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régime (au)

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tabbouleh d’autunno

Quando lo scorprì, in ere geologiche lontanissime, mi sembrò la meraviglia scesa in terra. I chicchi si sgranavano perfetti, era fresco, nutriente e si faceva in un baleno, almeno nella mia versione accellerata che non prevedeva cottura ma sempicemente un imbevimento progressivo della semola (precotta) con il succo di tutte le verdure che ci infilavo dentro.

Il tabbouleh, o tabulè (etc etc.) è stato perfetto nella mia vita.

Ne preparavo vagonate al tempo degli esami all’inizio dell’estate, quando mangiavo ad ore impensate direttamente dalla ciotola brandendo il cucchiaio in una mano e nell’altra il libro di semiotica. Ma andava benissimo pure quando l’estate era esplosa e si tornava dal mare con molta fame in cucine improvvisate e con la spesa condivisa.
In seguito ha sfamato eserciti (assieme a quell’altro mio cavallo di battaglia, l’orzo al pesto limonato, lo trovate qui, io credo di non farlo da allora) nelle feste, nei compleanni, quando lentamente si cominciava a ragionare di tovaglie e ad invertire il rapporto tra alcolici e roba cucinata.
Erano gli anni in cui, tornate da Parigi, Marie ed io abbiamo iniziato una crociata lenta ma inesorabile contro le tegliette di alluminio, decise a dare dignità all'”allestimento”, anche se allora nemmeno sapevamo che si potesse chiamare così, o in qualsiasi altro modo. Avevamo vent’anni e molta energia.

Poi confesso me lo sono un poco dimenticato, non che non lo abbia fatto e pure mangiato, ma con entusiasmo minore, come delle cose entrate nell’abitudine.
Quest’estate però è tornato in auge e mi sono ricordata sul campo di quante volte mi abbia tolto dagli impicci.

Partendo per la Sicilia abbiamo scoperto che ora la “semola” per il taboulè la fanno in mille maniere virtuose, comprese quelle che rientrano nella dieta severissima del Fotografo che con i carboidrati litiga apertamente. Per farla breve abbiamo scoperto che esiste di farro integrale e soprattutto di legumi, di ceci in particolare.
Può sembrare scoperta da poco, ma a me ha fatto ritrovare i miei vent’anni e ne ho rifatte vagonate per tutta l’estate. Non solo lo mangiavamo tutti (finalmente!) senza dover pensare cose diverse per bocche e stomaci diversi, ma era saziante, versatile e facile da trasportare.

Tutto questo elogio per invitarvi a farlo, a metterlo nelle vostre abitudini anche in autunno. Scegliete quello che fa per voi e scioglietene una traccia: vedrete che il tabulè starà benissimo anche nelle vostre vite.

La ricetta

Nota: noi abbiamo usato pseudo “cuscus” di legumi ma voi scegliete quello che meglio fa al caso vostro
2 tazze di “cuscus” di ceci
1 patata americana grande cotta in forno
1/2 melograno
2 rape bianche piccole
5 rapanelli
una manciata di semi di zucca
cimette di kale o di spinacino


per condire:
2/3 di bicchiere di olio extravergine di oliva
acidulato di umeboshi
succo di melograno
succo di limone

Raccogliete il cuscus in una ciotola ampia, aggiungete le rape bianche (pulite e tagliate a dadini), i rapanelli (lavati e affettati sottilissimi) le foglie di kale e/o di spinacino. Spremeteci sopra il succo di un limone e mescolate bene. Sgranate i chicchi di melograno e aggiugetene metà al taboulè, centrifugate il rimanente. Mescolate il succo di melograno ottenuto con l’olio extravergine di oliva, aggiungete l’acidulato di umeboshi (circa 2 cucchiaini a seconda del gusto). Condite il tabulè, mescolate bene e aggiungete infine la patata americana sbucciata a tagliata a dadini e i semi di zucca.

polpette di miglio (in volo)

Il pendolarismo Roma- Barcellona ha ricominciato ad essere parte delle nostre vite, sospesi a mezz’aria tra città tanto diverse da avere in ogni passaggio crisi di adattamento e furiosi jet-lag.
Così Marie si dedica a confezionare “cibo da uccellini”, che a Barcellona chissà perché non mi riesce di replicare uguali. Deve essere colpa della nostalgia, quella per la quotidianità condivisa gomito a gomito con i piedi sotto al tavolino, quella per la quale non bastano watsup, skype né piccini viaggiatori.

