Qui siamo lontani dallo scomodare Proust, dal mettere in campo la zia Léonie, o anche la mia personale nostalgia per le scatole in balsa con la scritta rossa che, tanti anni fa, mi sapevano di Combray, ma che a pensarci oggi probabilmente avevano un sapore sintetico e un tantino industriale.
Le madelaines di oggi sono una cosa molto più pratica: ovvero uno dei pochi, pochissimi dolci che picciono ad Anna, di quelli che faccio io, ovviamente. A otto anni siamo in una fase in cui quel che è fuori dalla nostra cucina è praticamente sempre più buono, molto più buono e meno noioso. Lo schiaffo più duro che mi brucia ogni volta è la salsa di pomodoro, che nella mensa catalana di Anna fanno infinitamente meglio di me. Sto cercando con fatica di raggiungere lo standard e quando mi ci avvicino Anna mi felicita e insieme misura la distanza che ancora mi manca di colmare: “mamma brava, è quasi, quasi (!) come quella di scuola”.
Salsa a parte, sono tornata ad essere affezionata alle madeleines. Finchè dura le inforniamo spesso.
La ricetta
110 g di zucchero 100 g di farina (1/3 di forza) 100 g di burro 2 uova 1 cucchiaino da caffé di lievito la scorza di un limone non trattato 1 pizzico di sale
Montare lo zucchero con le uova e il pizzico di sale, aggiungere la scorza grattugiata del limone, il burro fuso e la farina setacciata con il lievito. Far riposare in frigorifero l’impasto per un paio d’ore. Al momento di utilizzarlo mescolarlo con vigore, quindi sistemare negli stampi e infornare a 180°C/200°C per i primi 5 minuti, quindi abbassare a 160°C fino ad ottenere una leggera doratura sui bordi. Sfornare e lasciar raffreddare.
Per una volta mi impegno ad essere breve, corta corta come la lista degli ingredienti di questa ricetta che, di base, ne prevede solo due: avena e banane.
Vi dico fateli, fateli anche se non amate le banane, fateli perché sono facilissimi, senza zucchero, senza uova e senza farina, senza trucco e senza inganno. Non vi prometto che sapranno uguali ai palets bretons ma io li ho fatti e rifatti, e sempre finiti.
Ricetta molto ad occhio, adattabile alla vostra dispensa e soprattutto alle banane a disposizione
2 banane (ma anche 1 o anche 3, insomma quelle che avete) avena in fiocchi (se potete scegliere non troppo grossi e nemmeno piccoli, medi insomma) succo di limone + cannella, semini assortiti, gocce di cioccolato, scorza di arancia, uvetta, frutta disidratata, etc…
Schiacciate le banane con la forchetta, io che sono pigra lo faccio con la planetaria ma davvero non serve. Aggiungete poco succo di limone perché non scuriscano e poi poca per volta l’avena in fiocchi fino ad ottenere un composto omogeneo e non eccessivamente colloso (dovete riuscire a formare una pallina). è il momento di aggiungere gli aromi che volete: cannella, cardamomo, zenzero (etc) e tutto quello che vi piace (frutta secca, frutta disidratata, gocce di cioccolato, semini, etc). Se per qualche ragione l’avete in casa mettete un cucchiaino di psyllium in polvere nell’impasto, ma non è necessario. Formate delle palline regolari, sistematele su di una teglia rivestita e schiacciatele per ottenere dei dischi. Infornate in forno già caldo ma basso (140 °C) per circa 15 minuti, quindi girate i biscotti e cuocete dall’atro lato. Dovranno risultare sufficientemente asciutti. Una volta freddi conservateli in un barattolo o in una scatola.
Ogni tanto bisogna guardarsi indietro, in cucina come nella vita e avere un blog in questo serve. Ti aiuta a non dimenticare, a non dimenticare tutto quello che hai cucinato, gli errori, i tentativi e anche i successi, ma soprattutto ti aiuta a ricordare i compromessi e le volte in cui hai cambiato idea.
