Il titolo della mostra di Pietro Weber, Città d’Oriente, ci ha spinti a uno sforzo di interpretazione: se l’arte sta nella cucina e noi vogliamo mettere la cucina nell’arte, come possiamo tradurre questo titolo (e questa ispirazione) in cibo?
Smembate le parole ci sono rimasti: città e Oriente.
Sulla prima parola urbana abbiamo incrociato piuttosto facilmente l’idea del cibo di strada, o streetfood che dir si voglia, insomma cibo da sgranocchiare in piedi, possibilmente senza ungersi le dita ed è così che sono saltati fuori dei cartoccini a forma di cono pieni di biscottini di kamut le cui forme erano state disegnate dall’artista.
Sulla deriva orientale invece il gioco è stato più complesso. L’Oriente è molte cose e molto diverse, persino, alla fin fine, una direzione che vuol dire semplicemente un po’ più a destra sulla cartina, semplicemente sempre un po’ più in là in un mondo che è comunque tanto rotondo… Dunque messa da parte la filologia ci siamo affidati al ricordo e all’evocazione di un piatto mangiato molti anni fa a un matrimonio, piatto ebraico o turco (qui i ricordi si biforcano e non collimano), cucinato da un amico degli sposi e che associava strepitosamente, quanto insospettatamente, melanzane e melone.
Messo insieme il menù della vernice rimaneva da capire cosa bere…
gatti di kamut (dedicato a Honesta)
“Volevo un gatto nero, nero, nero
mi hai dato un gatto bianco ed io non ci sto più.
Volevo un gatto nero, nero, nero
siccome sei un bugiardo con te non gioco più”
La canzone è dello Zecchino d’oro del 1969 e la cantava una bambina imbronciata con un vestitino corto e i codini…
ma la verità è che questa pagina è dedicata a Honesta, la gatta tra tutti i gatti, con la vita più lunga…
ha vissuto 154 (22×7) anni, in tutto 7 vite, 7 volte vent’anni più un pezzettino per ogni vita. Ha zompettato i tetti di Siena e di Venezia, una soffitta di Firenze e persino un agrumeto in Sicilia. Ha preso la macchina, il treno, l’aereo e quand’era piccola ha viaggiato abbarbicata sulla spalla. è stata difficile con i pretendenti, alcuni li ha rifiutati altri terrorizzati, si è arresa solo a Napoleone e solo dopo avergli usurpato il talamo. Le piaceva mangiare, tanto-tutto-e sempre, era per un uovo oggi e una gallina domani, le piaceva mangiare soprattutto al bordo del tavolo, bistecca, pesce e un po’ quel che capitava, ma più di ogni cosa adorava le olive!
biscottini salati di farina di riso al pepe rosa
L’idea era quella di provare una variabile dei biscotti al kamut, e infatti abbiamo riutilizzato la stessa forma a puzzle (che sia l’inizio di una serie?) ma è risultato subito evidente che la farina di riso non dà le stesse soddisfazioni. È più difficile da manipolare perché tende a sfaldarsi, non si può tirare fina fina e una volta cotta risulta piuttosto secca e un po’ “sabbiosetta sotto i denti” (il commento sinestesico è del fotografo). Però: la farina di riso è molto digeribile, il pepe rosa ci sta bene, sono buoni con i formaggi molli da spalmare e anche con le zuppette fredde. Insomma due su tre li abbiamo promossi.
Ingredienti:
300 g di farina di riso ( si trova in quasi tutti i supermercati)
150 ml circa di acqua tiepida
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
la scorza grattugiata di mezzo limone (meglio verde che è più profumato)
un cucchiaio raso di bacche di pepe rosa
Fare una fontana con la farina, aggiungere nel centro l’olio extravergine, un pizzico di sale e cominciare a impastare. Aggiungere man mano l’acqua finché la farina la assorbe. La pasta tenderà a compattarsi ma si sbriciolerà facilmente.
Stendere la sfoglia un po’ più alta di mezzo centimetro su un piano ben infarinato e ritagliare con le formine. L’operazione di trasferimento sulla teglia (rivestita di carta da forno) può non essere semplicissima.
Cuocere in formo già caldo ma a media temperatura. I biscotti resteranno piuttosto chiari ma si asciugheranno: vanno quindi girati dopo circa una decina di minuti.
Nota: come i loro “cugini” di kamut si conservano bene in barattolo ben chiuso, ma sono molto più duri: attenzione ai denti!
sfoglia di kamut con cipolle rosse e provola affumicata
puzzle di kamut
La farina di kamut è una meraviglia! Non è manipolata genetricamente, è ricchissima di contenuto proteico e soprattutto non si appiccica: la si può tirare, stendere, allungare come le plastiline magiche che manipolavamo da piccine, ma a differenza di quelle si mangia ed è buona, leggera leggera …
Dentro ci si può mettere un po’ quel che si vuole, in questa versione a puzzle abbiamo impastato semi di sesamo bianchi e neri, così per giocare un po’.
code di gatto ai fiori di salvia e malva
Va bene sì, è un gioco e alla fine ne sono venuti fuori proprio 44, a quel punto li abbiamo messi in fila proprio per 6, col resto inevitabile…
La ricetta è quella dei sablés, certo che con queste dosi di gattini rischiano di spuntarvene 444, ma la pasta si può congelare (avvolta in un po’ di pellicola), quella da cui sono usciti i nostri 44 gattini e le loro 44 codine lo era.