La minestra dei forti

Sono stati giorni concentrati e lenti, con un tempo misurato dalle esigenze del corpo, quel filo scontato e teso che sembra funzionare quando non lo avvertiamo ed esistere solo quando si impunta nel chiedere attenzioni.
Sono stati, e sono, gorni di passi piccoli in cerca di nuove routine, fuori dalla nostra abituale vita acrobatica tra Roma e Barcellona, ma con acrobazie diverse e spericolate avventure. Siamo tornati a passeggiare nell’inverno trentino proprio quando è rifiorito il calycanthus e a concentrare le cure su cose minute ed essenziali, quelle di sempre in fondo, mangiare, dormire, starsi accanto e insieme.

di mango e di polpo: insalata

A Roma è primavera. Alberi fioriti, fragole al mercato, sole in giardino e regno delle ortiche da arginare…  ma in bocca tutto questo comincia a voler dire desiderio di cibo fresco, di addio alle zuppe bollenti, al brodo, alla cottura lenta che fino alla settimana scorsa (almeno laggiù al nord) era il sentimento prevalente. Dunque questa robina qui sopra, che rivede radicalmente il concetto di polpo ad insalata, fa a meno delle patate e si concentra su note fresche e un tantino esotiche.

zuppa di ortica e aglietto nuovo

In queste vacanze di Pasqua abbiamo avuto a che fare con 4-5 pastiere e un uovo, uno solo, ma di dimensioni cosmiche (più grande persino di una pancia che pure sta crescendo di mattina in mattina…) e democraticamente diviso a mezzo: metà fondente, metà latte.
Inutile dire che non ci siamo trattenuti e che ora la visione detox colora il nostro universo di un verde brillante pieno di speranza…

zucca in saor (versione light)

In quell’ideale idea di mettere insieme una specie di menù della vigilia questa cosetta qui sopra cascherebbe giusta per un contorno, o forse pure per un secondo antipasto a rinforzo. Del resto la zucca compare spesso in molta della tradizione di magro della notte di Natale, in diverse regioni e in diverse forme. In Sicilia ad esempio ne esiste una versione per nulla light in cui la zucca viene fritta e poi “ripassata” con aceto e olive nere (noi ne avevamo fatta una re-interpretazione con la pasta qui), il risultato è strepitoso, ma in un pasto già suntuoso rischia di aggungere calorie proprio lì dove bisogno non ce n’è.

Dunque abbiamo optato per una sorta di saor sgrassato, vale a dire ferme cipolle uvetta pinoli e aceto, mentre abbiamo fatto a meno della frittura, del resto se la zucca si affetta sottile…

smoothie o lassi di fichi e coriandolo

Ebbene siamo rientrati. Non è un incipit originale, ma il fatto è che la rentrée pesa così bene sul mese che tra i panni da lavare, il frigorifero da ripulire, la posta fisica e quella virtuale non rimane grande margine per trovare altre parole. Dunque pazientiamo, concentrati sulla fine e sull’inzio, un po’ come a capodanno. Ed in effetti, per chi come noi non si è mai ben ripreso dalla sindrome del primo giorno di scuola, l’anno nuovo continua ad inziare inesorabilmente a settembre. Domani andiamo a comprare la cartella nuova, quaderni quadrettati e matite appuntite.
Oggi mettiamo insieme il pranzo con la cena, centellinando i pomodorini portati (via aereo!!) dalla campagna siciliana e intrugliando un po’ alchemicamente questa cremina in modalità zuppa fredda che si può pure definire lassi o pure smoothie. Serve poco o quasi niente: yogurt greco, fichi verdi, coriandolo fresco in abbondanza e un pezzetto di feta, del resto si sa al rientro meglio conservare le energie…

smoothie di bruscandoli (ovvero luppolo)

lo dico prima, non c’è niente da ridere. è che qui, con la pancia in subbuglio dell’ultimo week end, ci siamo messi a inventare cose a basso impatto, che includano verdure, minimizzino i grassi e catalizzino ogni bene. E siccome il riso in bianco lo avevamo declinato in ogni possibile variazione di grado e di natura (uffa!), ci siamo ritagliati lo spazio per una creatività dei limiti: i bruscandoli (cioè i germogli del luppolo: vedi dizionario) hanno (sembra) molte virtù tra cui quelle digestive, il kefir è probiotico e il tempo sufficientemente caldo da rendere piacevoli le zuppe fredde.
Per rendere la cosa più appetibile (anche per stomaci più pimpanti) sotto trovate due versioni, a impatto zero e a impatto 1.

dip di pollo al rafano

La ricetta è di quelle di corsa, ma proprio di corsa che ci sono ancora le valigie da chiudere, i capelli da lavare e altre due o trecento cosette da fare… ma poi, domani, Venezia e venerdì finalmente Barcellona. Così nel tentativo di inseguire il tempo tanto valeva cominciare dal frigo, cercando di mettere insieme il pranzo con la cena, o meglio in questo caso un residuo di pollo con mezza tazza di fagioli, il fondo di un barattolo di cren e altre due o tre rimasugli  a rischio estinzione prima del ritorno dalla Spagna. E con questo non si pensi a una vacanza a lunga gittata, lunedì il fotografo sarà già rientrato, io aspetterò fino a mercoledì mentre Marie resterà a presidiare il presidio. Ma considerando che più la valigia deve essere piccola più mi prende tempo è meglio ricominciare ad andare di corsa…

zuppa di zucca, yogurt e mapo

Dell’associazione zucca e agrumi stiamo declinando ogni possibile variabile, un po’ perché sperimentato un filone si tende a risalirne in profondità ogni singola vena, un po’ perché in cucina troneggiava fino a ieri un’enorme zucca costoluta che una volta aperta esigeva di essere terminata. Ci abbiamo cotto la pasta, l’abbiamo fritta in padella e arrostita in forno, ma alla fin fine sembra che la zuppa sia uno dei suoi destini più sicuri. Così con quello che c’era in casa e qualche intento dietetico è saltata fuori questa zuppa che stempera, almeno in parte, la dolcezza ma non ne altera in nulla la natura.

