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come una giraffa

Lo confesso: l’ho avuta sempre (e molto, molto prima di iniziare a cucinare)  un’antipatia viscerale per tutto ciò che in cucina è (anche vagamente) figurativo . Pomodorini travestiti da funghetti, pulcini di uovo e baffi di erba cipollina mi hanno fatto sempre più paura che tenerezza. Ma ognuno, si sa, ha le sue debolezze, i suoi traumi, i suoi mai e poi mai.

in gita in laguna


In transito da un aereoporto pieno di ritardi due calicanti su tre hanno molto tempo (per una volta) di riguardare le foto (tante…) della giornata trascorsa in laguna sul bragozzo di Cristina. Venezia vista da lì aveva un aspetto insapettato anche nel ripercorrere luoghi conosciutissimi condensati di ricordi: affacciati sull’arsenale, sotto il ponte dei 3 archi, davanti alla Marisa e persino in pellegrinaggio all’ospedale dove un certo numero di anni fa nasceva (proprio lì e proprio in quel giorno di giugno) una calycanta su tre.
Poi il bragozzo colorato di Cristina ha preso le vie d’acqua e di terra: barene, bricole, dame, cavane, cormorani e cavalieri d’Italia, bilance, botti e ghedi e isole piccole, piccolissime. in cui siamo sbarcati in completa solitudine: Sant’Andrea, La cura, San Giacomo in palù, Mazzorbo con Santa Caterina.

Nè c’è da pensare che ci sia mancato conforto, dalla colazione con zaletti e caffè al vetro siamo transitati da uno spritz alleggerito fino al saor di sarde e pure di melanzane, insomma si stava tanto bene tra acqua e tera, tera e acqua..

ciambellone in baratto-lo

La ricette si scambiano, si tramandano, si raccontano, si raccolgono in taccuini o in altri luoghi, un po’ come in un barattolo. Questa ricetta arriva da uno scambio. Novella e la zia Chiaretta, dopo aver assaggiato il nostro 500 esimo post ci hanno “regalato” il loro ciambellone che abbiamo deciso di mettere in barattolo (nel senso letterale di cuocercelo proprio dentro) per traspostarlo meglio in qualche futuro cestino da pic nic, fosse mai che perdiamo l’abitudine…

pic nic in bianco a Villa Pamphili

Di bianco è mancata solo la neve (per fortuna!), ma per il resto davvero abbiamo avuto tutto. Meringhe, cocco, gonne romatiche, mamme bellissime, cavolfiore e poi lenzuoli, lassi allo zenzero, mozzarelle, finocchi, cipolle, riso, orzo, bandierine, ombrellini e cappellini, cassette dipinte, labné direttamente da Beirut, pane azimo in volo tra i rami e una torta di compleanno da sogno, vino bianco, birra bianca, limonata e bulles, gazpacho di mandorle, rafano, panna cotta e persino un’insalata di trippa e uno studio per ritratti all’aperto.
Il fotografo si è dato un gran da fare e giura che questa volta non ha praticamente mangiato, le foto in effetti sono tante e, diciamoglielo una volta tanto, ci piacciono assai. Rendono l’idea della giornata sotto le querce generose di ombra di Villa Pamphili e probabilmente anche il grazie che sentiamo di dire a tutti quelli (tanti) che sono venuti sintonizzandosi sul tono bianco.

caviar di asparagi

Il fatto di aver battezzato questa cremina di asparagi “caviar” è il sintomo di un’affezione un tantino passatista, nel senso che ci rimanda a tempi francesi e a un caviar più consueto, quello di aubergines.
Così se spesso nei nostri (Maite & Marie) dialoghi di cucina, lo strofinaccio diventa torchon, ogni crema semplice di verdure e limone finisce per rimandare a quel caviar. Del resto siamo sempre un po’ alla ricerca di salse e salsette da spalmare, perché si trasportano bene per i pic nic (!) e poi, si sa, le salse sono divertenti, conviviali, fanno un po’ festa.
In questa versione verde asparago ogni parentela cromatica con il caviale è andata persa definitivamente, e certamente siamo lontani dal tema in bianco del pic nic di domenica prossima, ma in compenso è un modo fresco e dignitosissimo di onorare gli ultimi asparagi di stagione.

