Finalmente. Finalmente, e con un senso di sollievo grande come una casa, sono finalmente riuscita a sfornare il mio pane.
In questo periodo stranissimo, nella stranissima quarantena che stiamo passando insieme, lontani ma connessi, ognuno (o quasi) ha fatto il suo pane. Partendo quasi sempre dal lievito madre, e così ho fatto anche io.
Ma mentre vedevo ovunque lieviti e pani grandi e rigogliosi che gridavano a gran voce la loro voglia di vivere io spiavo il mio barattolo, lento e fermo, timido forse. Non riuscivo nemmeno a dargli un nome, mentre ho scoperto che tutti i lieviti cresciuti in casa ne hanno uno.

Insomma al pane tocca un poco iniziarsi. Ed io ero, lo ammetto, restia. Forse il lievito lo sentiva, forse la paura (mia) e le bolle (sue) stanno in un rapporto inverso, ma insomma gli inizi non sono stati facili.
Così adesso che ho in mano il mio successo non scriverò della ricetta, perché quella, con mille preziosi consigli ,è di Laura. La trovate sul suo bellissimo blog, in una sezione tutta dedicata ai pani e ai lievitati che per me è stata una manna (video delle piegature compreso). Io ho solamente mescolato le noci con le nocciole (perché non ne avevo abbastanza) e usato farina di grano semi integrale e farina di farro nelle proporzioni della ricetta.
Ho voglia invece di scrivere delle difficoltà, di quello che mi è risultato difficile capire o provare, visto che ora mi trovo giusto sulla soglia dell’iniziazione. Non so se continuerò, o se lascerò stare ma in ogni caso mi pare un buon momento per raccontare cosa ci è successo.
- la nascita del lievito è una roba semplice ma pure complicata, finanche mistica. Metti insieme farina e acqua e aspetti che succeda qualcosa. Io ho rinunciato allo starter (cioè una base in genere dolce: miele, zucchero, frutta che innesca e aiuta la fermentazione naturale), ma forse, tornando indietro, una spinta gliela darei. Soprattutto perché il mio lievito è nato in una stagione strana: a parte la pandemia in corso era quello strano momento dell’anno in cui in casa i termosifoni sono spenti ma fa ancora freddino; quindi ho il sospetto che nei 6 giorni che ha trascorso fuori dal frigo abbia avuto freddissimo, peggio che il Fotografo…
- La farina è importante, ma tocca non essere troppo intransigenti. Proprio come le mamme all’inizio dello svezzamento ho preteso di essere super-organica! Ovviamente non solo farine bio, il meno manipolate possibile, ma anche integrali. Il lievito però ha i suoi gusti e vorrebbe mangiare a grandi bocconi farina forte, manitoba o giù di lì. Mettiamoci pure che con la difficoltà di approvigionamento del periodo gli ho cambiato spesso la dieta, è successo che ha “mangiato poco” ed è cresciuto lento. Almeno penso, ma forse era semplicemente il tempo che gli ci voleva ed io ero ad essere impaziente.
- Le pieghe mi han fatto sempre un po’ paura, ma veramente non c’è ragione. L’unico punto da tenere in conto è che non bisogna sporcarsi le mani. Le pieghe non sono mettere le mani in pasta, ma qualcosa di simile al riporto, fa tutto la spatola o il tarocco, si tratta solo di accompagnare. Son cose ovvie, mi rendo conto, ma a capirle per davvero ci ho messo il mio tempo.
- A far bene, oltre alle parole servirebbero anche due o tre oggetti da iniziati. Il cestino per la lievitazione, la cocotte in ghisa per la cottura e la lametta da barba per fare quelle bellissime incisioni sulla superficie. Io non avevo e non ho nulla, nemmeno la possibilità di uscire a comprarmi almeno il cestino come in altri momenti sicuramente avrei fatto. Il Fotografo ha la barba lunga, dunque nemmeno si rade ma sono riuscita lo stesso, usando una specie di terrina larga che ho dai tempi dell’università per far riposare l’impasto e un coltello affilato per le incisioni. Probabilmente ho infarinato troppo poco lo strofinaccio con cui ho foderato la terrina perché l’impasto, una volta rovesciato, si è un poco appiccicato. Non fate come me ma soprattutto ricordatevi di non metterlo in lavatrice direttamente!
- è importante calcolate i tempi. La ricetta di Laura è semplice, non ha tempi bibblici, ma io, colpa anche dell’insicurezza con cui muovevo ogni passo, mi son trovata a cuocerlo tra le 24.58 e l’1.32.
- Poi una volta sfornato finalmente il mio pane ho trovato anche il nome, ma non chiedetemi perchè, il mio lievito si chiama Justino.
