Ci sono matrimoni che nascono nel frigo. In questo caso una forma di ricotta salata siciliana transitata indenne da un minuzioso controllo bagaglio-a-mano ha incontrato friggitelli “napoletani” trasmigrati stranamente a nord fino al mercato del martedì della signora Fausta. Insomma il matrimonio si doveva proprio fare, era destino. Insieme ci abbiamo messo spaghetti e pepe nero, facile e felice.
“pancakes” di poppole
Delle poppole avevamo già parlato (poco più sotto), ma la bellezza dei papaveri anche quando devono ancora fiorire è che si trovano ovunque, a patto di saperli riconoscere. Così domenica mattina in un mercato inaspettatamente scoperto (e aperto) in piazza Santa Croce a Firenze una signora ne aveva un cesto (di poppole o a dire meglio di papaverina) tra i radicchi selvatici e i cardi, un po’ come la signora Fausta un po’ più a nord dove prevalgono ancora le verze e il cavolame.
Nella casa disabitata di Firenze, con poco margine per l’inventiva, ne abbiamo ricavato frittelline semplicissime, piatte un po’ come dei pancakes e buonissime, mangiate assieme a formagetti biologici (solo pecora e capra) comprati nello stesso mercatino, a pane invece, di domenica avanzata, un po’ si latitava…
“calamari” con “poppole” e zucca
Siccome probabilmente c’è bisogno di qualche spiegazione cominciamo con il dire che i calamari in questo caso non sono quelli con i tentacoli ma un tipo di pasta, corta, ruvida, porosa, trafilata al bronzo tipica di Gragnano.
Più complicata ma forse più romantica è la questione delle poppole che questo sabato la signora Fausta ha riportato al mercato della pizza delle Erbe. Ma che sono le poppole? Sono erbette, foglie, quelle che in italiano (o comunque in molti dialetti ma non in quello trentino) sembra si chiamino paparina, e che cos’è la paparina? la foglia del papavero, quello rosso che cresce nei campi, nei fossi e lungo molti chilometri della linea ferroviaria italiana da maggio a settembre.
Di papaveri (intesi come fiori) naturalmente in giro ancora non ce n’è, men che meno in Trentino, ma è proprio adesso che bisogna cercare le foglie per papparesele perché come segnala Luigi Ballerini nel suo Erbe da mangiare la raccolta “va fatta, preferibilmente, da febbraio a fine aprile, molto prima che il gambo si allunghi e fiorisca”.
Il fatto di associare la zucca alle verdure a foglia poi, oltre ad essere un suggerimento del numero di ottobre di Sale e pepe (la pasta in questione era però spinaci, zucca e limone) ci pareva fosse un modo di far stringere le mani alle stagioni, la zucca sta per finire i papaveri per germogliare…
strangolapreti alle foglie di cavolo (di torbole)
Probabilmente a questo punto, dopo i mercati di Barcellona, quelli di Firenze e di Roma, Osvaldo il macellaio, la pescivendola dai guanti azzurri, la signora Fausta e i venditori esotici di piazza Vittorio, lo si sarà capito: nutriamo una certa passione (smisurata!) per i mercati. Ed infatti anche quella di oggi è una ricetta (e una storia) sullo sfondo del mercato… non più a Firenze, non più a Sant’Ambrogio ma un po’ più a nord nella piazza delle Erbe (quella stessa della signora Fausta) che già di per sè ha un nome che è tutto un programma.
In piazza delle Erbe viene una volta la settimana Giustino-il-contadino. Il suo banco è sempre affollato, lui è sempre burbero, le chiacchiere e le battute (spesso taglienti) sempre a fior di labbra nonostante (o forse per quello) il freddo sia ancora in Trentino piuttosto pungente.
Giustino-il-contadino non vende semplicemente frutta e verdura, ma (ti) vende la frutta e la verdura che lui decide tu debba comprare, più o meno nella quantità che lui decide (ti) serva. I margini di trattativa sono esigui e dipendono fondamentalmente dall’estro del momento.
Dunque il giovane padre con il numerino prima del nostro (Giustino ha istituito i numeri per evitare risse tra i clienti, lui solo infatti ha il dritto di “maltrattarli”) “doveva” comprare i piccoli cavoli di Torbole, la questione girava intorno al numero e Giustino-il-contadino per dare peso all’imperativo morale spiegava che le foglie (metà del cavolo in effetti) non vanno buttate (e sprecate), ma cotte a parte per farne strangolapreti… il giovane padre replicava che lui gli strangolapreti non li aveva mai fatti in vita sua, Giustino-il-contadino era scandalizzato a morte:
– “Come non li hai mai fatti?”
il giovane padre provava a replicare:
– “Ma io sono di Pisa…”
la logica però era implacabile:
– “E a Pisa preti non ce n’è?”
Inutile dire che il giovane padre ha comprato i cavoli di Torbole. Noi pure. Poi con la ricetta (molto) abbozzata di Giustino-il-contadino (che cominciava sempre e solo dalla fine) e l’aiuto fondamentale della nostra amica Sara li abbiamo fatti e mentre li facevamo ci siamo detti che in fondo questa ricetta, dopo tutto il lungo pensare, era, nella sua semplicità impastata di quotidiano, tra quelle a minor impatto inquinante e a maggior risparmio energetico tra quelle (a volte fantasiose) che avevamo valutato.
