La pasta fillo è un miracolo della natura, del mattarello e dell’ingegno (oltre che delle mani) umane. Lo è anche quando, e in Italia è la norma, la si trova (magari anche con fatica) surgelata. Molto più leggera della sfoglia, stretta parente della brik tunisina (che però da quanto ho capito è ottenuta dalla semola e dunque leggermente meno sottile) è molto usata in tutta la cucina mediorientale, ma anche in Grecia e in Turchia.
Farla in casa è un’impresa di quelle epiche e suggestive (per farsi un’idea della sua natura mitologica guardare qui) , una di quelle cose da mettersi davanti solo in giornate di grande pacata pazienza e di illimitata fiducia in se stessi, ma alcune coraggiose mani tra cui quelle di Elena-Comida ci si sono cimentate e pure con successo e con ragione. In attesa di raccattare il coraggio val la pena di tenerne un pacco nel congelatore e di modularla a piacere, una delle sue grandi virtù è infatti la versatilità, non solo nel ripieno, ma pure nella consistenza.
pizzàs à l’oignon
L’idea l’avevamo sbirciata sull’ultimo numero di Saveur in uno di quei pomeriggi tardi (e rari) in cui si condividono un pezzetto di divano e un angoletto di pigrizia.
Tra il dire e il fare è trascorso giusto (ed esattamente) lo spazio compreso tra il divano e il frigorifero, ma tra l’andata e il ritorno c’è strato il tempo di misurare qualche variazione.
Cipolle di tropea fresche (perché quelle avevamo), pasta sfoglia al posto della classica (sempre perché quella avevamo) e basilico. La caramellatura delle cipolle, burro e zucchero, l’abbiamo invece lasciata al suo posto. Il risultato è stato floreale e felice, con quella buona dose di ambiguità tra Francia e Italie che piace tanto a Marie.
gougères
Leggere sono leggere come nuvole, da tenere impilate sulle mani.
In bocca hanno la consistenza dei bigné, degli choux, o meglio ancora delle chouquettes (e infatti si fanno più o meno allo stesso modo), ma sono salate (leggermente), con un gusto di formaggio del nord (gruviera). Calde sono assolutamente strepitose, ma anche tiepidine e persino fredde hanno il loro assoluto fascino, anche perché sono tenerissime, vellutate e meno sbriciolose dei bigné. Insomma valgono la pena di una prova e sicuramente di un assaggio, anche perché quella dimostrazione di coraggio che sta nel buttare di schianto tutta la farina nell’acqua bollente di burro, è da sola tutta una magia a parte…
biscotto-gelato di aringa e patate
cake con edamame wasabi e sesamo
La vita in provincia regala qualche sorpresa. A parte le produzioni metro-zero della signora Fausta, capita qualche volta cha, a ben girare i supermercati, si scoprano fenomeni che hanno dell’incredibile e che la capitale (ehm…) ignora anche nei mega-iper-centri commerciali dove qualche volta ci succede di pascolare con tutto lo stupore (e a volte il terrore) degli occhi di campagna. Se poi questi stessi supermercati di provincia sono battuti in avanscoperta dal fiuto infallibile di comida, si finisce per sentirsi se non proprio al centro del mondo (è ancora troppo fresca la ricerca vana del wasabi), perlomeno in un mondo dove tutto è ancora possibile. Questa lunga premessa per dire che abbiamo scovato alcune buste di edamame surgelati nei banchi frigo di una catena di supermercati trentini ed è stato subito accaparramento, tanto che credo che ormai non se ne trovino più. Una volta messi al sicuro nel forziere del congelatore è venuto pure il momeno di consumarli e così, dopo averli mangiati un po’ di volte nature, alla fine è arrivato il tempo di ricamarci un po’ sopra inseguendo proprio la matassina del colore verde: dall’edamame al wasabi. Poi siccome non pareva il caso di alterare un sapore così orientale con contaminazioni troppo marcatamente fusion (tradotto: il parmigiano non ci stava) abbiamo aggiunto un paio di cucchiai di semi di sesamo.
