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Red velvet di Natale

La torta è famosa, anzi famosissima, di suntuoso velluto rosso e nome inglese, quel red velvet cake che è una delle glorie della pasticceria americana. Io però per molti anni ci sono passata sopra oppure accanto, un poco per pregiudizio, un poco per pigrizia.

Ma in cucina tutto prima o poi trova il suo tempo e anche le sue ragioni, così senza averne nemmeno mai assaggiato un boccone mi sono trovata a metterla in cantire nella cucina che finalmente e lentamente sto tornando ad abitare.

La ricetta che ho usato è quella di Bakestreet che è una grande affidabile maesta (se non la conoscete correte a conoscerla!) Io ho apportato cambiamenti minimi nella base della torta mentre ho fatto a modo mio per la farcitura e la decorazione.

Il risultato è strato strepitoso, con alcune piccole cose da poter rivedere in particolare sulla quantità della farcia (potrebbe essere di più tra gli strati del dolce o ci possiamo immaginare di servirla con un cucchiaio di yogurt greco come abbiamo fatto il giorno dopo a colazione?) e anche sul mistero delle reazioni chimiche tra latticello e cacao (possono davvero bastare a tingere di rosso la torta senza colorante alimentare?), oltre che sul ruolo del lievito.

Ma sono sottigliezze la sostanza è che è buonissima, per nulla complicata da fare e tanto tanto tanto scengrafica. Basta?

Per una stampo a cerniera da 20 centimetri di diametro circa (il mio era un poco meno)

420 g di farina da pasticceria (debole)
360 g di zucchero
140 g di burro
3 uova grandi (circa 190/200 g)
300 g di latticello (oppure di latte con un cucchiaino di succo di limone)
25 g di cacao in polvere
6 g di lievito in polvere
10 g di colorante alimentare rosso
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di aceto + un cucchiaino di bicarbonato

per la farcia:
250 g di ricotta (o qui in Catalunya di matò)
200 g di formaggio salmabile
100 g di skryr o di yogurt
2 cucchiai di zucchero a velo

Per prima cosa accendere il forno in modalità statico a 180°C, quindi imburrare lo stampo a cerniera spolverarlo di farina ed eliminare l’eccesso. Se non avete il latticello mescolate il latte con il limone e lasciate riposare senza mescolare.
Mescolare invece la farina con il sale, il lievito e il cacao e conservare da parte.
Lavorare il burro con lo zucchero, aggiungere le uova una per volta, quindi il colorante e la farina poco per volta alternando con il latticello. Alla fine mescolare l’aceto con il bicarbonato e versare nell’impasto, ultima vigorosa mescolata, versare nello stampo sbattere leggerrmente per far uscire le bolle d’aria e quindi in forno per circa 50/60 minuti. Una volta sfornata lasciare raffreddare completamente prima di tagliare e di farcire.

un breadcake per Swiit

Qui a Barcellona abitiamo in una piazza piccola piccola nel cuore del Barrio Gotico e deve  esserci stato necessariamente qualche tratto del destino nel fatto che viviamo proprio qui, abbarbicati al quinto piano (senza ascensore), con la vista affacciata su una porzione delle antiche mura romane della città.

come una giraffa

Lo confesso: l’ho avuta sempre (e molto, molto prima di iniziare a cucinare)  un’antipatia viscerale per tutto ciò che in cucina è (anche vagamente) figurativo . Pomodorini travestiti da funghetti, pulcini di uovo e baffi di erba cipollina mi hanno fatto sempre più paura che tenerezza. Ma ognuno, si sa, ha le sue debolezze, i suoi traumi, i suoi mai e poi mai.

cake di polenta e limone

La casa di Marie è un porto di mare. Si parla (spesso) francese, (qualche volta) inglese, (all’occasione) giapponese, e (sempre) un franco-italiano con inflessione toscana mescolato a un italiano con leggera cadenza Roma-nord.
La cucina ne risente. Il forno è sempre acceso, la dispensa colma, la terrazza ormai un appendice di vita domestica.

