A pensarlo non c’è nulla di più perfetto: un guscio resistente e fragile, poroso e scontroso, capace di resistere e pure di cedere (non sempre al momento giusto…), un cuore giallo di “sole” e un’aria leggera intorno a fargli da bianca corolla. Ma tant’è le uova sono nel nostro paesaggio quotidiano in formato da quattro, da sei e da dodici con anche la perfidia delle solitarie confezioni da due e di quelle da dieci, che servono solo a confondere le idee e i conti. Le uova sono cifre, ingredienti, astrazioni.
Deve essere colpa soprattutto dei dolci, penso, dove le uova compaiono per numero o peggio per peso, a volte intere ma più spesso divise, pura materia da montare, incorporare, legare. Perché alla fin fine anche se ti impegni a cercare le migliori, quelle eco, quelle bio, la prima scelta, a terra, all’aria, eccetera, sempre coi numeri hai a che fare: codici di provenienza, categoria e tutta la compagnia che per fortuna che c’è, perché altrimenti perderesti del tutto il cammino.
Ma quando poi, per percorsi spesso intricati, metti le mani sulle “uova per davvero” lo capisci che la differenza si tocca e che un uovo può essere un uovo. Forma e sostanza, guscio sporco compreso.