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L’allioli di Maria

Per una lunga parte della mia vita l’ho pronunciato alla fracese: aliolì, con l’accento finale sulla ì che gli dà un’aria sbarazzina e tremendamente francese. Colpa dei viaggi in Provenza che mi hanno fatto credere a lungo che fosse una cosa francese, benchè non parigina, ma del midì, anche quello con l’accento sulla i.

Candida e concentrata sull’aglio, l’allioli è patrimonio de los Països catalans di cui è parte storica anche una parte del midì francese tra i PIrenei e il Rossillon. Il problema di questa pronuncia alla francese è che si perde molto della sostanza di questa salsa che andrebbe scritta come all -i- oli, ovvero aglio e olio, niente di più.

Tutto questo per dire che se riuscite a fare un salto in Catalunya quest’estate, o quando sarà possibile, sappiate che la storia dell’allioli è un’avventura lunga e consolidata, anche se con questioni ancora irrisolte e misteriose. Secondo alcuni infatti qui si troverebbe anche la base della maionese in una leggenda un poco romanzata che ha al centro l’isola di Mallorca e la sua capitale Mahón, durante la breve dominazione francese, ma questa è un’altra storia.

La versione tradizionale dell’allioli prevede solo olio e aglio, aglio e olio e solo un grande lavoro di pestello (di legno) dentro al mortaio smaltato, niente altro. Poi come è ovvio ne esistono svariate versioni che accorciano (forse) il lavoro, ma perdono per strada un poco il sapore.

In questi anni di vita a Barcellona credo di aver provato ogni modo, ogni ricetta, ogni trucco che mi sia arrivata all’orecchio. Sulla versione più tradizonale (solo aglio, sale e olio) ho sudato molte camicie e ottenuto una versione accettabile solamente un paio di volte, la cosa dunque continua ad incutermi terrore. Quella che invece prevede uovo e minipimer a immersione semplicemente non mi è riuscita mai, ma ancora ricordo la frustrazione e la rabbia. Perché il probelma dell’allioli, esattamente come per la maionese, è che si può “negare”, impazzire diremmo in italiano, rifiutandosi di crescere in volume ma anche di tenere insieme gli ingredienti. E son guai.

Di tutte queste maniere alla fine tengo ferma quella della nostra amica Maria, che l’ha preparata a casa nostra per un pranzo della domenica ritrovato. Da quel giorno l’ho rifatta già due volte senza sorprese e (quasi) senza fatica. Visca l’allioli i visca la Maria!

La ricetta

uno spicchio di aglio (ma pure di più se vi piace forte)
una presa di sale grosso
un tuorlo d’uovo a temperatura ambiente
olio extravergine di oliva (ma di gusto delicato)

Sistemate il mortaio su di un panno inumidito in modo da avere più presa sul piano di appoggio, oppure sedetevi su di una sedia e appoggiatevelo tra le gambe. come si faceva una volta.
Sbucciate l’aglio, eliminate il germe e trituratelo fino direttamente nel mortaio. Aggiungete il sale e cominciate a pestare fino ad ottenere una pasta omogenea e un poco collosa. Unite quindi il tuorlo e cominciate a mescolare con il mortaio con grande delicatezza, formando delle circonferenze sempre nella medesima direzione, quando il turolo sarà incorporato cominciate a versare l’olio a goccia, piano piano e con pazienza, senza mai smettere di mescolare, e sempre nella stessa direzione.
Se tutto va bene vedrete che piano piano il composto si gonfierà; continuate fino ad ottenere la quantità di allioli che desiderate.

Escudella de Nadal

In Catalunya la notte di Natale richiede escudella, un piatto tradizionale, anzi tradizionalissimo che non ammette deroghe. Si tratta di un ricco brodo di carne servito con galets, conchiglioni rigati giganti di pasta di semola (ebbene sì, la pasta è molto più presente nella cucina catalana di quanto si potrebbe immaginare) e un bel pezzettone di pilota, una sorta di polpetta/polpettone che viene cotta nel brodo così da arricchirlo ancora un poco…

La ricetta è di casa, ma di una casa speciale, il BonVent che non è semplicemente un negozio ma un piccolo universo prezioso di calore mediterraneo.

Le parole per raccontarla, descriverla e prepararla sono le loro ed hanno già tutto un sapore speciale (noi abbiamo solo tradotto)

Ingredienti per 4 persone (abbondanti)

1 petto di gallina
200 g di stinco di vitello lardellato
200 g di punta di petto di vitello
1 piedino di maiale
1 osso di prosciutto
1 osso vertebrale
200 g di sanguinaccio
200 g di salsiccia

1 pastinaca
1 rapa
1 cipolla
2 patate grandi intere
2 carote grandi intere
1 porro
1 costa di sedano
mezza verza
200 g di ceci già ammollati

150 g di carne tritata di maiale
150 g di carne tritata di vitello
1 uovo
1 dente di aglio
pangrattato
pinoli
latte
prezzemolo
tartufo nero
sale
farina

galets (conchiglioni rigati)

Sistemiamo una pentola grande piena di acqua sul fuoco e aggiungiamo subito nell’acqua fredda le verdure, le carni (escluso il sanguinaccio) e il sale. A noi piace legare ogni pezzo di carne, in modo che durante la cottura non si sfaldi e faccia miglior figura sul piatto di portata.

Quando il brodo inizia a bollire lo schiumiamo e aggiungiamo i ceci che abbiamo tenuto in ammollo la notte precedente. Tappiamo la pentola e lasciamo cuocere a fuoco lento per un’ora.

Mentre la pentola bolle procederemo a preparare “la pilota”. In una terrina sistemiamo le carni tritate di manzo e di maiale, assieme all’uovo, il dente di aglio tritato finemente, un pugno di pinoli, il pane grattugiato, un poco di prezzemolo e due pizzichi di sale. A casa nostra usiamo aggiungere un tocco speciale: due o tre lamine di tartufo nero, perché regalino aroma speciale all’impasto.

Quando tutti gli ingredienti sono nella terrina, aggiungiamo un goccio di latte che ci aiuterà ad amalgamare bene gli ingredienti tra di loro. Completata questa operazione, con le mani formiamo delle polpette che poi infarineremo. In alcune case “la pilota” è un’unica grande palla che viene divisa quando viene servita. A casa nostra ci piace farla in formato individuale e servirla in ogni piatto.

Dopo averla infarinata si incorpora nella pentola dove stanno bollendo le verdure e le carni, e infine si unisce anche il sanguinaccio.

Lasciamo bollire la pentola 2 ore in totale.

Terminata questa preparazione si cola il contenuto della pentola per separare il brodo. Con il brodo si prepara la “sopa” aggiungendo la pasta tradizionale che è “el galet” (il conchiglione rigato). Per questa occasione i conchiglioni vanno scelti di un formato grande.

Il brodo con la pasta (la sopa) è il primo piatto di questo giorno di festa, dopo si servono le carni e le verdure.

A casa nostra siamo abituati a servire questo primo piatto di brodo e galets ma poi la maggior parte di noi vuole ripetere e ne approfitta per aggiungere qualche verdura e “la pilota” al brodo. Quando si consuma il brodo assieme alle carni e alle verdure il piatto prende il nome di “Escudella barrejada”.

Le quantità che prepariamo sono sempre molto generose visto che per seguire la tradizione approfittiamo dei resti delle carni per preparare il piatto stella del giorno 26, santo Stefano, che sono i cannelloni! Un’altra prelibatezza della cucina catalana.

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