In questa casa all’inizio di una primavera poco primavera sono sbarcati, direttamente da Parigi, Valérie e la sua famiglia.
Ma Jean Pierre, le mani e gli occhi di illustratore, è  intollerante al glutine e ha durato fatica in una Roma gonfia di paste e carboidrati.
Marie non sapeva bene da che parte girarsi e solo il giorno della partenza ha scovato su un numero di Saveurs questo cake sglutinato e a perfetto tema italiano.

cake miracle

Carte, cartuzze, cartine, quaderni, quadernetti e taccuini, ma pure fogli sparsi, appuntati, cartonati, finanche post-it o addirittura albi… si può dire che la carta è una delle nostre manie. Regolarmente Maite ed io ci regaliamo, a vicenda, carta di ogni tipo, sempre con la stessa promessa/premessa iniziale: questa volta li useremo, questa volta ci si deve scrivere sopra! perché la vera verità è che nella maggior parte dei casi non abbiamo il coraggio di “sporcarli”, di iniziarli e così i quadernini li teniamo, li teniamo fino a quando le pagine non si sono ingiallite.
Prima di cominciare l’avventura del blog (e di avere a disposizione una traccia senza carta), trascrivevo le ricette, quelle infallibili, quelle che riescono sempre in un piccolo moleskine nero. Questa ricetta viene da quel quadernetto.

cake agrumato

Quando un ingredienti lo si ha in testa, oltre che tra le mani, e quando soprattutto si è fieri di una specie di auto-produzione a metri zero (come qualcuno ieri suggeriva…) si finisce per infilarlo dappertutto, l’ingrediente feticcio… Così, nell’impastare un po’ di corsa un piccolo cake per un tè, i kumquat dell’alberello del fotografo ci sono finiti diritti diritti, in scorza e succo (pochissimo) e in rondelle preventivamente candite (o meglio sciroppate?). Il fotografo è rimasto scettico, per lui è un dolce troppo salutista e troppo “panoso” (“ma la crema non c’è?, un po’ di burro?“) ma il profumo era dolcissimo, il sapore morbido e rassicurante. Vi pare poco?

cake con edamame wasabi e sesamo

La vita in provincia regala qualche sorpresa. A parte le produzioni metro-zero della signora Fausta, capita qualche volta cha, a ben girare i supermercati, si scoprano fenomeni che hanno dell’incredibile e che la capitale (ehm…) ignora anche nei mega-iper-centri commerciali dove qualche volta ci succede di pascolare con tutto lo stupore (e a volte il terrore) degli occhi di campagna. Se poi questi stessi supermercati di provincia sono battuti in avanscoperta dal fiuto infallibile di comida, si finisce per sentirsi se non proprio al centro del mondo (è ancora troppo fresca la ricerca vana del wasabi), perlomeno in un mondo dove tutto è ancora possibile. Questa lunga premessa per dire che abbiamo scovato alcune buste di edamame surgelati nei banchi frigo di una catena di supermercati trentini ed è stato subito accaparramento, tanto che credo che ormai non se ne trovino più. Una volta messi al sicuro nel forziere del congelatore è venuto pure il momeno di consumarli e così, dopo averli mangiati un po’ di volte nature, alla fine è arrivato il tempo di ricamarci un po’ sopra inseguendo proprio la matassina del colore verde: dall’edamame al wasabi. Poi siccome non pareva il caso di alterare un sapore così orientale con contaminazioni troppo marcatamente fusion (tradotto: il parmigiano non ci stava) abbiamo aggiunto un paio di cucchiai di semi di sesamo.

cake di zucca, olive e aceto balsamico

Da qualche tempo c’è qualcuno che la sera (quattro sere su sette), si becca un certo corso con la dicitura “alimentare” nel titolo… si torna a casa stanchi, soprattutto quando piove e tira vento, con le foglie che starnazzano nelle pozzanghere e la sciarpa tirata fin sopra le orecchie. Ma ieri sera la lezione era di degustazione (di_vino!), dunque cuore tenuto al caldo e stanchezza rinviata un po’ più in là. Anche perché, giusto per non perdere la strada del ritorno, si mangiava pure qualcosina e allora ci è scappato fuori questo cake (e un altro suo fratello…) ispirato a una ricetta siciliana, ma declinato un po’ a metà, né dolce, né salato, né pane, né cake…. Perché la degustazione era bendata e dunque serviva essere prudenti!

