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I melograni di Natale

Di questo Natale tanto particolare credo che quello che più mi resterà in bocca è l’incertezza, o detto in un’altra maniera il sapore diverso delle cose di sempre. Quest’anno mi sembra tutto più necessario: fare l’albero, impastare i biscotti, sentire gli amici, azzeccare la scelta di un libro, il colore di un paio di guanti, la ricetta del dolce della Vigilia, anche e proprio perché saremo in pochi.

Deve essere per questo che almeno quest’anno riusciamo ad andare al passo con il calendario: abbiamo (già?!) fatto l’albero, e anche un presepe stortignaccolo ma molto creativo con alberi di settembrini gialli e chicchi di melograno (fidatevi sulla parola…).

E quest’anno che siamo giusti sul calendario e sentiamo tutto un poco di più siamo felici della collaborazione che abbiamo stretto con BonVent, un piccolo mondo a cui siamo molto vicini sia fisicamente che nella sensibilità.

Per loro abbiamo immaginato, apparecchiato e fotografato una tavola mediterranea, semplice e poetica.

Ve la mostreremo poco a poco cominciando da questi melograni che ci sembrano l’augurio migliore per questo anno così faticoso che finisce e per quello nuovo che vogliamo tutti diverso.

Mettete del melograno sulla vostra tavola e se volete cominciate da qui:


Mousse di robiola e melograno al vin santo:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=720

Patè di fegatini al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=713

Tagliolini con castagne, caprino e melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=7028

Pilaf di frumento intero con melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=716

Faraona al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=688

Ciambellone al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=12119

Bibita al melograno:
https://lacucinadicalycanthus.com/?p=1954

Ciambellone al melograno

Quand l’ho conosciuto il Fotografo aveva un bellissimo albero di melograno nel giardino della sua casa a Roma. Era un alberello testardo e molto indipendente, che era cresciuto nonostante le poche cure e la distarzione del Fotografo.
Poi certi muratori maneschi e altre piaghe assortite hanno auto la meglio su quell’albero cocciuto. Ma a me capita spesso di pensare a lui, soprattutto in questa che ricomincia ad essere la sua stagione.

Un albero di melograno mi sembra una grande fortuna, con quel colore che da solo è una festa.

Se avete la sorte di averne uno accanto sentitetvi fortunati, se invece come noi i melograni li comprate, festeggiteli ugualmente. Se lo meritano.

La ricetta


5 uova
250 g di farina
250 g di zucchero
50 ml di succo di melograno
25 ml di olio extravergine di oliva
8 g di lievito
1 pizzico di sale

+ il succo per bagnare
(in genere con due melograni maturi e grossi se ne ha più che abbastanza per l’impasto e per la bagna)

Montare le chiare con il sale, quando incominciano a montare incorporare la metà dello zucchero e continuare a montare fino ad avere una neve ferma.
A parte battere i tuorli con il resto dello zucchero e i liquidi (freddi!), una volta ben omogeneo aggiungere al composto la farina setacciata con il lievito. Mescolare perfettamente e incorporare con delicatezza gli albumi montati. Versare in uno stampo da ciambellone ben imburrato, battere leggermente per eliminare le bolle di aria e cuocere a forno basso 160-170°c per circa 50 minuti/1 ora.
Sformate il ciambellone e quando sarà tiepido bagnatelo con il succo di un altro melograno.

tagliolini con castagne, caprino e melograno

In attesa di attacarci tutti al tram sabato prossimo (!), ogni tanto ci ricordiamo pure di cucinare e allora dalla lista lungherrima di cose da fare-provare-sperimentare spuntiamo questa versione rafforzata di pasta all’uovo che è da una vita e un pezzettino in attesa. La ricetta è di Rinaldo Dalsasso, mitologico chef trentino che per molti anni ha gestito il ristorante Al Borgo proprio a Rovereto, dove oggi, ahimè, c’è una profumeria. La quantità di uova è da urlo, ma passato lo sconcerto iniziale la resa è straordinariamente elastica.

pomgrenade dressing

Ce l’abbiamo fatta. Il vestito è ancora pieno di spille e di imbastiture, mancano ancora pezzi di ricette qua e là, le categorie sono ancora un tantino instabili, ma insomma ci siamo dentro ormai, e soprattutto finalmente.
Ancora tutti presi dalla novità e dalla metafora, ci siamo trovati a giocare con le parole e a prender loro le misure, in almeno due lingue e qualche dialetto. Così, considerando che la parola inglese dressing rimanda proprio al vestire, per non parlare della dressing-room o della deriva francese per cui le dressing è proprio l’armuar dove si mettono i vestiti, in questi giorni lunghi di cambio di stagione, di spostamento di dati, di rovistamento di vecchi post dal fondo dei cassetti questo dressing al melograno c’è sembrato l’ideale.
A questo punto ricordare che dressing in inglese vuol dire pure condimento è probabilmente superfluo, più utile può essere consigliare di far attenzione alle trasposizioni dirette tra lingua e lingua se non si vuol finire come quel compagno di erasmus che fresco di studi anglofoni ma digiuno di di francese si offriva di esser lui a dresser la salade [trd. + o- ammaestrare l’insalata].

