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non solo risi

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Il risotto pomodoro e provolone

Solo gli idioti non cambiano mai idea.

Qui invece le idee a volte le cambiamo, come, ad esempio, in fatto di riso e pomodoro, accoppiata per la quale ho nutrito un orrore assoluto fin quasi all’altro ieri. Sospetto che sia il ricordo dei trascorsi della mensa delle elementari, non proprio il luogo più felice del mondo dal punto di vista gastronomico, e non solo…. Ci era proibito parlare e una maestra perennemente a dieta trangugiava i suoi bibitoni sostituti e proteici dentro a cilindroni di plastica in cui entrava anche tutto il suo malumore.

A casa mia, per fortuna, il riso al pomodoro (almeno quello del mio ricordo) non si usava. Acidulo e brodoso, non sapeva realmente di niente, ma l’odore e la consistenza mi pare di poterli evocare ancora oggi.

Cosa mi abbia spinto a provare ad emendare questo ricordo non mi è del tutto chiaro. Deve essere pure questo un effetto del lockdown, del confinamento, di questa vita ai limiti. Pranzo e cena, cena e pranzo, più merende e colazioni. Qui è saltato tutto il menage di casa: Anna non mangia a scuola dal lunedì al venerdì e il Fotografo non va in trasferta a Roma da lunedì a mercoledì. A pensarci è più che chiaro che sì, potesse tornarmi in mente persino il riso al pomodoro.

Ci ho messo mano dunque, una sera che eravamo reclusi stretti. Ma ho rivisto le cose da principio. Riso da risotto, prima cosa: il fondo di un pacchetto in sacchetto di stoffa come qui è frequente incontrare; un residuo di salsa di pomodoro avanzata dal giorno prima ma profumata per bene, e poi il provolone, il formaggio più sottovalutato del mondo di cui ho quasi sempre qualche scorta in frigo. Più qualche vezzo.

Ad Anna, che non è facilissima da sedurre, è piaciuto tantissimo ed ora lo cucina lei, dall’inizio alla fine. Giuro.

La ricetta

1 tazzina di riso a testa
1 tazzina e mezzo di salsa di pomodoro a testa
1 tazzina di dadini di provolone
1 cipolla piccola (si può omettere, cioè Anna non la mette…)
1 cucchiaio e mezzo di olio a testa
1 noce di burro
la scorza grattugiata di un limone non trattato
rosmarino

Se usate la cipolla tritatela finissimamente e fatela rosolare a fuoco dolce in una pentola dal fondo spesso, appena diventa trasparente versate il riso e fate tostare rimestando continuamente. Su un altro fuoco tenete pronto il bollitore. Quando il riso è tostato bagnate con pochissima acqua calda (del bollitore), quindi mescolate ancora, versate in un barattolo alto la salsa di pomodoro e mescolatela con l’acqua in modo che risulti caldissima. Versate sul riso e portate a cottura. Quando manca poco aggiungete il provolone a dadini, lasciate che si sciolga completamente. Spegnete aggiungete una noce di burro, la scorza di limone grattugiata e se vi piace un poco di rosmarino tritato.

La pastiera salata

Era la Pasqua giusta per provarci: c’è stato il tempo e c’è stata soprattutto la tenacia cocciuta che in questo periodo trasforma alcune idee in fatti.

In questi giorni, tutti accumunati da una specie di confusione di sottofondo, alterno le grandi imprese alle ore lente, giorni maniacali in cui farei tre volte il cambio degli armadi e giorni in cui tutto mi pesa, anche il sugo al pomodoro per la pasta di Anna. Capita un poco a tutti sembra, e tocca essere indulgenti, sia con gli alti che con i bassi. Accellerare quando è urgente, rallentare quando si deve.

La pastiera salata era urgente. Anche se per pranzo eravamo ovviamente solo noi, anche se erano anni che mi girava in testa e avrebbe dunque ragionevolmente potuto aspettare ancora un poco, ma no, doveva essere ed è stata.