cake di asparagi

Non abbiamo avuto la fortuna di Alex di averli visti dal vivo venire fuori dalla terra (e per altro i suoi erano pregiatamente bianchi per non aver visto la luce, mentre i nostri sono prosaicamente verdi…) ma per gli asparagi abbiamo una passione vera. Quando poi al mercato del sabato mattina Giustino-il-contadino si prodiga in una scorbutica lezione sulla stagionalità assoluta e arriva persino a caldeggiare (con tono di sfida!) che il modo migliore di mangiarli (questa settimana soltanto e naturalmente soltanto i suoi!) sia crudi, sappiamo già che non possiamo non comprarli (del resto ci pensa lui a metterceli a forza nel borsone senza possibilità alcuna di opporsi). Tra le signore in coda davanti al banchetto serpeggia scetticismo e incredulità dubbiosa, persino un po’ di panico quando la manona di Giustino ne spezza uno e lo porge nudo e crudo all’assaggio, naturalmente all’unico uomo presente, che sentenzia: “uhm, sanno di fave”. Inutile dire che sì, li abbiamo usato crudi e quando la macchina si deciderà a sputarli fuori racconteremo il come e il cosa (sempre che le fotografie passino le maglie della censura stretta del fotografo), però per intanto eccone una versione a cake giocata su quella intuizione del sapore (sanno di fave…) e sulla necessità di gestirne la quantita: le manone di Giustino hanno una misura tutta loro a cui è inutile replicare, per fortuna che sono buonissimi.

cake di feta, semi di girasole e fiori di finocchio

La primavera occheggia e noi proviamo a occhieggiare a lei, così tiriamo fuori i semini del girasole e i fiori del finocchio per un cake che all’origine avrebbe dovuto avere tutt’altro aspetto… Sulla faccenda delle attese deluse, però, o come in questo caso delle muffin già spese (prima di averle sfornate…) intendiamo tornare prestissimo e in dettagliato dettaglio per la raccolta geniale delle cuoche dell’altro mondo…
In questo caso in effetti, a parte la questione della forma, il risutato è stato del tutto piacevole, buono e rassicurante per quanto forse un po’ troppo classico… va bene per il pic-nicque (è troppo presto?), va bene per il brunch della domenica, va bene da portare avvolto nel tovagliolo al primo coraggioso aperitivo in terrazza, insomma va bene… anche se noi un po’ nostalgia delle muffin che avrebbero dovuto essere e non sono state, ce l’abbiamo!  

pandorini salati alla trota salmonata e all’aneto

Eccoci!  ci siamo quasi, è iniziato il conto (o la conta?) delle vigilie e delle antivigilie… addobbi, alberi, presepi, capponi, tortellini, pandori, panettoni, panforti e struffolini… ma siccome il pandoro c’è chi, qui, praticamente lo detesta, con i meravigliosi stampini ipertattili a forma di pandorino della Silikomart l’idea perversa è stata di farne una cosa salata, con pure la pretesa di concepirla iper-natalizia.
L’impasto è ispirato ai cake salati che praticano spesso il salmone e l’aneto assieme, solo che invece del pescione grande ci sono finite più minute trote salmonate che si trovano (almeno in Trentino) facilmente, sono più economiche, ma molto saporite e sospettiamo più genuine della media dei salmoni bustati che abbondano alle feste comandate.
La panna, le bacche rosse e (ancora) i ciuffetti freschi di aneto hanno fatto il resto, ma per gli auguri ci vediamo domani!

cake al limone e ai due sesami

Questa ricetta è tratta dal bellissimo libro “Une cuisine grande comme un jardin” [cioè: Una cucina grande come un giardino, che è già un ottimo augurio…] testi di Alain Serre e disegni di Martin Jarrie. L’editore è Rue du Monde, una casa editrice per bambini, ma questo è un libro per tutte le età, bellissime illustrazioni, piccoli proverbi provenienti da tutto il mondo.
Sulla pagina dedicata al limone per esempio il proverbio è albanese: L’un mange le citron et c’est l’autre qui l’a planté, vale a dire che chi mangia il limone non è necessariamente colui che l’ha piantato, un po’ come noi che abbiamo “raccolto” questo profumatissimo cake dall’ “albero-libresco” di Alain e Martin che non ci stanchiamo di sfogliare.

mini cake aringa e broccolo romanesco

Il broccolo romanesco è un frattale, una metonimia matematica in cui ogni parte sta per il tutto. Ci abbiamo quindi un po’ scherzato sopra, insistendo sul gioco delle dimensioni e delle prospettive, sul molto piccolo (e questo ci capita spesso, ma sono così carine le miniature…) fino a infornare questi bocconcini pure un po’ natalizi. Se fuori prevale il broccolo-frattale-alberellato, dentro ci abbiamo associato due diversi sapori: uno forte, l’aringa, e uno dolce, la patata americana.

I due gusti si compensano, si mescolano, si adorano e mi sa che ci torneremo sopra presto….

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