Se su questo blog si scorre il chi siamo (ormai, diciamocelo, pure un tantino datato) si avrà l’impressione di una sorta di non detto. Non soltanto perché è francamente difficile parlare di sè e trovarci la misura (senza sbrodolarsi e senza inghiottire invece l’essenziale), ma anche perché la nostra specifica storia di amicizia e di cucina ha vissuto la strana avventura di costeggiarsi a lungo e di ignorarsi molto a lungo.
Ora siccome qualche giorno fa attorno a questo pollo, che c’entra pure lui, abbiamo rievocato per l’ennesima volta questa storia vale la pena di sedersi con calma, come se fossimo a tavola, e distenderne il filo dal principio.
Il principio è Siena, un’università piccola e tutta raccolta, tanto piccina e tanto raccolta da stare quasi nello spazio del Campo, la piazza a  forma di conchiglia dove si corre il Palio e dove corre e scorre tutta la vita della città. Lì proprio lì ci siamo per la prima volta non conosciute: Maite e Marie, Marie e Maite, frequentavamo lo stesso corso di francese in una classe minuscola, con una professoressa piena di fascino e di capelli scarmigliati. Leggevamo Leris e benché fossimo non più di una decina non ci siamo mai incontrate, mai parlate, mai nemmeno viste. Marie dice che la cosa va attribuita alla secchionaggine di Maite, sempre in prima fila, sempre di corsa, sempre pure un tantino sconstante… Maite sospetta che la questione abbia invece a che fare con l’amicizia stretta stretta tra Marie e il prode Alex che si bastava, che si raccoglieva in chiacchiere fitte fitte là dietro, all’ultimo banco e che non aveva nessun bisogno di guardarsi intorno.
Com’è, come non è trascorre un semestre senza una parola, senza uno sguardo. Passa l’estate e inizia l’autunno che a Parigi è velocemente inoltrato, ci ritroviamo così, senza ancora saperlo nella stessa città lontana e smisurata a tracciarla con il compasso di Siena e lì, proprio lì, succede. Nel corridoio di una grande università, ai seminari di Madame Kristeva su Proust, finalmente ci parliamo. O meglio, Marie e il prode Alex stanno continuando a parlare fitto fitto tra loro, e Maite sorpresa del ritrovare l’italiano si decide a parlare pure lei, senza perdere, c’è da dire, il suo tono un tantino scostante… Parrebbe fatta e invece, Maite e Marie continuano imperterrite ad ignorarsi: l’una secchiona e puntuale ad ogni lezione scappa poi di corsa, quando suona la campanella, dietro a un certo Frank  (ma questa è un’altra storia…), l’altra (con il prode Alex al fianco) saltella nella vie parisienne con la sua testina rossa e capita a lezione piuttosto di rado. Poi benché la città sia sterminata e i giri mai convergenti finalmente si incontrano a una festa di italiani (tutti in Erasmus…), in un appartamento grandissimo, abitato da un milanese fissato con le melanzane al funghetto e da molti amici. Maite e Marie si parlano e scoprono che hanno molte cose da dirsi, la serata finisce, e come si diceva nei romanzi la città le inghiotte. Ma almeno il numero di telefono (quello fisso del secolo scorso) lo tengono in tasca, eppure continuano a ignorarsi, ognuna impegnata con i propri amici, i propri amori, le proprie rotte dentro la città: il canal St Martin, le Bal, la guinguette pirate, persino il XVIème quartiere di “vecchiette” dove vive (appunto!) la nonna di Benoit (quello del pollo…). Maite e Marie si chiamano e si intravedono  ai seminari, ma le serate sembrano non convergere mai, o quasi…
E infine un trasloco, Maite cambia casa, Marie generosa la ospita e in quei giorni, su di un divano di pelle di cui conosco ancora l’odore, iniziamo a sfogliare insieme i primi libri di cucina di Donna Hay. Come due bambine nella luce del pomeriggio, su di un divano con i piedi a penzoloni, ci aspettiamo per girare la pagina, indugiamo sulle stesse foto, sogniamo di organizzare pic nic (sigh!), desideriamo tanto ogni cosa che sia piccola (stuzzichini minuti di zucca arrostita, olive marinate, etc) e una torta cotta in una scatola di latta. In quei giorni abbiamo pure cominciato a cucinare insieme, ma soprattutto abbiamo passato il tempo ad immaginare, ma benché immaginassimo forte non siamo arrivate a immaginare così lontano…

