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Liberati un sabato mattina

Roberto è ormai un amico. Lo consideriamo una delle cose buone di Roma, uscito magicamente fuori dall’incrocio, sempre piuttosto stretto, tra le nostre vite e il blog. L’unico rammarico è che sta un po’ lontano dai nostri giri più quotidiani e che dunque andarlo a trovare sia una specie di gita, soprattutto ora che siamo a mobilità ridotta e con attrezzistica al seguito…
Ma insomma sabato mattina abbiam passato qualche ora nella sua bottega ed è sempre uno spasso: Liberati continua ad essere una bottega/macelleria di quartiere con la signora che compra le fettine, le discussioni sulle polpette, il sugo, la braciola e le salsicce. Che poi sabato era appunto la giornata della salsiccia di Bra, rivisitata da Roberto, ribattezzata Liberbrà sal ciccia e marinata con il San Donatino,  vino di famiglia (la nostra, coté Marie).

la Capra Rampante

Il titolo, diciamolo, è geniale. Ma la Capra rampante, che che se ne dica (e per quanto in un delirante scambio su FB qualcuno ipotizzasse si trattasse solo di un delirio personale tra Marie e me, me e Marie…) esiste davvero, esiste eccome.
Trattasi del negozio, anzi piccolo slow-Market bio, dove Marie rifornisce la sua spesa ecolò a Roma, zona Flaminio, quasi a mezza via tra l’omonimo piazzale e l’Auditorium.
Lo spazio è grazioso, la selezione ampia (soprattutto per Roma), ci si trovano frutta e verdura, ma pure pane, formaggi, carne, detersivi e cremine (pure quella con la bava di lumaca… altro delirio via FB…). Ci sono buone iniziative come le offerte sui prodotti di prossima scadenza e prodotti che altrimenti si fatica un poco a reperire (ah… i tompinambur!); poi certo, come spesso capita anche nei negozi bio, ci si trovano anche le zucchine e i peperoni a gennaio, bio certo (!) ma lontani da ogni stagionalità.

Zuppe, ovvero Soups frome the Kitchen of the American Accademy in Rome

Lo abbiamo già detto, lo abbiamo già scritto, dell’esperienza alimentare dell’Accademia Americana di Roma siamo rimasti letteralmente folgorati e affascinati. Non è soltanto la sorpresa di scoprire possibile un approccio insieme tanto semplice e tanto complesso, quanto, soprattutto, il misurare la concretezza e l’entusiasmo con il quale è portato avanti.
Passare dal cibo anonimo, e in molti sensi cattivo, di una mensa con appalto esterno a un cibo pensato, amato e rispettato che arriva da produttori locali e dagli orti che nel parco dell’Accademia stessa sono stati piantati è un fatto semplice, concreto e persino ovvio dopo che è stato realizzato, ma in realtà è una vera rivoluzione.

Ne sono artefici Alice Waters che ha ideato e realizzato il RSFP (Rome Sustainable Food Project) e Mona Talbot a lungo a guida della cucina riformata dell’Accademia. Potete leggere in dettaglio questa storia che sembra una favola qui, ma potete pure fare di meglio. Se siete a Roma questo week end (e precisamente sabato 3 novembre tra le 11.30 e le 13.00) potete andare all’Accademia e conoscere personalmente Alice Waters che assieme a Mona firmerà le copie del libro di Zuppe nate proprio da questa esperienza.

la cucina di Roma e del Lazio, la nostra

Che strana stagione è l’autunno, tutto è lento ed accellerato, si mette via l’estate e ci si sveglia in inverno, un po’ nuovi e sempre quelli, foglie, uva e castagne.

Per noi poi, intesi come calycanti, l’autunno è ormai da qualche stagione il tempo dei libri e quello della raccolta: consegniamo il nostro lavoro con il caldo dell’estate e lo lasciamo a maturare in redazione, poi alle stampe, e a settembre già fremiamo per averlo tra le mani, fisico e concreto. Ma tocca armarsi di pazienza e aspettare, aspettare ancora qualche settimana per poterlo toccare, guardare e pure un poco annusare. Ma ora ci siamo, la nostra Cucina di Roma e del Lazio è un fatto fisico e reale, di pagine, ricette, colore, facce e ricordi… molti.