Marie ed io ce lo ripetiamo sempre, a proposito di cose come il risotto al pomodoro e le barbabietole, e anche a proposito di cose un poco più serie. Cambiamo idea e probabilmente ci fa bene.
Ora però ci sono anche cose che rimangono uguali, nonostante la vita ti porti a misurare i passi lenti del compromesso. Io, ad esempio, con il cibo figurativo ho da sempre un problema. Qualunque cibo in forma di qualcosa mi mette soggezione. Non parlo ovviamente delle forme astratte e innocue dei tagliabiscotti, quelle possono permettersi di rappresentare alci, casette in canadà, o perfino las meninas di Picasso (ce l’ho tutte e tre giuro!); parlo invece delle verdure a forma di gattino, delle uova con gli occhiette e dei rapanelli a topolino, è più forte di me.
Ma tutto questo è roba vecchia e soprattutto già sentita.
L’ho scritto tante altre volte che detesto il figurativo alimentare, tutte le volte almeno in cui l’ho dovuto praticare.
Così guadandomi indietro ho scoperto che ho fatto una torta giraffa e una torta unicorno, nel frattempo Anna (e anche la sua amica Maria) hanno superato le praterie rosa degli unicorni, sono approdate non so bene dove, in un luogo in cui esistono solo i leggins e le salopette.
Questi biscotti dunque non sono un compromesso tanto speciale, anzi direi che sono un grado zero del figurativo in cucina. Giusto così, se qualcuno cercasse il coraggio per buttarsi…
La ricetta
per il colore di base 300 g di farina 00 100 di burro 100 di zucchero a velo 1 uovo e 2 tuorli 1 piccico di sale
Mescolate la farina, lo zucchero a velo, aggiungete il burro freddo in pezzi e cominciate a lavorare. Quando il composto sarà granuloso aggiungete le uova e impastate fino ad ottenere un composto omogeneo. Formate una palla, avvolgetela nella pellicola alimentare e conservate in frigo per un’ora.
per il marrone chiaro 300 g di farina 100 g di burro 60 g di zucchero a velo 40 g di cacao amaro in polvere 1 uovo e 2 tuorli 1 pizzico di sale
Setacciate la farina con lo zucchero e il cacao, unite il burro a dadini e impastate velocemente fino ad ottenere un composto in briciole. Incorporate le uova e il sale e lavorate fino che l’impasto non risulti omogeneo ed elastico. Avvolgetelo in pellicola alimentare e conservatelo in frigo per un’ora.
per il marrone scuro: usare una parte della base marrone chiaro e incorporare cacao amaro fino ad ottenere il giusto tono
Per i biscotti leopardo stendere l’impasto chiaro in uno strato uniforme di circa 0,7 cm, prelevare piccole palline di impasto marrone e disporle sopra l’impasto steso, prelevare porzioni più piccole di impasto scuro e sistemarle ai bordi delle “macchie” più chiare (è più facile a farsi che a dirsi, tenete conto di dover disegnare la livrea di un leopardo…), infarinate leggermente la superficie e sistemateci sopra un foglio di carta da forno. Stendete con delicatezza con il mattarello in modo da incorporare gli impasti colorati al primo strato, quindi ritagliate con le forme che preferite.
Per i biscotti zebra stendete l’impasto marrone chiaro in uno strato uniforme, sistemateci sopra delle porzioni di impasto più scuro in striscioline (mantenendo sempra la stessa direzione!). Infarinate leggermente, sistemate sopra la carta da forno e stendete con il mattarello. Ritagliate poi con le formine che preferite.
Cuocete in forno già caldo (modalità ventilato) a 170°C per circa 10 minuti.
La felicità di una confezione di pasta fillo che sembra un gioco di origami e la meravigliosa scoperta che le spanakopita si congelano benissimo.