Il canovaccio era quell’equazione tra zucchero e Parmigiano che avevamo provato in passato e a partire da lì è stato tutto un gioco di aggiustamenti. Il risultato ha avuto la fortuna delle prime volte, ma io per una volta mi sono ricordata di appuntare tutto. Perché ho giurato a me stessa che la rifarò per la prossima Pasqua, o magari anche prima.

La ricetta

Per la brisée all’olio:
300 g di farina
1 bicchierino e 1/2 di olio extravergine di oliva
qualche cucchiaio di acqua fredda
1 pizzico di sale

Per la crema pasticcera al Parmigiano Reggiano:
1 uovo e un tuorlo
250 ml di latte fresco
60 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
30 g di farina o di amido di mais

Per il ripieno:
500 g di ricotta vaccina
160 g di mortadella a dadini
50 g di Parmigiano Reggiano
3 uova
sale

Preparate la brisée: setacciate la farina, incorporate prima l’olio extravergine di oliva quindi poco alla volta l’acqua ghiacciata finché l’impasto non è perfettamente lavorabile. Coprite e lasciate riposare.
Portate a bollore il latte, nel frattempo battete l’uovo e il tuorlo con il Parmigiano grattugiato e la farina, versate quindi il latte bollente, amalgamate perfettamente quindi mettete sul fuoco a fiamma dolcissima mescolando continuamente, Appena si addensa spegnete.
Montate la ricotta con le uova, incorporate il Parmigiano, quindi la mortadella a dadini. Appena sarà tiepida aggiungete anche la crema.
Stendete la pasta brisée, foderate con la pasta uno stampo da pastiera imburrato, versate il ripieno e completate con la griglia. Regolate i bordi e infornate in forno già caldo a 160 °C per 1 ora e 15 munuti circa. Sorvegliate che non scurisca troppo. Lasciate raffreddare nel forno.

Note: con questa dose otterrete una pastiera di circa 31 cm di diametro, più due monoporizoni piccine picciò. Se avete intenzione di sformarla usate il trucco delle due strisce di carta da forno sistemate incrociate sul fondo della teglia imburrata: funziona di meraviglia.

risotto shitake, rosmarino e limone

Nel tentativo pieno di frustrazione di mettermi a un livello decente di castigliano (con il catalano ho deciso di limitarmi alle parole scelte e sciolte) faccio uno scambio virtuoso di “lezioni” di cucina in cambio di “lezioni” di lingua. Il che tradotto significa grosso modo cucinare con una nuova amica, tentando di articolare concetti vagamente comprensibili affettando cipolle e pulendo calamari (la motivazione è tutto!).
Non so se funzionerà però è divertente.

risotto al baccalà

Risotti, a dire la verità, ne cuciniamo e ne mangiamo pochi. Sospetto che in questa tendenza ci siano ragioni geografiche (a Roma vuoi mettere la pasta? e il riso poi ha qui tutta una sua vita che prescinde e molto dal risotto…), ma anche timori di fotogenicità. è dura fotografare un risotto, dura quasi o più che fotografare la carne che al fondo con qualche venatura suggerisce cambi di colore, e possiede delle sue forme da inseguire che la rendono inquadrabile da più di una prospettiva. Ma il risotto? Il risotto non è sgranato per definizione, non è nemmeno compatto (o almeno si spera), ha un volume effimero e colori spesso tenui ad una dimensione, in più ha l’aggravante della variabile tempo e sotto le luci si secca, si astringe perde quell’incanto di morbidezza che lo fa accomodare languido sul piatto.

Sì però, mica si può rinunciare perché è difficile! Tanto più che il risotto è buono assai ed ha una di quelle virtù che in cucina amiamo di più, la versatilità, ovvero ci fai davvero ciò che vuoi. Dunque fresche pure dei consigli dei fratelli Costardi a Identità Golose ci siamo messe di lena; l’esperimento (anche fotografico) ci pare riuscito, la via dei risotti schiusa.

