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Zuppa di pesce

Come la fate voi la zuppa di pesce?
Qui siamo perennemente in cerca della soluzione perfetta, perché in fatto di zuppa di pesce parlare di ricetta sembra riduttivo.
Un poco perché tutto dipende dal mercato: parti con un’idea e atterri su di un altro pianeta, quando al banco non c’è nulla di ciò che cerchi e molto di quel che non immaginavi. E la zuppa di pesce diventa un esercizio di immaginazione, a cavallo tra le aspettative e la realtà.
Un poco perché, diciamocelo, è un lavoraccio.

Allora ho pensato a un vademecum pratico per rendere l’impresa fattibile, non solo una volta l’anno.

  1. Fatevi amico il pescivendolo, o meglio ancora la pescivendola.
    Buoni rapporti vi garantiranno non tanto e non solo pesce fresco e di qualità (che questo lo vorremmo dare per scontato), ma anche un poco di aiuto al momento di pulirlo (specie se ordinate e chiedete con anticipo). Inoltre un amico in pescheria vi metterà da parte teste e lische che sono una mano santa per avere un buon fumetto che è la base del sapore. Potete pure farvele dare quando ci sono, conservarle in congelatore e usarle quando serve
  2. Costruite un bouquet.
    La zuppa è alchimia, tutto dà il suo contributo ma il risultato è molto più che la semplice somma delle parti. Considerate dunque che a seconda dei vostri gusti dovrete giocare sulla compatibilità dei sapori. Per la zuppa si considera fondamentalmente solo il pesce bianco e il pesce di scoglio (sebbene nella tradizione catalana ci siano eccezioni), a cui si aggiungono molluschi e crostacei.
    Noi italiani abbondiamo con gli aromi, ma in generale tenete presente che nella zuppa di pesce less is more. Dunque nel fumetto mettete le cose classiche ma in piccola quantità, cipolla e/ porro, una carota piccola (!), un piccolo gambo di sedano (o anche solo un mazzetto piccolo di foglie), se volete esagerare un bouquet garnit. Il pepe, se lo mettete, solo bianco. Considerate però che in altre tardizioni si mette anche solo la cipolla, e pure piccola.
    Nel soffritto soprattutto a Sud si va di molto pomodoro (e qualche volta anche di cipolla), io trovo che il pomodoro rischia di far la voce troppo grossa e tendo a farne a meno. Ma fate come più vi piace, o semplicemente come faceva la vostra mamma.
  3. Alternate le pezzature.
    Dopo anni di sacramenti io mi regolo così: un pesce grande (tipo merluzzo, rana pescatrice o anche quando si ha fortuna uno scorfano grosso) che mi faccio pulire con cura (la carne da una parte e lische e teste per il fumetto), minuzzaglia di scoglio (in ordine sparso, quel che c’è c’è), calamari o polipetti, poi scampi e conchiglie (in genere vongole e cozze).
  4. Procedete in più tempi.
    Iniziate dal fumetto e mettetelo da parte (potete semplicemente raccogliere lisce e teste ben lavate in una pentola con gli odori, corpire di acqua e portare a bollore, quindi schiumare e proseguire la cottura a fuoco dolce per una ventina di minuti. Se invece volete fare le cose in grande rosolate le lisce e le teste in una noce di burro, quindi sfrumate con un bicchiere di vino bianco secco, poi coprite d’acqua e procedete come nella versione semplice).
    Riprendete il fumetto, filtratelo e versatelo in una pentola, aggiungete la minuzzaglia e portate a bollore leggero, fate cuocere con pazienza finché tutto il pesce si sarà frantumato e cotto. A quel punto filtrate nuovamente il fumetto e premete con forza la minuzzaglia contro il colino a maglie fini per estrarre tutto il sapore.
    Fate il soffritto e calate prima il pesce grande quindi versate il fumetto arricchito e calate i molluschi, abbassate la fiamma al minimo e lasciate andare per circa mezz’ora, quindi incorporate anche i crostacei (scampi, gamberi, pannocchie di mare, etc). A parte lavate le conchiglie e fatele aprire in una padella a fiamma viva, senza aggiungere né olio né aromi. Se vi piace potete filtrare il brodo di cottura che si sarà formato e aggiungerlo alla zuppa, altrimenti incorporate semplicemente le conchiglie.
    Ci siamo quasi, mescolate con cura, aggiustate di sale e se vi piace aggiungete una nota piccante.
  5. Considerate la variante catalana
    Da quando abitiamo a Barcellona abbiamo adottato nuove abitudini, tra cui la picada. Si tratta di una delle salse fondamentali della cucina catalana e funziona come una sorta di ispessitore sia della densità del piatto che del suo sapore. Le ricette variano enormemente e ben si addicono al tono alchemico della zuppa di pesce: sempre prevedono frutta secca, una nota farinacea (pane, ma anche biscotti), aglio e aromi (dallo zafferano al ciccolato, giusto per capirsi…) e qualche volta includono ingredienti strani come le uova e il fegato del pesce. Il risultato, battuto al mortaio, è una pasta sapida e profumata che fa magie nella zuppa: si aggiunge alla fine di tutto, una grande mescolata per amalgamarla perfettamente, cinque minuti di cottura e dieci minuti di riposo a pentola coperta. Provate e vedrete.