cake di asparagi
Non abbiamo avuto la fortuna di Alex di averli visti dal vivo venire fuori dalla terra (e per altro i suoi erano pregiatamente bianchi per non aver visto la luce, mentre i nostri sono prosaicamente verdi…) ma per gli asparagi abbiamo una passione vera. Quando poi al mercato del sabato mattina Giustino-il-contadino si prodiga in una scorbutica lezione sulla stagionalità assoluta e arriva persino a caldeggiare (con tono di sfida!) che il modo migliore di mangiarli (questa settimana soltanto e naturalmente soltanto i suoi!) sia crudi, sappiamo già che non possiamo non comprarli (del resto ci pensa lui a metterceli a forza nel borsone senza possibilità alcuna di opporsi). Tra le signore in coda davanti al banchetto serpeggia scetticismo e incredulità dubbiosa, persino un po’ di panico quando la manona di Giustino ne spezza uno e lo porge nudo e crudo all’assaggio, naturalmente all’unico uomo presente, che sentenzia: “uhm, sanno di fave”. Inutile dire che sì, li abbiamo usato crudi e quando la macchina si deciderà a sputarli fuori racconteremo il come e il cosa (sempre che le fotografie passino le maglie della censura stretta del fotografo), però per intanto eccone una versione a cake giocata su quella intuizione del sapore (sanno di fave…) e sulla necessità di gestirne la quantita: le manone di Giustino hanno una misura tutta loro a cui è inutile replicare, per fortuna che sono buonissimi.
tortine frolle di radicchio & zucca
Queste tortine sono nate come un esperimento e finiscono come un consiglio. Il fatto è che se la zucca è dolce e il radicchio è amarognolo, manca il sale, l’agro e il piccante.
L’idea era di risucire a metterceli dentro tutti…
Alla zucca si è unito un po’ di peperoncino, al radicchio l’aceto balsamico, ma il punto non sta qui.
L’esperimento vero che poi è il consiglio è stato usare la pasta frolla dolce (e pure leggermente vanigliata) per avvolgere il tutto, era la prima volta! ma ci sono naturalmente (come quasi sempre in cucina) dei precedenti e in questo caso illustri, in particolare nella antica cucina ferrarese
Insomma la morale è: se ancora non ci avete provato, provateci!
sigarette di pecorino nelle foglie di limone
Cuocere nelle foglie sembra un giochetto che sa di bambinerie, come quando da piccine si impastavano paciocche di fango e si cuocevano torte di erba, le mani inzaccherate e i vestiti peggio…
In realtà cuocere nelle foglie di limone è abitudine e tradizione consolidata nella famiglia di Maite da almeno quattro generazioni, colpa del fatto che nella Sicilia orientale i limoni abbondano e che quelle foglie in particolare si prestano per forma, consistenza e profumo a servire allo scopo.
Una delle prime ricette postate su questo blog riguardava (non a caso…) un grande classico di questa tradizione, la carne sulle foglie di limone, in seguito abbiamo provato ad avvolgerci polpette di riso, sappiamo che prima o poi ci cuoceremo il pesce (-spada probabilmente) e questa volta ci abbiamo messo il formaggio, pecorino semi-fresco con il pepe grosso in grani. Facilissima da fare e piena di profumo questa non-ricetta ha una sola difficoltà: procurarsi le foglie…
tortini di pont-l’évêque
polpette di alici al peperoncino fresco
Sulle polpette bisognerebbe scrivere un’enciclopedia e santificarle laicamente.
Quelle di pesce poi meritano encomi assoluti per sapore e per consistenza, unico problema a volerne trovare uno, il prezzo che spesso fa desistere… a meno di non farle con pesce avanzato da altre preparazioni, che è di per sé un’ottima idea. Comprare branzino per farne polpette ha l’aria di un lusso.
Questa versione qui, scovata e rielaborata in un ricettario di cucina siciliana, ha il vantaggio di usare pesce economico e buonissimo (anche se minacciato di estinzione…) e per di più di trattarlo a pezzettini e non proprio a macinato. Di nostro ci abbiamo aggiunto peperoncino fresco che è arrivato diretto dalla campagna in Sicilia dove ce n’è un cespuglio pieno e rosso e insomma le polpette ci sono piaciute, piaciute, piaciute… tanto!
cannoli di broccoli e caprino
Da bambine i cannoli alla crema sono una tappa obbligata della passione per i dolcetti. Sempre e solo quelli, ostinate per dei mesi (e qualcuna, più testarda o più lenta, per anni) a non volerne provare altri… poi come i gusti del succo di frutta all’improvviso si passa dalla pera alla pesca e non c’è verso di schiodarsi da lì.
