La citazione è di quelle notissime. Ma è pur vero che la parola stessa, timballo, fa pensare alla Sicilia, all’esagerazione suntuosa (e decadente), al pranzo domenicale e festivo come niente altro al mondo. Tavola bianca e ricamata, il servizio, i bicchieri, una lentezza esasperata dello stare a tavola e prima in cucina, e dello starci tutti, in molte generazioni accostate e in molti rami. Inauguriamo Così, in modo un po’ letterale, una nuova serie, un nuovo gioco di associazioni tra forchette e parole (come già avevamo fatto per le fiabe) Perché leggere e mangiare, oltre che cucinare (e fotografare?) sono tra le cose che più ci picciono e ci fanno felici.
La descrizione poi vale la pena di rileggerla davvero e dal principio, cioè dall’attesa e poi dalla sorpresa. Perché quel timballo troneggiante sul piatto d’argento è insieme la rassicurazione certa dell’abitudine (quella che si vuole sempre uguale come i bambini vogliono sempre la stessa fiaba), e il rinnovato stupore per un profumo e un sapore che si stratificano.
“Il principe aveva troppa esperienza per offrire a degli invitati siciliani in un paese dell’interno, un pranzo che si iniziasse con un “potage”, e infrangeva tanto più facilmente le regole dell’alta cucina in quanto ciò corrispondeva ai propri gusti. Ma le informazioni sulla barbarica usanza forestiera di servire una brodaglia come primo piatto erano giunte con troppa insistenza ai maggiorenti di Donnafugata Perché un residuo timore non palpitasse in loro all’inizio di ognuno di questi pranzi solenni. Perciò quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d’argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti persone si astennero dal manifestare una lieta sorpresa: il principe e la principessa perché se l’aspettavano, Angelica per affettazione e Concetta per mancanza di appetito. Tutti gli altri (Tancredi compreso, rincresce dirlo) manifestarono il loro sollievo in modi diversi, che andavano dai flautati grugniti estatici del notaio allo strilletto acuto di Francesco Paolo. Lo sguardo circolare minaccioso del padrone di casa troncò del resto subito queste manifestazioni indecorose. Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei babelici pasticci era degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo, (1958).
La nostra versione è semplificata (molto) e alleggerita (molto, molto) rispetto a quella che tradizionalmente ricostruisce le proporzioni di quel timballo da Gattopardo (la si trova facilmente in rete), ma prevede comunque quasi tutto: la frolla dolce, i fegatini, i piselli, il prosciutto, i maccheroni corti, il caciocavallo, ecc.. ecc.. abbiamo saltato invece la crema pasticcera, il tartufo, le polpette, la salsiccia, le uova e una decina di altre cosette…
La ricetta
Preparare la pasta frolla aggiungendo all’impasto una presa di cannella. Preparare una besciamella. Preparare dei piselli in umido con pochissima cipolla. Preparare una salsa di pomodoro. Preparare fegatini e rigaglie di pollo saltati con poco olio e mezzo bicchiere di marsala. Amalgamare in una zuppiera tutte queste preparazioni, cuocete al dente i maccheroni scolare bene e trasferire nella zuppiera, mescolare con molta cura in modo che siano bene impregnati. Foderare una tortiera (meglio ad anello) con un disco di pasta frolla facendola debordare (sarà più facile richiudere), versarci i maccheroni conditi e richiudere con un altro disco di frolla. Decorare e spennellare di uovo sbattutto, cuocere in forno medio per circa un’ora (il nostro era 20 cm di diametro per 600 g circa di maccheroni, il resto in proporzione). Per filologia
15 Comments
mmmmmmm, solo a vedere la foto viene voglia di assaporare questo meraviglioso timballo.
Complimenti per la ricetta e per la citazione!
…”bastava da solo a conferire imponenza”…
(come si intralegge)
e come una bambina vi dico: ancora!
Stupenda interpretazione!
Ho quasi le lacrime agli occhi. L’associazione letteraria qui non poteva mancare :-)
Quella tavola è un sogno.
ho letto il libro in terza media.lettura obbligata, e per questo odiata.ma la descrizione della tavola mi ha sempre affascinato…da brava pigra però mai avrei pensato di prepararlo..mai:D
che meraviglia.
una serie che adoro già.
mi associo a “le cose che ci piacciono e ci fanno felici”…
un bacio
nina
Complimenti per l’abbinamento ricercato e di spessore. Eccezionale sia la ricetta che le fotografie, complimenti !
che meraviglia! Quella delle ricette letterarie è una cosa che mi è sempre piacuta molto. Finora sul blog l’ho fatto quasi esclusivamente con le ricette tratte dai romanzi di Camilleri, ma mi riprometto di spaziare anche io di più nella letteratura, intanto mi segno questa ricetta! Silvia (Foto sempre splendide!)
Miiiii….
Sono senza fiato, complimenti! Anche per la tavola.
Adoro quel libro e questo piatto è mitico. Le foto rendono bene il messaggio, l’arte di comunicare ;-)
Complimenti, come sempre
Una sola parola: FANTASTICO !!!
E pensare che il Gattopardo neanche mi era piaciuto troppo :-)
Ecco perchè mi piacete:-) L’associazione cucina, fotografia e parole, splendido.
piesse: confermo, i pupi vogliono sempre, ma proprio sempre la stessa fiaba, dieci cento volte, per loro è confortante quanto fa impazzire chi racconta per loro:-)
Grazie mille per questo pensiero, cuciniero e letterario. E’ sempre difficile spiegare il legame che c’è tra una cultura che si esprime nella scrittura o nelle arti nobili ed una che si esprime nel piatto, e ci piace, a Noi Cavolfiori, quando le due vanno a braccetto.Brave!
…meraviglioso :)
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