In tutto questo amarcord il pollo di Benoit c’entra pure lui… perché in quelle serate/nottate parigine in cui ancora ci ignoravamo, Benoit, l’amico di Maite, occupava la casa della nonna con una banda di amici ogni volta che lei si assentava. I menù più gettonati erano pericolosissime soirées vin fromage che funzionavano così: ognuno portava un formaggio (il più strano, il più prezioso che riuscisse a scovare) e una bottiglia di vino e si finiva tutto, ma proprio tutto! ma avevamo vent’anni e nessun problema con i trigliceridi, né con les petites matinées
Qualche volta si cucinava pure e questo pollo, imbottito di formaggio (ti pareva!) era il cavallo di battaglia di Benoit, non è certo leggero ed implica di dilettarsi almeno un poco di cucito, ma è un po’ speciale.

La ricetta

Ingredienti
1 pollo
400 g di formaggio fresco (per noi robiola)
burro qb
1 testa di aglio arrostito
sale e pepe

Preparate l’aglio arrostito (ricetta qui: http://lacucinadicalycanthus.com/?p=8112), ricavatene la crema e una volta fredda mescolatela alla robiola. Massaggiate il pollo con il burro ammorbidito, salete e pepate da tutti i lati quindi farcitelo con la crema di formaggio, cucite e mettete in forno. Benoit cuoceva tradizionalmente, noi invece questa volta abbiamo seguito il consiglio di Roberto Liberati (che ci ha venduto il pollo con nome e cognome) e lo abbiamo cotto a 100 °C per 4 ore.
Per servirlo: tagliare, prelevare la crema di formaggio e mescolarla con il suogo di cottura. Disporre il pollo in pezzi su un piatto da portata e la salsa a parte in una salsiera.

8 Comments

  1. Che palle [atteggiamento da scaricatore per stemperare eh] pero’, mica posso commuovermi cosi’!
    Quanto, quanto avrei voluto esserci, anche solo di lontano a sbirciarvi.
    Che Marie un po’ ragione l’ha, ammettiamolo Maite.. :D
    ps: aspettiamo seguito della saga, che il fotografo in tutto il baillame mica e’ ancora comparso (che palle 2, portate pazienza per gli apostrofi al posto degli accenti, ho la tastiera foresta)

    • hihi Reb, un po’ di ragione ce l’ha eccome la Marie, per tutto il resto… c’è ancora tempo!
      Ti abbraccio da qui a lì

    • Mah si Reb… invece è bello commuoversi… :) a me capita spesso….

  2. È incredibile come spesso ci si debba mancare tante e tante volte prima di riuscire finalmente a incontrarsi.
    Sembra quasi che il destino si diverta a ingarbugliare i fili per vedere se si è veramente bravi a dipanare la matassa, se si merita di vincere il premio.
    Leggevo di voi due e pensavo che la vostra storia in fondo la conosco.
    Certo, a latitudini diverse, in un’altra università, ma anche una delle mie amicizie più preziose è nata così, da uno sfiorarsi continuo prima di vedersi davvero e riconoscersi.
    Bello questo pizzico di voi e bello il pollo, per coraggiosi.
    PS: Anche nella mia storia parigina c’è un Benoit.
    Chissà se è lo stesso!

    • nooo!?? lo stesso Benoit? come? dove? dimmi!

      PS grazie di condividere in nostro convissuto

  3. Le tue parole mi hanno cullata dentro ad un pezzo della vostra vita.
    Il vostro incontro è un bel racconto di per sé ma tu hai il dono del racconto!
    grazie

Reply To maite Cancel Reply

Pin It