Do you know mercato di Ponte Milvio?

Marie è inconsolabile, le manca Parigi, punto.
Le manca il suo quartiere e le manca l’intera città. Le mancano le boulangerie francesci gonfie di pain au chocolat e di chouquettes, ma pure quelle arabe con i dolci-dolci strarippanti di miele impilati nelle vetrine. Le manca persino il cielo grigio e la pioggia fine, ma soprattutto le manca il suo mercato. Sì perché al marché d’Aligre si trova tutto, letteralmente tutto, proveniente dai quattro angoli del pianeta e pure forse un po’ più in là. Si trova facilmente, si trova sempre, si trova in abbondanza.
E a Roma?

di pan’ino, lampredotto e cuppetiello

‘Ino in trasferta sul marciapiede romano di Settembrini a Prati non ce lo potevamo perdere. Questioni sentimentali, oltre che di gusto, perché ad Alessandro siamo legati, e detto più di corsa, gli vogliamo proprio bene. Le ragioni sono tante ed hanno a che fare con i suoi panini che abbiamo imparato a conoscere a mena dito (quasi da dentro, ci verrebbe da dire, ma questa è un’altra storia…) ed hanno a che fare con lui in persona, occhiali, barba e affetto compresi.
Dunque l’altra sera (mercoledì ad essere precisi) Alessandr’Ino stava in ottima compagnia, quella di Luca Cai e Pasquale Torrente, a festeggiar il cibo di strada: panini, lampredotto, alici di Cetara e cuppetielli di fritturina di pesce.

il tordo matto

Non è che sia stata poprio proprio esattamente la gita di pasquetta, però delle nostre ore trascorse a Zagarolo abbiamo riportato le sensazioni forti di un altrove tanto e tanto vicino.
Mentre forse ci si divide e ci si alambicca con troppa collaudata partigianeria tra cucina di trucchi (quella rapida-rapida dei surgelati, del dado, del ci ho messo cinque minuti e me ne vanto) e cucina alta (del mettere, del togliere e comunque solo e soltanto del ristorante) ci si dimentica che per fotuna (tanta!) l’Italia, come tanti altri luoghi del resto, è un posto dove si continua a far le cose per bene, con cura, con prodotti, con ingegno, con cultura di tradizione ma non solo.
Dunque siamo stati a Zagarolo e ci siamo andati proprio a cercare il tordo, quello matto. Trovarlo non è stato difficile: abbiamo chiesto di lui nel centro assolato del paese e ci hanno spedito da Pietro, macelleria Pacifici, nella via che taglia di mezzo il paese proprio lì dove comincia a scendere.

il garofolato di Roberto Liberati

Ci sono esperienze che nella vita sai che saranno irripetibili. O quasi.
In questi giorni (sì, perché la lavorazione e la cottura è stata a fuoco molto, molto lento) ne abbiamo vissuta e cucinata una: un garofolato. E mica un garofolato qualunque, un garofolato di 6,4 kg, che ha cotto per 18 ore a 70 °C. Son cose, grosse.

lo stato dell’arte: Moreno Cedroni al Maxxi

Qualche giorno fa siamo stati invitati, assieme ad altre blogger romane, ad una serata organizzata dal Maxxi di Roma e da Telecom Italia, nell’ambito del progetto MaXXIinWEB.
La serata concludeva un percorso di dieci incontri inaugurati da Massimiliano Fuksas e animati da alcuni nomi importanti dell’arte e della cultura contemporanea (tra i quali Luigi Ontani, Enzo Cucchi, Michelangelo Pistoletto ecc ecc) raccolti attorno al tema dell’innovazione e della creatività.
Tutto bene, tutto lodevole, tutto encomiabile ma… qualche piccolo dubbio in effetti ci è rimasto tra le dita.

