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Crackers di farina di ceci e grano saraceno

Quando dico che in questa cucina si cucina di tutto finisco per raccontare di noi. Non è semplicemente che siamo golosi e onnivori (anzi questa parte la riservo praticamente solo a me stessa) è che, come spesso succede, in cucina incrociamo sensibilità, esigenze e naturalmente gusti molto diversi.

Anna fondamentalmente tollera la mia cucina: al menjador (la mensa) della sua scuola tutto è molto (!) più buono di quello che le propongo a casa, soprattutto in campi che mi apparterebbero se non altro per ragioni geografiche (!!)… ma niente, la salsa rossa di scuola è infinitamente migliore della mia (!!!) Ingoio l’umiliazione e rimango bravina con le torte di mele, il guacamole, gli gnocchi e il brodo, cose che per altro sta imparando a fare da sola, dunque tra poco finirò in cantina.

Il Fotografo, invece, da qualche anno ha imboccato una strada di salutismo estremo e come tutte le strade che ha imboccato nella vita la segue senza deviazioni. Non è sempre facile: niente carne rossa, niente latticini, pochissimi carboidrati, niente zucchero, niente sale… che resta? verdure (manco tutte), legumi (opportunamente trattati), riso nerone, pollo e pesce azzurro, poco altro. Ve lo dico se per caso lo voleste invitare a cena…

Marie, lei che vivrebbe a champagne e Compté, è da troppo esiliata a Roma. Ci facciamo lunge telefonate che spesso in questi mesi di confinamento, semi-confinamento e quarantene ruotano intorno alla fatica di mettere insieme il pranzo con la cena. Che ci inventiamo oggi, domani e passato domani?

Digiunare ancora non abbiamo digiunato mai. Il congelatore è comunque ancora pieno di esperimenti tra libri in corso e ménage familiare. Qualche volta, lo ammetto, c’è un poco di confusione ma in generale ognuno di noi trova a tavola il suo pane.

Tutta questa lunga premessa per spiegare da dove nascono questi crackers di farina di ceci e grano saraceno che hanno messo tutti d’accordo.
Non sono di cartone, se il Fotografo li può mangiare credo che li possa mangiare chiunque, si fanno facili e vanno bene per pranzo, colazione e cena, ma soprattutto per l’aperitivo (momento qui sempre molto amato ma in cui il Fotografo rischia di sbranare il tavolo dopo aver finito carote, rapanelli e lupini).

La ricetta

140 g di farina di ceci
110 g di farina di grano saraceno (o anche una parte di farro integrale)
50 ml di olio extravergine di oliva
2 cucchiaini di acidulato di umeboshi
110 ml (circa) di acqua calda
origano o altre spezie

Mescolate le farine e integratele perfettamente, unite l’olio extravergine di oliva, l’acidulato di umeboshi, l’origano e l’acqua calda poco per volta. Dovrete regolare la quantità un poco ad occhio a seconda del tipo di farina che usate. Quando il composto sarà omogeneo, liscio e perfettamente lavorabile formate una palla e conservatela coperta per 20 minuti fuori dal frigo.
Stendete l’impasto sottile, ricavate delle forme che vi piacciano ma regolari e infornate in forno già caldo a 160°C per circa 10 minuti, sorvegliando bene che non scuriscano.

Sfogliette di lievito madre

Va bene, lo ammettiamo, qui abbiamo un poco paura di mettere le mani in pasta. Come madri apprensive e iperprotettive accampiamo scuse: è ancora piccolo, non è pronto, aspettiamo ancora un po’…

Insomma il lievito madre deve ancora essere battezzato. Non ha un nome e aspetta nel frigo. Non lo abbiamo ancora messo al lavoro, mentre là fuori è tutto un fiorire di pani meravigliosamente cresciuti ed alveolati, tondi e perfettissimi che fanno crescere l’ansia da prestazione.

Ma siccome il lievio mangiare deve mangiare, ovvero va rinfrescato, qui continuiamo ad avere esubuero che fa male dover buttare. Allora ci si ingegna, o meglio si ingegna Marie (lei che ha in casa il pane perfetto di Luca ogni settimana…) e dopo avermi messo sulla strada delle lingue di suocera di Manuela, ha trovato una cosa ancora più magica. Non serve aggiungere farina, non serve niente in effetti.

Lei ha detto che l’ha trovata sulla pagina Instagram di un cuoco giapponese che vive a Parigi, ma io ovviamente ho scordato il nome e qualunque referenza. Però incredula ho preso la carta da forno e la marisa e ci ho provato…

La ricetta

è buffa da dire. Prendete l’esubero di lievito madre, quello che buttereste via prima di rinfrescare quel che vi serve, stendetelo su una teglia da forno foderata da carta antiaderente e cercate di fare uno strato sottilissimo, un velo. Cospargete di sale con parsimonia perché essendo fino risulterà facilmente salato, aggiungete erbette o polveri a piacere (noi abbiamo usato le erbette della mamma di Angela) e infornate in forno già caldo per 5-10 minuti, finché non si accartoccia.

Il risultato è uno schianto: croccante, leggerissimo, sembra qualcosa tra il pane carasau e la pasta fillo. E non avrete buttato niente.

biscottini salati di farina di riso al pepe rosa

L’idea era quella di provare una variabile dei biscotti al kamut, e infatti abbiamo riutilizzato la stessa forma a puzzle (che sia l’inizio di una serie?) ma è risultato subito evidente che la farina di riso non dà le stesse soddisfazioni. È più difficile da manipolare perché tende a sfaldarsi, non si può tirare fina fina e una volta cotta risulta piuttosto secca e un po’ “sabbiosetta sotto i denti” (il commento sinestesico è del fotografo). Però: la farina di riso è molto digeribile, il pepe rosa ci sta bene, sono buoni con i formaggi molli da spalmare e anche con le zuppette fredde. Insomma due su tre li abbiamo promossi.

Ingredienti:
300 g di farina di riso ( si trova in quasi tutti i supermercati)
150 ml circa di acqua tiepida
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
la scorza grattugiata di mezzo limone (meglio verde che è più profumato)
un cucchiaio raso di bacche di pepe rosa

Fare una fontana con la farina, aggiungere nel centro l’olio extravergine, un pizzico di sale e cominciare a impastare. Aggiungere man mano l’acqua finché la farina la assorbe. La pasta tenderà a compattarsi ma si sbriciolerà facilmente.
Stendere la sfoglia un po’ più alta di mezzo centimetro su un piano ben infarinato e ritagliare con le formine. L’operazione di trasferimento sulla teglia (rivestita di carta da forno) può non essere semplicissima.
Cuocere in formo già caldo ma a media temperatura. I biscotti resteranno piuttosto chiari ma si asciugheranno: vanno quindi girati dopo circa una decina di minuti.

Nota: come i loro “cugini” di kamut si conservano bene in barattolo ben chiuso, ma sono molto più duri: attenzione ai denti!

puzzle di kamut

La farina di kamut è una meraviglia! Non è manipolata genetricamente, è ricchissima di contenuto proteico e soprattutto non si appiccica: la si può tirare, stendere, allungare come le plastiline magiche che manipolavamo da piccine, ma a differenza di quelle si mangia ed è buona, leggera leggera …
Dentro ci si può mettere un po’ quel che si vuole, in questa versione a puzzle abbiamo impastato semi di sesamo bianchi e neri, così per giocare un po’.

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