il nasi goreng di Silvia

Avere un blog di cucina, diciamocelo, comporta pure qualche rischio. Si mangia tutto freddo, si sviluppa una sensibilità esasperata per stoviglie, tovagliette, sfondi e cucchiaini, si tende a non cucinare mai due volte la stessa cosa, si annoiano gli amici, oppure, addirittura, qualche volta li si contagia.
E così che l’altra sera siamo stati a cena da Silvia&Cori, amici carissimi che seguono e subiscono le peripezie alimentari calicante praticamente da quando sono cominciate. Noi abbiamo portato le luci, uno sfondo e la macchina fotografica loro ci hanno nutrito, coccolato, ospitato, sostentato, mettendoci a disposizione ricetta indonesiana, piatti indonesiani e molta pazienza.

insalata di quinoa e baccalà

Non so se si è proprio capito ma non sono giorni di grande forma fisica: allo stomaco confuso si è aggiunto il mal di gola e una febbricola fastidiosa che se ne scende e se ne sale. Prima che questo post (e il blog) assumano le sembianze di un bollettino medico, o di un discorso ricorsivo tra “vecchiette” sugli acciacchi della vita, meglio virare sulla quinoa e concentrarsi sulle sue proprietà praticamente miracolose. In primo luogo sembra cereale e non lo è, poi è ricca di ogni bene, è propizia praticamente per ogni cosa e, non da ultimo, è facile. Facile da cucinare, facile da condire, facile  da associare, a freddo e pure a caldo.
In questa versione primaverile sta insieme al baccalà (semplicemente lessato), al citron confit, all’uvetta e a poco porro affettato sottile. Inutile dire (forse) che c’è chi ha mangiato questa versione leccandosi i baffetti e chi si è accontentata di un grado zero, buono per carità, ma meno festoso… sigh

ricetta d’artista N 5. Il supplì

Di ricette d’artista era un po’ che non ne facevamo, e a dire la verità ci mancavano, parecchio. Di questa siamo particolarmente contenti, perché ha un contenuto semplice, “sferico” e poetico che sta nella mano di Andrea Satta, la voce dei Tetes de bois. Roba consolidata il supplì, ci veniava da dire, e invece al primo morso (e pure al secondo e così via…) la versione di Andrea aveva un timbro caldo, una sorpresa dentro, arancione e profumata… buonissimo!

taboulé di quinoa, asparagi crudi e cipolla rossa

Ne avevamo parlato qualche giorno fa, raccontando di una coda del sabato mattina davanti al banco di Giustino-il-contadino, l’idea era quella di usare gli asparagetti verdi e teneri, nudi e crudi, semplicemente lavati e affettati sottili. L’avevamo messa in pratica subito in effetti, senza saper resistere alla verifica sul campo costruendoci intorno un taboulÈ con la quinoa, la cipollina rossa cruda anche lei e solo qualche profumo di contorno (la menta soprattutto), poi la macchina fotografica si era ingoiata tutto quanto, mentre il computer tirava le cuoia… una mezza tragedia insomma e risolta solo in parte, ma le foto quelle sì si sono salvate, meno bene è andata al pc (sigh!)…

Pilaf di frumento intero con melograno (Hadighì pilaf)

 

Questa ricetta è in realtà una recensione: viene direttamente, così com’è, dallo splendido libro di cucina armena di Verijin Manoukian (Cucina armena, OEMME edizioni, Milano 1987), libro che ricevuto in dono prezioso da un’ospite armena, è sfogliato da anni a casa di Maite con un sentimento a due facce. Da una parte infatti la cucina armena ha un profumo esotico e fascinoso, che sa di Oriente, del Piccolo e Grande Arat, di una cultura millenaria compressa, perseguitata e dispersa, tenacemente ancorata alla necessità di conservarsi e di esistere, dall’altra questa stessa cucina ha un sapore universale, in cui si ritrovano un influsso mediterraneo, radici medio-orientali, un uso di stampi, forni (il tonir) e metodi di cottura antichissimi.
Questa ricetta, che è anche in copertina al libro stesso, volevamo provarla da sempre. Vi si ritrova pienamente tutto questo sentimento a due facce, o a due mani: in una mano il grano che ci ricorda la radice di ogni uomo al suo pane e nell’altra il rosso melograno che ci porta l’ingegnosa originalità di ogni cultura nel condire questo suo pane.