Anna cucina e cucina per davvero. In genere mi chiede di allacciarle il gembiule con le meline e poi non le servo più, mi scaccia con la mano e con il corpo, annunciando che deve fare tutto lei. Per davvero mamma! Io lavo e sorveglio con un occhio laterale.
Se avete sotto mano una confezione di pasta fillo non rinunciate a giocare agli origami, qualunque età abbiate. Per il ripieno fate un poco come volete e come vi detta il cuore e la dispensa, noi abbiamo modificato in versione catalana la ricetta classica greca.
1 confezione di pasta fillo 200 g di feta possibilmente di pecora 250 g di spinaci già cotti 1 cipolla + nella versione catalana pinoli e uvetta 4 cucchiai di olio extravergine di oliva burro o olio per spennellare la fillo
In una padella larga fate soffriggere la cipolla tritata finemente nell’olio extravergine di oliva, quando è trasparente aggiungete gli spinaci e mescolate con cura, aggiungete i pinoli tostati e le uvette ammollate, quando tutto sarà ben incorporato spegnete e lasciate raffreddare. Aggiungete la feta sbriciolata solo quando il composto sarà freddo. Con delicatezza separate a due a due i fogli di pastafillo. Stendetene uno sul piano, spennellate con olio o burro e ricoprite con il secondo foglio. Ritagliate delle strisce regolari di circa 10 cm di larghezza. sistemate all’inizio di ogni striscia un poco del composto, quindi ripiegate per formare un triangolo e poi ripiegate ancora riportandolo sempre verso al bordo del rettangolo (più complicato a dirsi che a farsi!). Spennellate con olio o birro fuso e infornate in forno gi caldo per circa 15 minuti, finché non avranno un bel colore dorato e un profumo svenevole. Si conservano in frigo un paio di giorni e perfettamente in colgelatore se li congelate separati da strati di carta da forno.
C’era una volta un lupo, affamato come ogni lupo degno di questo nome in ogni storia che si rispetti. Viveva solo in una casa tra i boschi, tutto circondato dalla neve e dal freddo, stufo ed anzi arcistufo di mangiare sempre zuppa di verdura…
Oggi ci sembra di aver capito che in Italia finisca questo strano anno scolastico, iniziato normale e finito diverso. Noi invece, qui in Catalunya, ne abbiamo acora per due settimane, più o meno. Non siamo nemmeno troppo ansiosi di finirlo questo anno, preoccupati piuttosto di come sarà quello che verrà e molto occupati a tenere teso il filo con le maestre che hanno fatto di tutto per fare tutto il possibile.
E qui c’entra il lupo, anzi el llop, protagonista di una storia molto carina con cui ci siamo esercitati in calligrafie, onomatopee, disegni e interpretazioni. El llop sognava uno stufato di ovelleta (pecorella) ma quando in una notte buia e tempestosa una pecorella vera bussa alla sua porta, il lupo scopre piano piano di essere tremendamente vegetariano.
La settimana successiva la maestra Judith ha commentato: “Sentite, questo povero lupo sarà pure stufo di mangiare sempre la stessa zuppa! Ora che ha capito di essere vegetariano mettiamo insieme tutte le ricette che possiamo e diamogli delle alternative!” Ed ha inizato lei, proponendo un gazpaco (non sa che noi ne abbiamo fatto un libro intero) poi ogni bambino ha spedito la sua.
Anna ha preso le cose seriamente.
La ricetta
3 zucchine 1 cipolla bianca 1 avocado 4 cucchiai di olio extravergine di oliva la scorza di mezzo limone (facoltativa) un mazzetto di basilico (facoltativo)
Tagliare sottile la cipolla, rosolarla con l’olio e la scorza di limone in una pentola capiente, aggiungere le zucchine lavate e tagliate a pezzi regolari. Corpire di acqua e cuocere a fiamma media finché le zucchine non saranno tenere. Frullare e fare intiepidire. Aggiungere quindi l’avocado e il basilico (se lo usate) e frullare nuovamente. Regolare di sale. Nota: un cucchiaio di yogurt greco al centro di ogni piatto ci sta una meraviglia.