i cavallucci di giampiero

Visto che questa sembra essere la settimana delle ricette (dolci per di più!) regalate dagli amici, questi cavallucci, quelli di Giampiero, ci dovevano proprio stare. Sì certo la stagione non è proprio proprio quella abituale per proporli, ma volendo guardarla da un altro punto di vista sono perfetti per il pic nic di domenica, si trasportano, sono a tema (il bianco)  e pure un tantino originali. Come dire che potrebbero non sfigurare con uova, pop corn, birra bianca, meringhe e magari vincere pure…

pizzàs à l’oignon

L’idea l’avevamo sbirciata sull’ultimo numero di Saveur in uno di quei pomeriggi tardi (e rari) in cui si condividono un pezzetto di divano e un angoletto di pigrizia.
Tra il dire e il fare è trascorso giusto (ed esattamente) lo spazio compreso tra il divano e il frigorifero, ma tra l’andata e il ritorno c’è strato il tempo di misurare qualche variazione.
Cipolle di tropea fresche (perché quelle avevamo), pasta sfoglia al posto della classica (sempre perché quella avevamo) e basilico. La caramellatura delle cipolle, burro e zucchero, l’abbiamo invece lasciata al suo posto. Il risultato è stato floreale e felice, con quella buona dose di ambiguità tra Francia e Italie che piace tanto a Marie.

preparate i cestini e il vestito bianco

No, no nessuno si sposa. Solo avremmo deciso che per il pic nic romano del 12 giugno andremmo tutti in bianco, vestiti e vettovagliati. 
Vestiti di bianco, come gelatai, festeggieremo su un prato (in via di definizione) il secondo compleanno (più un mese e qualche giorno) di questa Cucina, e siccome qualche volta ci piace il tono su tono, insistiamo sul bianco anche nel cibo.
Dunque apriamo gli armadi e i ricettai, e speriamo sul sole di giugno. I dettagli via mail e in arrivo presto anche specifiche su una piccola sorpresa (il primo contest calycanto?) intorno al pic nic di bianco vestito.     

mini muffin allo zabaione

Questo nome lungo, vagamente esotico e anche un tantino fighetto (diciamocelo…) nasconde in verità una ricetta di quelle tradizionali che più tradizionali non si può, cuore del Chianti e di una tradizione fatta non tanto e non solo di semplicità, ma più propriamente di buon senso.  Lo zabaione, di per sè, è già un esercizio di sapere popolare che massimizza le uova e lo zucchero. Poi in periodo di Pasqua, quando le uova sono tante e i dolci imprescindibili, lo zabaione finisce in forno, così si addensa e si caramella, diventa un bon bon e si conserva più a lungo. Più sensato di così?

insalata di patate, bottarga e cilantro

A furia di brucare fiori (di tarassaco, di acacia, ecc ecc) c’era chi temeva di trasformarsi davvero in capretta e così, per correre ai ripari, è sembrato il caso di mettere in pentola qualcosa di appena un po’ più sostanzioso, senza esagerare si intende. Patate lesse, al dente e corpose, una grattugiata di bottarga, cilantro (ovvero coriandolo fresco) come se piovesse e qualche chicco appena di uvetta.