bibita al melograno

Messa li fra le bottiglie della riserva personale ha un aspetto a metà tra il velenoso e il frivolo. Roba da ragazzi, qualcuno direbbe perfino da femmina! roba da merende sull’erba, roba primaverile, roba smielatamente romantica. Ma chissà poi perché tocca propria a me scriverne. Ho già un po’ di prurito. Immaginiamo Maigret che batte la manona sul bancone di zinco e chiede all’oste, Oggi una bibita al melograno. Assurdo! qui va immaginata tutta un’altra situazione, è roba da poeta arabo-amdaluso, da fanciulla seduta sull’erba nei giardini dell’alcázar circondata dagli aranci in fiore, roba tremedamente romantica, profumo inebriante e freschezza di primavera. blee, per fortuna che domani sono in spagna e posso rifarmi con ben altri nettari (pursempre andalusi) e fortuna, soprattutto, che le cuoche sono partite per un seminario di pastiera napoletana a napoli e che quindi, per una volta, non avranno da ridire.

verrine di melograno

Quando, leggendo sul retro delle confezioni di gelatina in fogli che alcuni tipi di frutta (kiwi e ananas i più citati) non sono gelatificabili, più di una volta un brivido di incertezza ha corso velocemente lungo i derrapage di dubbi che sempre accompagnano l’esercizio (il nostro…) delle proporzioni. Così in genere mentre ci si strugge per capire se per 2,5 dl ci vogliano 4 g in 2 fogli (perché se x:Y=Z:w o forse viceversa…), la questione frutta gelatificabile sì o no, finisce per essere accantonata. Poi però in un pomeriggio domenicale in cui ci si trovano tra le mani due melograni così rossi di soddisfazione da non poter essere ignorati, si partoriscono progetti sperimentali che strada facendo si trasformano da soli. L’idea era semplice, qualcosa come budino, pannacotta, bavarese o gelatina di melograno con una reminiscenza pure di charlotte, almeno nel decoro. Procede tutto facilmente (a parte il rimpianto per non avere la centrifuga) solo che poi in fase di solidificazione il succo di melograno scende giù, abbandona la panna e si corica sul fondo del bicchierino gelatificandosi a modo suo. Ci vorrebbe Dario Bressanini e la sua scienza in cucina per spiegare il fenomeno, noi lo abbiamo osservato un po’ passivi, ma sorpresi che il dolce si fosse fatto da solo e per di più molto bene. Coprendo la superficie di chicchi, infatti, si affondava il cucchiaino in una specie di melograno farcito in tre strati di consistenze e sapori: granuloso-fresco-acidulo, pannoso-cremoso-dolce, aspringno-vellutato-morbido…. Inutile dire che a volerlo fare a posta non sarebbe mai uscito!

dolcetti al melograno

Per finire questa settimana dedicata a questo bellissimo frutto ci voleva anche qualche cosa di dolce e ci è venuto in mente di riarrangiare una nostra ricetta di quelle di base per provare a farne dei bottoncini con i chicchi ed il succo del melograno. Forse è più semplice mettere solo i chicchi perché il succo non si emulsiona molto bene con gli ingredienti anche se certo dà sapore, ma vedete un po’ voi. In questi giorni di freddo improvviso, si possono accompagnare al tè delle cinque, preferibilmente un buon tè nero profumato, pensiamo in particolare al Thé des amants o al Blue of London entrambi del Palais des Thés a cui siamo molto affezionati, ma forse qui ci vorrebbe la consulenza speciale di Acilia che di tè si intende come nessuna.
Questo post è anche il nostro contributo imperfetto (non abbiamo rispettato tutte le regole!) e molto di corsa alla raccolta di twostella… perché eravamo partiti che volevamo fare un sacco di cose (muffins, scones, dolce, salato, magari anche un cheese cake, o i blinis…), poi alla fine ci mancava sempre il tempo, ma un salutino, almeno quello, volevamo farlo sperando di essere “perdonati” anche grazie alla fine della nostra storia delle tre melograne che si ascolta bene con il tè delle cinque.

mousse di robiola e vin santo al melograno

 “… Un figlio di Re mangiava a tavola. Tagliando la ricotta si ferì un dito e una goccia di sangue andò sulla ricotta. Disse a sua madre: -Mammà, vorrei una donna bianca come il latte e rossa come il sangue. …