I cannolini alla crema avevano in più la magia di sembrare dita giganti di fate grassocce e la tentazione di infilarci i ditini dopo aver succhiato la crema gialla era quasi irresistibile…
Qualche bambina cresciutella non ha perduto quel gusto proibito, anche se i cannoli questa volta sono salati e i gusci di pasta brisée e non più sfoglia. Per non essere da meno un’altra manina di fillette rossetta ha deciso di inanellarsi il dito di un brocollo-gioiellino…
stelline al formaggio
Queste stelline sono un classico tra i classici: si fanno, si ri-fanno, si regalano, si ricevono, si usano per aperitivo ma anche per il consumé… insomma un classico, di quelli a cui si possono aggiungere mille variazioni, mille semini e polveri, ma che sono classici comunque, anche perché la ricetta è una di quelle più memorizzabili in assoluto: stessa parte di burro, di farina e di parmigiano grattugiato… una di quelle cose ordinate e matematiche che fanno la felicità del fotografo.
mini cake aringa e broccolo romanesco
Il broccolo romanesco è un frattale, una metonimia matematica in cui ogni parte sta per il tutto. Ci abbiamo quindi un po’ scherzato sopra, insistendo sul gioco delle dimensioni e delle prospettive, sul molto piccolo (e questo ci capita spesso, ma sono così carine le miniature…) fino a infornare questi bocconcini pure un po’ natalizi. Se fuori prevale il broccolo-frattale-alberellato, dentro ci abbiamo associato due diversi sapori: uno forte, l’aringa, e uno dolce, la patata americana.
I due gusti si compensano, si mescolano, si adorano e mi sa che ci torneremo sopra presto….
tortina di brie
Contro ogni apparenza, credeteci, questa non è la torta di nozze del fotografo.
Non solo. Questa torta non è nemmeno un dolce, alla panna e con lo zucchero per capirci, ma è fatta di formaggio, farcita di formaggio e decorata di formaggio, quasi completamente.
Funziona un po’ come una torta chantilly di quelle classicissime: disco di pandispagna, o di génoise, tagliato a strati e farcito nel mezzo, solo che qui la forma di pandispagna è in realtà una forma di brie, farcita di qualche sorpresa e decorata un po’ in trompe-l’oiel con uno “stucco” alimentare a base di mascarpone.
Il risultato è assolutamente scenografico e adatto, pure lui, a farsi portare in giro come dono, ad aprire o a concludere pranzi/cene/brunch anche per un numero di ospiti ragionevolmente imprecisato.
In più si può preparare con un certo anticipo ed è piuttosto facile da mettere in cantiere, solo contate di metterci un po’ di pazienza per decorarla (!) anche perché per reperire la “ciliegina”, quella giusta e solo soltanto lei, vi potrebbe pure capitare di dover girare mezza Roma in un’affollatissima domenica di dicembre…
polpettine di amaranto, colatura di alici e capperi
Lo avevamo detto: l’amaranto rischiava di darci alla testa. Versatile, facile, croccantino, con un sapore leggermente tostato si presta a diventare polpetta, così dopo quelle al pollo, ci siamo dedicati a una versione più marina e già che eravamo in vena di sperimentazioni abbiamo provato a dosare la preziosa (ma difficile!) colatura di alici arrivata nel pacco-dono della Garofalo di cui parleremo in dettaglio.
Il fatto è che la colatura ha un colore affascinante, ma un odore (tosto!). Così partiti entusiasti dell’idea di provare a usarla, ci siamo inibiti strada facendo. L’amaranto ci ha soccorsi: ha un’anima da cereale (benché non lo sia propriamente per famiglia di appartenenza), è quindi in grado di assorbire un odore forte e di ammansirlo senza schiacciarlo, ha un sapore neutro ma non piatto, una consistenza modulabile, dunque valeva la pena di provarci.