lanificio 159

Strano posto Pietralata. Ti sembra nello stesso momento di essere altrove e pure anche in uno dei veri centri di Roma. Gli arrosticini e la pizza con i tavolini nel vialetto di ghiaia, il Fish Market con prenotazione carbonara dentro il centro revisioni, un via vai da movida globale con un accento inconfondibile, palazzoni, case basse, fabbriche e il fiume così diverso e così uguale a quello dell’isola Tiberina.
In questo panorama di/o su Roma si è aggiunto anche il Lanificio 159, locale anomalo per la città che è insieme ristorante, luogo di eventi e (sospettiamo) pure discoteca. Il posto è bellissimo e vale da solo la visita, curato accurato coccolato, dai fiori di iperico agli oggetti scompaiati e poetici che sono tutti in vendita. Noi avremmo voluto tutto, in primis lo spazio da vivere finalmente come casa-studio, che qui cominciamo a stare un poco strettini…

tricolore: 3 amiche e un progetto

Marie ci era già stata nella convulsa serata di inaugurazione il 25 novembre. In quella notte di emozioni un fascinoso Massimo Bottura  si era espletato in manicaretti da urlo e pure da sbattersi per terra, e Marie, tenacemente incollata e spiaccicata contro il muro dietro le spalle di quel mago, si era addirittura guadagnata un premio fedeltà dalle sue mani: un gelatino in stecco di foie gras con granella di nocciole e cuore di balsamico. Son cose difficili da dimenticare.
Nel roccambolesco (e nevoso) week end romano, in cui miracolosamente eravamo tutti e tre calicanti riuniti, ci siamo ritornati. Massimo Bottura evidentemente non c’era, ma c’erano invece, anche loro al gran completo, le tre fanciulle che di questo luogo sono mente, braccia e sorrisi: Francesca, Livia e Veronica. E questa volta abbiamo avuto il tempo di chiacchierare, di chiedere, di capire che la loro storia per quanto originale e unica ha più di qualche punto di similitudine con la nostra: il numero 3, l’amicizia e il cibo.

il bistrot di villa Pamphili

A Villa Pamphili siamo affezionati in maniera particolare, questione di pic nic di compleanno e di vicinanza ambientale, visto che da casa del fotografo ci si arriva comodi comodi con qualche passetto e pure in discesa. Così finisce che nelle ore calme dei giorni romani (in effetti un poco rare, che siamo sempre di corsa di corsa…) Villa Pamphili è il posto dove rifugiarsi e respirare, pascolando in vera libertà di qua e di là dall’Olimpica (per i non romani vale la pena precisare che il parco, grandissimo, è tagliato da una strada, l’Olimpica appunto, surmontata però da un ponte pedonale che permette di viverlo come un posto intero).

Rifugio dunque, battuto palmo a palmo, cespuglio per cespuglio, dal laghetto alla villa, querce, tartarughe, pini romani, serre, vialetti con nomi di donne (c’è pure una Sigrid!), eppure al Bistrot dentro al parco stesso non c’eravamo mai stati. Poi una mattina di calma, con il papà finalmente in gita a Roma, ci siamo concessi il lusso di un caffè, un cappuccino e due tarte tatin per nulla malvagie, tepore dell’ottobre romano tutto incluso.

le recensioni di calycanthus. la pescheria di salvatore nitto a fiumicino

Per chi vive a Roma “il pesce a Fiumicino” è un rito consolidato, come la gita o il vino dei castelli (nettamente in ribasso) o la macchina in doppia fila. È quasi come la nebbia a milano e la pastiera a Napoli.
Una ragione ci sarà pure!
È che Fiumicino ha ancora un fascino indiscutibile, con il fiume che diventa porto, i pescherecci, i canali e le tante “pietre” romane (che già Traiano si era fatto fare un approdo per il suo gozzo).
Fra i tanti ristorantini e trattorie non è facile scegliere se non si è guidati da un nostromo di lungo corso. E qui Roberto (lupo di mare) ci ha fatto scoprire la pescheria di Salvatore Nitto, un magazzino dove il fotografo è impazzito (non è chiaro se perché voleva fotografare o mangiarsi tutto). La pescheria è aperta tutti i giorni solo il pomeriggio, quando arriva il pesce. Solo il sabato si riesce a trovarlo aperto anche di mattina.

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