Se poi il tempo si decidesse a disegnare primavera anche fuori dalla finestra smetteremmo di evocarla con tanta insistita convinzione nei piatti fioriti…

gazpacho n°9. gazpacho di zucchine e menta al martini

In nessun caso ci si privi di un buon gazpacho in una colazione sul’erba! Ma neanche in una medenda, né in un pranzo, ma neppure se non siamo sull’erba. Insomma mai. Il gazpacho è una di quelle cose che noi vogliamo sempre. E il bello è che lo vogliamo ogni volta diverso. Adesso lasciamo stare che per postulato un gazpacho non può mai essere due volte uguale a se stesso, neanche ad una maruja siviglina che lo prepara tutte le estati da una vita… e che vogliamo proprio cambiare ingredienti: il gazpacho lo facciamo con tutto! E a chi tocca? Eh, al pooovero fotografo! Fila a fare il gazpacho prima di andare a letto che così domani è più buono! Insomma il fotografo è un po’ come il panettiere o come un chimico folle chiuso in laboratorio di notte a intrugliare pozioni.
Questo ha avuto una storia lunga, fatta di aggiustamenti progressivi e limature ponderate, lo dimostra la lista, lunga, degli ingredienti. Beh, non sempre la semplicità è la giusta via! Questo complesso gazpacho mi sembra proprio riuscito.

pic nic calycanto in un interno

Questa volta le parole le vorremmo lasciare un po’ da parte se non per dire un grande grazie a tutti quanti per essere venuti con i loro cestini, per aver accettato di lasciare le scarpe dietro la porta e di passeggiare a piedi nudi non nel parco (ahimè, tempo infamone…) ma sul parquet tra le tovaglie e le coperte.
Le foto qui sotto danno un assaggio (a dire il vero piccolo) del tempo, del prima e del durante, dei bambini avvitati su e giù per la scala, dell’ortica sospesa, delle zucchine volanti, delle meline secche della Fausta e di quelle un po’ più pesanti (sempre della Fausta), della torta di brie (poteva mancare?), del cake alle olive (anche lui poteva non esserci?).
Restano fuori fuoco le parole, le peonie, la frangipane di Comida, le quiche di Zucchero d’uva, le caramelle in orbita, il tabulé freschissimo di Azabel, le lasagnette di Ilaria e Luca, la torta di tagliatelle di Cat e Bea (quante volte avete spiegato le origini mantovane?), il packaging da sindrome di Stendhal delle torte di Micaela, la quantità sconsiderata di architetti presenti, l’accento delizioso e minuto di Sara, i formaggi da urlo e di capra della signora Scottini (ma di questo ne riparliamo), la dolcezza di Giuditta e Damiano, la ragazza con l’orecchino e la citazione di Marat, l’entusiasmo un po’ sorpreso di Cris, le castraure di Lucilla, la timidezza sbarazzina di Roberta, gli occhi-ali da gatta di Stefania, l’ironia fisica di Marco, le scarpe dietro la porta prima a due a due poi proprio a mucchi, e un miliardo ma proprio un miliardo di altre cose… quindi un po’ di pazienza, quel che non si vede si deve immaginare, del resto anche i fotografi devono, qualche volta, pur mangiare…

pinzimonio

Sì certo, l’olio d’oliva, al centro di praticamente tutto (non solo del ritratto di Alessandr’Ino), anzi talmente al centro che si fatica a metterlo a fuoco, anche perché quando è buono, quando è equilibrato e amministrato bene si sente ma non si nota, con un’eleganza da signore d’altri tempi.
Così a volerlo celebrare abbiamo pensato di togliere invece di aggiungere, e togli togli, foglia per foglia, gambo per gambo c’è rimasta l’idea del pinzimonio come festa dell’olio. A farlo bene saremmo poi un po’ in ritardo, che l’olio migliore sarebbe quello della fine dell’inverno ancora tutto verde e piccantino, ma tant’è anche ora viene bene uguale con gli ultimissimi carciofi (qui al nord), carote con il ciuffo (quelle amate da Marta), sedano in costa e foglia e tutto quello che è di stagione. Poi per essere coerenti con la sua sobria eleganza, lo abbiamo lasciato fuori dall’inquadratura, perché lui è così: il filo sottile che lega e illumina ogni cosa.

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