zuppa di pesce con picada

Sulla zuppa di pesce avamo fatto, poco meno di un anno fa, una estesa dissertazione teorico-pratico che chiamava in causa il banco dell’Enriqueta (la nostra pescivendola qui al mercato di Santa Caterina) e la magia del brodo, visto che proprio sui brodi lavoravamo in quel periodo per il librino uscito giusto giusto giovedì  scorso in libreria.

alici e salsa verde

C’è stato un tempo qui a Barcellona in cui facevamo un saor alla settimana. Sarde a beccafico (anche coi masculini a dir la verità…) come se piovessero e i tortini siciliani in aceto-e-menta o in limone-e-pangrattato una cena sì e l’altra pure. Era l’ebrezza di averle così a portata di mano, così polpose, fresche e ben pulite che chiamavano dal banco e non si poteva dir di no.
Poi come succede sempre ci siamo un po’ stancati. C’è stato dunque il periodo del verat, o caballa che dir si voglia, ovvero dello sgombro. In salmoriglio per lo più, con l’avvertenza di comprarne a sufficienza per non rimanere a bocca asciutta, visto che la bimba quasi treenne con cui dividiamo casa se ne scofana(va) quantità non immaginabili. Ora siamo in una fase schizzinosa e la parte scura dello sgombro è diventata “non mi piace”, “le spine le mangia la mamma” (sigh). La coda di rospo, che qui impazza, non ha mai trovato esito in casa, soprattutto perchè il Fotografo insiste nel dire che non è pesce vero e che sa di pollo. Tonno e pesce spada non li compriamo per principio; la sogliola è considerata all’unanimità pesce per bambini piccoli (!), mentre amiamo alla follia calamari e crostacei di ogni lignaggio.
Al banco della Enriquetta siamo passati poi a certi merluzzetti piccini aperti a libretto che sono stati l’ultima grande passione. Semplicemente impanati con il pangrattato e passati al forno o in qualche caso in padella.
Insomma vediamo di non annoiarci.

E così proprio per cambiare un poco siamo tornati pure a quella alicette deliziose. In una versione semplice semplice con però una salsa verde di accompagnamento a cui da soli non avremmo pensato mai.

l’aringa in cappotto

Della cucina russa noi fin qui si sapeva ben poco. è toccato lasciare Roma e trasferirsi a Barcellona per cominciare ad avere assaggi dal vero e dal vivo di una tradizione ricchissima e stratificata. Cose misteriose: cioè andare a ovest e incontrare l’est.
In realtà spesso nella vita finisce che la geografia la facciano le persone: nel nostro caso Giulia e Luis, (di cui avevamo già parlato a proposito di una certa mousse di cioccolato vegan) e la zia Tatiana.
Russa, russissima ma trasferita a Murcia la zia Tatiana ha lavorato professionalmente in cucina e si è portata dietro la sua esperienza e la sua memoria infallibile. A lei dobbiamo al ricetta di un borsh superlativo (le cui istruzioni occupavano due pagine e mezza trascritte in cirillico, catalano e infine italiano) pubblicato nella nostra rubrica Allacciate i grembiuli sulla Cucina del Corriere qualche tempo fa. A lei dobbiamo anche questa suntosa aringa col cappotto, eseguita passo passo dalle manine pazienti di Giulia.

l’estate è finita!

Ci siamo rassegnati, anche giocando a fare la sponda tra Roma e Barcellona, anche credendo di muoverci sempre incontro al sole alla fine è arrivato il momento di mettere via le illusioni, rinunciando a stiracchiare ancora qualche brandello di un’estate diventata davvero troppo corta. Sempre coi piedi scoperti ci è scappato fuori anche il primo raffreddore.
Del resto l’autunno ha il suo buono, che in cucina tende ad essere tanto. Anche perché l’annuncio era già lì, in una cena di qualche sera fa ancora a Roma, una cena che si pensava persino estiva ma misurava già il passo della luce che scende e dell’addio ai pomodori.

le ali dell’arzilla

Tutto avrebbe dovuto essere diverso. La cosa è cominciata da lontano, sulla lunga via del ritorno nel nostro viaggio spagnolo, quando ormai in Francia lambivamo l ‘ultimo confine. C ‘era la pioggia, un po ‘ di stanchezza, poche soste, appena il tempo di far benzina, sgranchire le gambe ed entrare nella stazione di servizio giusto per comprare una bottiglia d ‘acqua. Ma lì, in quella landa desolata, con solo la signora assonnata alla cassa, l ‘espositore triste di libri normalmente tristi aveva la sventura di sorridere accattivante. Ne ho abbracciati due, quasi a caso (ma poi forse no) con l ‘idea vaga di salvarli anche solo dalla noia, e sono venuti via con noi. Uno si è rivelato un curiosissimo libro di cucina francese, ambizioso per certi versi ma divertente e fresco per altri aspetti (ne riparleremo sicuro). Il secondo è un libro di cucina indiana, parte di una collezione con una grafica infelice ma con un ‘idea di fondo divertente: entrare nella cucina di una famiglia ed esplorare storie e piatti a partire da lì. E noi da lì saremmo dovuti partire…