Dalla metà di marzo facciamo scuola a casa. Un poco ci sentiamo fortunati perché è un anno particolare che guardiamo da vicino, la prima elementare, un poco arranchiamo cercando di tenere tutto insieme.
Lettere, numeri, maiuscolo, minuscolo, corsivo di corsa, i più, i meno, i numeri amici, e pure quelli nemici. Matematica e musica con il papà, catalano, castigliano, italiano e inglese (!) con la mamma, ma anche tutto insieme disegnando con i gessi sulla terrazza sopra la nostra testa, ritagliando le rose per Sant Jordi, o vestendo l’interpretazione casalinga de la menina di Picasso.
Tutto è molto strano, anche se allo strano ci si abitua.
E quello che mi pare di aver capito è che è bene che ognuno faccia la sua parte, anche quando gli tocca fare la parte di un altro. Non sono la maestra e se mi trovo ad insegnare bisogna che trovi un modo diverso per farlo.
Così facciamo con quel che abbiamo. “Mamma ti aiuto?” Prende la sedia, sempre la più lontana dal piano di lavoro e la trascina senza aspettare risposta. Lo fa da quando aveva più o meno tre anni e mette le mani in pasta, rompe le uova, aziona la planetaria e mi scaccia con la mano perché vuol fare da sola. Abbasso i compiti semplici, qui dobbiamo fare sul serio!.
Allora contiamo le misure, sottraiamo la tara della bilancia, facciamo pile ordinate a base 10, traduciamo ogni ingrediente in tre lingue e leggiamo, da quest’anno leggiamo davvero.
Con la scusa che la mamma non vede senza occhiali leggiamo e rileggiamo ricette ed è arrivato il giorno in cui Anna ha dichiarato solennemente che il suo libro preferito è Facciamo colazione, di Barbara Toselli.
Lo porta sul lettone nei 10 minuti che ogni sera prima di dormire dedichiamo alla “lettura individuale”, ognuno con il suo libro preferito. Lei lo legge dalla prefazione in avanti, coscienziosissimamente, senza saltare, e al momento di scegliere quale ricetta fare ha puntato il dito su questi biscotti integrali con pepite di cioccolato e fior di sale. Come darle torto?
La ricetta è proprio quella di Barbara con solo qualche aggiustamento dovuto più che altro alla dispensa.
200 g di farina 00 200 di farina integrale (per noi tutta integrale) 100 g di pepite di cioccolato fondente fior di sale in fiocchi 150 g di burro 250 g di zucchero grezzo Panela (Barbara usava 140 g di Muscovado e 140 g di Demerara) 1 uovo e 1 tuorlo 1/2 cucchiaino di lievito per dolci
Fondere il burro a bagnomaria (Anna adora questo nome…) e lasciare raffreddare. Montare lo zucchero con il burro tiepido, quando è cremoso unire l’uovo e il tuorlo e poi poco per volta la farina e il lievito. Alla fine incorporare le pepite di cioccolato fino ad ottenere un composto omogeneo. Prelevare porzioni di circa 45 g di impasto e formare delle pallette con i palmi delle mani; sistemarle su di una teglia foderata con carta da forno tenendole piuttosto distanziate. Appiattirle formando dei dischetti spessi circa 1 cm. Su ogni biscotto spolverizzare il fior di sale, premendo leggermente per far aderire. Far riposare la teglia in frigorifero per circa 30 minuti. Cuocere in forno caldo a 180°C per circa 10/15 minuti a seconda del vostro forno. Far raffreddare i biscotti prima di maniplarli. Se non li finite subito potete conservarli in un contenitore ermetico per diversi giorni (noi li abbiamo condivisi con la vicina).
Un sacchettino di polvere di barbabietola ha salvato il nostro fine settimana.
