da tanti anni in Italia ma ci regala una ricetta che più chilena non si può, uno di quei piatti che si fanno per le feste importanti e che hanno bisogno di una preparazione lunga e laboriosa, che diventa essa stessa un rito…

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