coda di rospo come una porchetta

Barcellona-Roma andata e ritorno.
Che questa sia la nostra storia e il nostro ritornello è ormai una faccenda che viaggia sul doppio binario di una doppia cucina, con l’aumento esponenziale della confusione (dove sarà quel piatto blu? la forchetta coi denti all’insù? la collezione di alzatine? la pezza di lino? il monogramma rosso?). Così non è strano che dalla cucina la confusione dilaghi nella testa e da lì nel piatto: mangiamo a Barcellona più pesce che non a Roma (colpa del banco benedetto della Enriquetta), ma pure più pasta (perché mai ci sogneremo di ordinarla al ristorante), mentre a Roma finiamo con il far la scorta di verdure, di ogni sorta, risma e formato, roba che in Spagna semplicemente non esiste.
Perché è la distinzione dei poli, di pasta versus chorizo, che semplicemente non tiene (con buona pace del fotografo che aveva dichiarato che avrebbe mangiato solo spagnolo in Spagna e solo italiano in Italia), così la tetilla finisce avvolta nelle foglie di limone e la coda di rospo ti salta fuori porchettata….

insalata di mare del tio luis

Quando alla presentazione dei libri lo si racconta finisce tutto in una grande risata. Ma la verità è che essere invitati a una cena con shooting può essere un supplizio, il calvario di Tantalo, la pena inaspettata dell’attesa infinita. Così abbiamo deciso di dare un volto a questa prova e di fotografare proprio l’attesa, con il suo piatto in mano.
Il suo primo interprete è il nostro amico Luis che tante volte si è seduto al tavolo grande della nostra cucina a Barcellona, aspettando volta volta il farsi (fotografico!) degli gnocchi, del pesce al sale, dell’arrosto con le albicocche.
Ogni volta avevamo inizato fiduciosi di avere lo scatto veloce, di aver preparato tutto mentalmente, di aver calcolato ogni imprevisto, ma poi sotto le luci calde delle lampade il tempo si scioglie e le discussioni si intrecciano con l’ossessione di aver catturato tutto e tralasciato niente.

di cozze, di senape, di birra

Ebbene il libro è in libreria, noi nuovamente in partenza, ma soprattutto l’indigestione da cozze è finalmente archiviata.
Sì perchè quando si cucina, si fotografa e si mangia (!) per un libro monotema il rischio realistico e inevitabile è quello di declinare l’alimento in questione in tutti i pasti comandati. Nel caso delle cozze poi, essendo difficili da regalare (a differenza delle torte di mele), abbiamo rischiato cozza party pure a colazione e un diradamento drastico della vita sociale. Meno male che abbiamo amici comprensivi che nei mesi “caldi” si son prestati ad ogni tipo di esperimento e di assaggio, poi però mentre il libro “cuoceva” in redazione e quindi in tipografia, noi (e gli amici) di cozze non abbiamo voluto sentir parlare.
Ora siamo rinsaviti ed è tornata la loro stagione. Pubblichiamo dunque una delle 32 ricette del nostro librino, anche perché un ripassino casca bene visto che da domani saremo in laguna (veneziana) per qualche tempo, dove i peoci sono amati da sempre.

di mango e di polpo: insalata

A Roma è primavera. Alberi fioriti, fragole al mercato, sole in giardino e regno delle ortiche da arginare…  ma in bocca tutto questo comincia a voler dire desiderio di cibo fresco, di addio alle zuppe bollenti, al brodo, alla cottura lenta che fino alla settimana scorsa (almeno laggiù al nord) era il sentimento prevalente. Dunque questa robina qui sopra, che rivede radicalmente il concetto di polpo ad insalata, fa a meno delle patate e si concentra su note fresche e un tantino esotiche.

insalata di calamari, spinaci e marmellata di arance

E così ieri era primavera ed oggi non più, almeno a Roma nel giro di un week end siamo stati illusi e disillusi: sabato sole di maggio, domenica notte tormenta. E pensare che pure il freddolosissimo Fotografo aveva tolto almeno uno dei suoi strati invernali arrischiandosi ad uscire per la seconda colazione addirittura in solo maglione e giacchetta… pazienza, ricominciamo ad aspettare, non proprio proprio sereni visto l’annuncio della Pasqua più gelida degli ultimi 50 anni.
Ma tant’è, in attesa di impastare la pastiera e con l’illusione non ancora tramontata di andarsene in giro a raccogliere erbette selvatiche  (che sarebbe pure tempo, mescolando i dialetti, di bruscandoli-luppolo, cannatella-silene, poppole-rosoline) è saltata fuori questa insalata che è ancora un po’ a cavallo tra l’inverno e la stagione più mite. La ricetta in sè è praticamente solo un’intuizione: la marmellata di arance può servire come salsa…

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