Me ne ero ovviamente dimenticata. Lo avevo comprato in una bancarella nella piazza di Oderzo, durante l’ultima (ma forse addirittura durante la penultima…) edizione dell’Oderzo Food Fest, piena di buoni propositi e poi sempre un po’ troppo di corsa per riuscire a portarli a capo.
Ma tant’è, il colore era irresistibile e qualcosa ci avrei fatto.
C’è voluta la pandemia, un fine settimana stanco e uggioso, due mesi di quarantene alle spalle e il perdurare infinito della fase 0, (sì, a Barcellona siamo ancora in fase 0, anzi ad essere precisi 0,5…) per capirlo davvero.
Perché pure in cucina ci si stanca, e sedurre una bambina di 6 anni (quasi 7) diventa sempre più difficile. Ma se ci mettiamo una polvere magica, di quel rosa che sta per smettere di adorare, le scappa un “davvero?” rotondo.
Per i bignè:
250 g di acqua 150 g di farina 100 di burro 4 uova 1 pizzico di sale
Mettere a bollire l’acqua con il burro e il pizzico di sale, quindi versare la farina tutta insieme, abbassare al minimo la fiamma e mescolare energicamente. Quando il composto inizia a staccarsi dalle pareti mescolare ancora per un paio di minuti per far cuocere la farina, quindi spegnere e lasciare raffreddare. Appena l’impasto sarà tiepido aggiungere un uovo alla volta, la pasta deve risultare liscia e omogenea. Con il sac à poche, o con due cucchiaini, disponete poca pasta alla volta in mucchietti circolari sulla placca del forno foderata di carta da forno, quindi cuocete in forno già caldo a 180°C per 20-25 minuti, finché i bignè si saranno gonfiati e ben dorati. Togliete dal forno e fate raffreddare completamente prima di manipolare.
per la ganache:
200 g di cioccolato bianco 100 g di panna 15 g di burro 1 cucchiaino di polvere di barbabietola
Ridurre il cioccolato in pezzetti piccoli e regolari. Portare a bollore la panna con il burro, spegnere, incorporare la polvere di babrabietola mescolando velocemente con una frusta quindi versare sul ciccolato. Amalgamare perfettamente e usarla per dipingere i bignè.
Nota: Qui in casa abbiamo mangiato i bignè così, senza farcitura perché su certe cose siamo un poco minimal, ma c’è chi avrebbe voluto panna senza zucchero e chi crema, e perfino chi avrebbe osato una Chantilly alle fragole.
Qui siamo di parte, e non ci sarebbe molto altro da dire. Sarà che chiusi in casa tutti e tre ci facciamo ognuno gli affari degli altri, ma questo salame di cioccolato con la ricetta della nonna Pina è diventato la scusa per fare i compiti e anche un poco di matematica.
La maestra ha mandato i suoi consigli ed anzi ha chiesto aiuto: mandatemi le vostre ricette che io a cucinare non sono molto brava, siate precisi mi raccomando!
Anna l’ha presa sul serio ed ha scelto la sua ricetta preferita, l’ha tradotta in catalano in simultanea e per fare le cose più precise ha pesato, mescolato, battuto a neve, spezzettato biscotti, gesticolato un poco e raccontato pure la storia della sua bisavia.
Il video è in catalano, con qualche errore di cui la mamma (e pure il papà) non si erano lontanamente accorti, ma sicuro che la maestra Judith riuscirà a eseguire la ricetta alla perfezione.
Se non siete forti in catalano, trovate la ricetta in italiano qui sotto, tra le primissime pubblicazioni di questo blog, quando ancora la nonna Pina ne aveva una scorta nel congelatore e lo chiamava saleme turco: https://lacucinadicalycanthus.com/?p=140
Come suonava quella faccenda che non tutte le ciambelle riescono col buco?