risotto di fagiolini viola e speck

Li abbiamo visti al mercato, viola e bellissimi, e come le bambine nel negozio di caramelle li abbiamo voluti!  Solo che arrivate a casa piene di immaginazioni cromatiche (cosa sta meglio con il viola? il rosso? il giallo? il verde chiaro o scuro?) li abbiamo messi in pentola e di viola è rimasta solo l’acqua di cottura.
A quel punto dallo sformato, dal flan, dalla terrina abbiamo deviato sul risotto che è venuto delicato, profumato e non ovvio. Per la cromia (e per il sapore!) abbiamo aggiunto un bicchiere di vino rosso, per l’estro dello speck “accartocciato” in padella…

riso della terra

 

Il nome è suggestivo ed è la traduzione letterale di una ricetta minorchina reperita in quel bellissimo libro di gastronomia e cucina di Minorca appunto, di cui abbiamo già tessuto le saporite lodi (Menorca, gastronomía y cocina, Triangle postals, Menorca 2005).
Ma l’arroz de la tierra, ovvero il riso della terra è fatto in realtà di grano spezzato (trigo roto) molto simile al bulgur arabo. Come riferiscono gli autori del ricettario questo piatto tradirebbe proprio un’influenza saracena, riadattata (molto) nell’uso e nella tradizione minorchina che abbonda di carne di maiale e di insaccati, tanto che tradizionalmente l’arroz de la tierra si faceva nei giorni della mecellazione.

Non si tratta propriamente di un piatto estivo, ma dopo averla vista avevamo proprio voglia di provarla anche perché tutti gli ingredienti erano di facile reperimento ed in fondo, ci siamo detti, si tratta pur sempre di una specie di paella di carne, con il grano al posto del riso…

 

tabuolé aromatico

Di taboulé ne esistono varianti infinite, quel che sembra imprescindibile è l’uso del bulgur (vedi dizionario) e il prevalere delle erbe (soprattutto prezzemolo e menta) su tutti gli altri ingredienti.
Questa versione è il risultato della “falciatura” di tutte (o quasi) le erbette del giardino del fotografo che ormai è in prossimissima partenza per Barcellona. Il risultato è fresco e pure profumato, si conserva bene in frigorifero per un paio di giorni e quindi tanto vale perpararsene un grosso “vaso”…

risotto al fondo di bottiglia (avanzato) e un suggerimento per gli avanzi degli avanzi

È solo un mese che è nata la cucina di calycanthus, ma a noi sembra già un anno. Ci divertiamo moltissimo. Grazie a chi ci ha accompagnato e incoraggiato.

Oggi il tema è quello del riciclo, degli avanzi, del nonbuttarevianiente che si pratica come arte vera e propria in tutte le cucine che si dicano tali…
Il suggerimento è stato di gustosamente che ha lanciato l’idea di una raccolta di ricette provenienti dai blog dedicati al cibo e alle sue pratiche. Lo raccogliamo con entusiasmo mettendoci questo risotto al vino (avanzato) scovato nel frigo del fotografo, assieme a due cipollotti residuali.
Visto poi che il risotto era previsto per tre ma lo abbiamo mangiato in due, ci siamo trovato con l’avanzo dell’avanzo e a quel punto son venute fuori le polpette, con una salsina molto, molto alternativa…

Tutto questo riciclare ci ha messo in testa qualche idea. Dunque ci sarà presto una piccola sorpresa, proprio a proposito del frigorifero del fotografo…

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dolmadakia

Ci piace tutto (quasi), mangiare di tutto (quasi),
sperimentare di tutto (ma proprio tutto tutto)

Ci piace scoprire quello che la diversità dei posti, dei cibi, dei colori può portare
anche se, il faut le dire, la rossina è quella più difficile, il fotografo quello più schifiltoso, quella che rimane la più temeraria (forse…).
Ci sono poi di quelle cose che adoriamo così tanto che ci siamo detti che era meglio imparare a cucinerasele da soli, per mangarne a sazietà e per condivederle con gli amici.
Tra questi ci sono i Dolmadakia, ricetta greca, che si ritrova nella cucina mediorientale in generale.

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