Ci sono alcuni formaggi, e tra questi la robiola, che sono perfetti per le prove, per le sperimentazioni, perfino per gli azzardi qualche volta. In questo caso la faccenda è proprio semplice semplice e per nulla azzardata, anzi una sorta di fiabesca non ricetta in cui però gli ingredienti si sposano perfettamente tra di loro, come il sangue e la ricotta e come il principe e la fanciulla … che tanto si sa che nelle fiabe è così che va a a finire, l’interessante è vedere come. Anche nel caso di questo mousse l’interessante è proprio il come: come l’agro del melograno si stemperi nella cremosità dolce della robiola e come quella goccia di vin santo suggelli il matrimonio. Il tutto può essere spalmato sul pane tostato, mangiato prima o dopo, in aperitivo o in conclusione, preferibilmente maneggiando cucchiaini e non coltelli…

faraona al melograno

 

Eravamo partiti dall’idea di una tacchinella al melograno, sulla scia di un libro dedicato alla cucina delle osterie venete di cui varrà la pena di parlare in dettaglio. Ma consulato il macellaio è saltato fuori che le tacchinelle si trovano, almeno qui, soltanto a Natale e che quindi era decisamente troppo presto per ambire ad averne una in pentola. Sorvolando sui misteri di una bestia allevata (supponiamo) tutto l’anno, ma destinata a esser cucinata solo a Natale, siamo atterrati su una faraona e nonostante apprezzabili differenze di stazza presunta e di qualità della carne non abbiamo desistito dal nostro progetto iniziale: marsala e melograno.   

Pilaf di frumento intero con melograno (Hadighì pilaf)

 

Questa ricetta è in realtà una recensione: viene direttamente, così com’è, dallo splendido libro di cucina armena di Verijin Manoukian (Cucina armena, OEMME edizioni, Milano 1987), libro che ricevuto in dono prezioso da un’ospite armena, è sfogliato da anni a casa di Maite con un sentimento a due facce. Da una parte infatti la cucina armena ha un profumo esotico e fascinoso, che sa di Oriente, del Piccolo e Grande Arat, di una cultura millenaria compressa, perseguitata e dispersa, tenacemente ancorata alla necessità di conservarsi e di esistere, dall’altra questa stessa cucina ha un sapore universale, in cui si ritrovano un influsso mediterraneo, radici medio-orientali, un uso di stampi, forni (il tonir) e metodi di cottura antichissimi.
Questa ricetta, che è anche in copertina al libro stesso, volevamo provarla da sempre. Vi si ritrova pienamente tutto questo sentimento a due facce, o a due mani: in una mano il grano che ci ricorda la radice di ogni uomo al suo pane e nell’altra il rosso melograno che ci porta l’ingegnosa originalità di ogni cultura nel condire questo suo pane.

paté di fegatini al melograno

L’idea di avere a che fare con un paté può apparire, considerata a freddo, piuttosto agghiacciante. Troppo complicato, troppo laborioso, troppo difficile, troppo sofisticato per farlo a casa, per farlo da soli, per farlo per la prima volta… sì perché in realtà il nodo è tutto lì: la prima volta…
Se il paté si è fatto almeno una volta si scopre che in realtà è facile e ri-pieno di soddisfazione, a patto, come spesso succede in cucina, di rispettare alcune regole, di quelle basilari, un po’ come le buone maniere e i segreti delle nonne: scegliere bene e pulire meglio i fegatini, non cuocerli troppo evitando di farli seccare, utilizzare eccellenti basi alcoliche per fiammeggiare e infine avere la pazienza di ripassare tutto al setaccio dopo aver frullato.
Tutta questa fatica (relativa) per avere il piacere di accompagnare il paté con il melograno perché meglio, e soprattutto più facilmente che il principe e la fanciulla della fiaba i due sapori si sposano magnificamente: l’aspro del frutto e il dolce del fegato, un sapore breve e uno lungo.

L’amore delle tre melagrane

 

“Un figlio di Re mangiava a tavola. Tagliando la ricotta si ferì un dito e una goccia di sangue andò sulla ricotta. Disse a sua madre: -Mammà, vorrei una donna bianca come il latte e rossa come il sangue.
– Eh, figlio mio, chi è bianca non è rossa e chi è rossa non è bianca. Ma cerca pure se trovi.
Il figlio si mise in cammino. Cammina, cammina, incontrò una donna: – Giovanotto, dove vai?
– E sì, lo dirò proprio a te che sei donna!
Cammina cammina, incontrò un vecchierello. -Giovanotto, dove vai?
– A te sì che lo dirò, zi’ vecchio, che ne saprai certo più di me. Cerco una donna bianca come il latte e rossa come il sangue.
E il vecchierello: -Figlio mio, chi è bianca non è rossa e chi è rossa non è bianca. Però, tieni queste tre melagrane. Aprile e vedi cosa ne viene fuori. Ma fallo solo vicino alla fontana”.

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