pinzimonio

Sì certo, l’olio d’oliva, al centro di praticamente tutto (non solo del ritratto di Alessandr’Ino), anzi talmente al centro che si fatica a metterlo a fuoco, anche perché quando è buono, quando è equilibrato e amministrato bene si sente ma non si nota, con un’eleganza da signore d’altri tempi.
Così a volerlo celebrare abbiamo pensato di togliere invece di aggiungere, e togli togli, foglia per foglia, gambo per gambo c’è rimasta l’idea del pinzimonio come festa dell’olio. A farlo bene saremmo poi un po’ in ritardo, che l’olio migliore sarebbe quello della fine dell’inverno ancora tutto verde e piccantino, ma tant’è anche ora viene bene uguale con gli ultimissimi carciofi (qui al nord), carote con il ciuffo (quelle amate da Marta), sedano in costa e foglia e tutto quello che è di stagione. Poi per essere coerenti con la sua sobria eleganza, lo abbiamo lasciato fuori dall’inquadratura, perché lui è così: il filo sottile che lega e illumina ogni cosa.

zuppa tenera di zucchine e menta bergamotta

La mia macchina fotografica è risanata. Ha viaggiato, tutta sola, ma ben impacchettata per mezza Italia e finalmente, dopo un ricovero troppo prolungato, è tornata a casa. C’era di che festeggiare, anche perché aspettandola, l’elenco virtuale dei “si potrebbe fare” si allungava vertiginoso lungo le pagine del quadernetto nero degli appunti. Ma poi, ed è sempre inevitabilmente così, tornata lei sono praticamente in partenza io e tra preparativi, ansiette, cambio degli armadi e bagagli il tempo di cucinare si è fatto stretto.
Stretto tanto da infilarci giusto una zuppetta da fare al volo e da mangiare a temperatura, né calda né fredda ma proprio così come viene, mentre si chiudono le valigie.

insalata di resti (foglie di carote, rape e rapanelli)

Sono tempi di buoni propositi: nella gestione della dieta, del tempo, della dispensa, del frigorifero, degli armadi e dei cassetti. L’anno è tutto nuovo, per quanto già bello zuppo di pioggia, dunque si pensa che si sarà più buoni, più salutisti, più sereni, che non si perderà tempo ma che si imparerà ad essere leggeri (come dice Annies: Take it easy), che si avrà più cura di se stessi, che non si dimenticheranno le multe nei cassetti, che si berrà più acqua e si riprenderà pilates. In tutto questo clima di “virtù” questa insalatina di fogliette di rapanelli, carote e rape ci stava perfetta. In primo luogo perché se in pasticceria esistono ricette per come usare i gialli delle uova (se si sono preparate le meringhe) oppure i bianchi (se si è preparata una crema pasticcera) nel caso delle verdure ci è parso geniale il libretto di Sonia Ezgulian sulle bucce, Les Èpluchures, uscito per le edizioni de L’Èpure, dove abbiamo trovato appunto questa ricetta. In secondo luogo, la faccenda risultava oltremodo dietetica, perché dopo il periodo festivo in cui alle ciance non si è badato, con apporto colarico non proprio a livelli minimi, l’insalata-riciclo puliva la bocca (e anche lo stomachino) lasciando nell’anno passato il senso di colpa per le carote e le rape usate per il brodo grasso del cenone e i rapanelli finiti nell’aperitivo con il burro salato.

charlotte di ricotta, fragole e ananas

La torretta qui sopra, in cima all’alzatina strepitosa di Licia Martelli, è un esperimento, anzi il primo esperimento di una serie che, con ogni probabilità, si declinerà in molti esercizi di stile. L’idea di partenza ci era venuta da Virginia che a sua volta si ispirava a un cuoco famoso giocando il trompe-l’oiel sofisticato a partire dalla semplicità apparente della ricotta. Strada facendo, lungo i binari della ferrovia, inseguendo anche il pensiero della ricotta infornata che in Sicilia ha crosta marrone ma cuore tenerissimo, si erano poi manifestate ipotesi di tutti i tipi, ma con un leit motiv costante: la ricotta e la sua consistenza. Infondo se Virginia l’aveva trattata come mollica di pane, perché non trasformarla anche in pan di spagna?

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