Partiamo a volte con le migliori intenzioni, anche se non sempre con l’attrezzatura giusta, poi finisce che ci perdiamo per strada. Così in un pomeriggio un poco noioso, dopo che nei giorni scorsi riordinando la credenza è saltato fuori un mezzo pacchetto di farina di mais, decidiamo che è l’ora finalmente di impastare le paste di meliga.
Per chi non lo sapesse sono biscotti deliziosi, friabili e burrosi al punto giusto, piemontesi come molti altri della tradizione italiana. Hanno una forma semplice ma leziosa, acciambellati e striati come piccole coroncine.
Gli ingredienti sono semplici: farina, fioretto di mais, burro, uova, zucchero o miele. Ma l’impasto ha le sue insidie, soprattutto se non si possiede ancora (!) un sac-à-poche come si deve… così dopo aver sacramentato in sette lingue ho fatto quel che ho potuto con la bocchetta e il dito, roba un poco primitiva e con un certo piacere regressivo.
Ma quando poi è arrivata Anna a dire “Mamma cosa fai? Posso giocare?” ho fatto veloce veloce a dire: “scegli una formina!” e lei, ravanando in una scatola di latta ripiena di ogni forma animale conosciuta e non, ha sorvolato su farfalle, pipistrelli, balene, dromedari, bacchette magiche, fiori e fauna, ha rinunciato al cavallo di Pippi Calzelunghe, a Sant Jordi (che è stato a lungo il suo preferito) ed ha scelto la formina più semplice di tutte, quella a forma, appunto, di biscotto.
Così le paste di meliga son diventati biscotti come carte da gioco. Senza striature ma buonissimi e anche se so che deve essere suggestione, mi sembra che nella forma distesa abbiano un gusto diverso che in coroncina.
Capita anche a voi che la forma cambi il sapore?
La ricetta 200 g di farina di mais (fioretto) 200 g di farina 00 200 g di burro 1 uovo + 1 tuorlo 160 g di zucchero semolato 1 cucchiaino di lievito in polvere la scorza grattugiata di mezzo limone
Settaciate le farine, aggiungete lo zucchero, il lievito e la scorza di limone. Incorporate il burro morbido e infine le uova. Otterrete un composto piuttosto sodo ma un poco appiccicoso. Se avete un sac à poche degno di questo nome montate la bocchetta a stella (grande), riempitelo di impasto e formate sulla teglia del forno rivestita di carta antiaderente delle ciambelline. Altrimenti potete aggiungere un poco di farina bianca sul piano di lavoro, lavorare leggremente l’impasto, stenderlo e ritagliate le forme che preferite. Cuocere in forno ventilato a 160°C-180°C per circa 10 minuti, ma sorvegliando bene che non prendano troppo colore. Lasciate raffreddare perfettamente prima di manipolare i biscotti perché così termineranno di indurirsi.
Le ricette non viaggiano da sole, nemmeno al fondo quando se ne stanno in buon ordine su un libro di cucina, o sgarrupate su un vecchio quadreno di cucina, le ricette viaggiano sempre accompagnate, tenute per mano. Quelle di Benedetta mi sono arrivate per mano di Lucilla.
Lavorando sulle cucine regionali italiane spesso, anzi spessissimo ci siamo imbattuti nella trippa, nobile quinto quarto di lunga tradizione. E intorno alla trippa, regolarmente, si verifica il medesimo sorprendente fenomeno: la ricetta è sempre sostanzialmente la stessa, ma ogni contrada le regala il suo nome, convinta in cuor suo che si tratti di un unicum, di un prodotto autoctono.
Ieri era confettura ed oggi non poteva che essere crostata. Roba un poco rapida, correndo quasi, per riuscire a infilarla in cartella per la merenda nel patio del cole (nel giardino della scuola).
In cucina, e forse nella vita, sarebbe il caso di scordarsi i mai, i neanche per sogno, i non io! Perché la nemesi è sempre dietro l’angolo e dopo la torta giraffa siamo arrivati a quella unicorno.
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