Certo non è pura e cruda come l’avremmo sognata per poterci…
ma è semplice, costa poco, utilizza gli avanzi e gli scarti, esige prodotti locali, vanta una spesa fatta a piedi sotto casa e recupera tradizioni locali.
carotine speziate
Le carote!
… arancioni, colorate, divertenti, è una di quelle verdure che si trova sempre. Qui le abbiamo declinate in una versione semplice e veloce, che volendo si può fare tutto l’anno. L’estate un po’ come una zuppetta dissetante, l’inverno come piccolo aperitivo dietetico. In questo periodo si ha voglia si, di mangiare leggeri (tra i buoni propostiti non proprio dimenticati c’è lo spettro della dieta… ), ma ciò non esclude l’organizzare cenette leggere per gli amici.
cannoli di broccoli e caprino
Da bambine i cannoli alla crema sono una tappa obbligata della passione per i dolcetti. Sempre e solo quelli, ostinate per dei mesi (e qualcuna, più testarda o più lenta, per anni) a non volerne provare altri… poi come i gusti del succo di frutta all’improvviso si passa dalla pera alla pesca e non c’è verso di schiodarsi da lì.
I cannolini alla crema avevano in più la magia di sembrare dita giganti di fate grassocce e la tentazione di infilarci i ditini dopo aver succhiato la crema gialla era quasi irresistibile…
Qualche bambina cresciutella non ha perduto quel gusto proibito, anche se i cannoli questa volta sono salati e i gusci di pasta brisée e non più sfoglia. Per non essere da meno un’altra manina di fillette rossetta ha deciso di inanellarsi il dito di un brocollo-gioiellino…
mini cake aringa e broccolo romanesco
Il broccolo romanesco è un frattale, una metonimia matematica in cui ogni parte sta per il tutto. Ci abbiamo quindi un po’ scherzato sopra, insistendo sul gioco delle dimensioni e delle prospettive, sul molto piccolo (e questo ci capita spesso, ma sono così carine le miniature…) fino a infornare questi bocconcini pure un po’ natalizi. Se fuori prevale il broccolo-frattale-alberellato, dentro ci abbiamo associato due diversi sapori: uno forte, l’aringa, e uno dolce, la patata americana.
I due gusti si compensano, si mescolano, si adorano e mi sa che ci torneremo sopra presto….
pesto di cavolo fiolaro
La storia è sempre un po’ la stessa: una mattina andando al mercato abbiamo incontrato questo meraviglioso cavolo tutto verde e tutto foglie, non avendolo mai visto la seduzione è stata immediata e folgorante, potevamo resistergli?
Questa volta però la signora Fausta ce l’ha proprio dovuto scrivere come si chiamava perché il nome non riusciva proprio a entrare in testa, chissà perché.
F-i-o-l-a-r-o dunque e il nome deriverebbe dalla quantità di “fioi” (=figli, nel senso di giovani gemme) che si trovano lungo il fusto di questo cavolo veneto, tipico del vicentino. La signora Fausta, che ha cresciuto il nostro un po’ più a nord, ci ha tenuto ad informarci che di gusto è simile al cavolo nero, ma un po’ più delicato… a quel punto era chiaro cosa farne, essendo adepte di un pesto inventato per caso da Maite a Firenze, proprio a base di cavolo nero.
Variazioni poche rispetto alla versione originale con il cavolo toscano e uguale soddisfazione, soltanto per compiacere un certo gusto alla miniatura di certe affezionate lettrici di questo blog (!), le trofiette le abbiamo messe in una zuppiera minima riuscendo persino a utilizzare finalmente (!) anche le mini-salsiere… e pensare che il fotografo le disdegnava (!), incredibile no juliette?
crostatine di spinaci alla catalana
A fare bene si dovrebbe dire spinaci all’ampurdanesa, secondo Sergi della libreria “know food” di Barcellona che ci ha raccontato, e regalato, la ricetta. Ma per noi Sergi è soprattutto Barcellona e ancor di più il microcosmo cosmopolita e brulicante di Gracia, quindi in uno sforzo metaforico-metonimico abbiamo tirato dritto e sintetizzato in “spinaci alla catalana”.
Curiosi di tradurre in cibo la sua ricetta detta in parole abbiamo seguito le istruzioni alla lettera, di nostro ci abbiamo aggiunto semplicemente la declinazione a crostatina, con tanto di gratella sottile ma senza formaggio, senza uovo… solo spinaci, uvetta, pinoli e sapienza catalana!
frittelle dolci di zucca-spina
Quando Myrna ha visto sul tavolo della cucina del fotografo questa zucca spinosa nel suo italiano pieno di labiali ma perfettissimo ha spiegato sorpresa che quella era una verdura filippina, una cosa di casa sua. Filippina dunque, ma pure siciliana… perché Maite a sua volta si ricordava di certe frittelle dolci mangiate qualche volta dalla nonna, buonissime ma soprattutto fascinose perché ricavate da qualche cosa che più che un alimento pareva un animale preistorico.
Chiamata la nonna, ricavata la ricetta! altra faccenda però capire come sbucciare questa zucca-dinosauro tanto spinosa da lasciarci le penne e le dita, ed il fotografo ha finito per infilarsi i guantoni da neve. Myrna e la nonna avrebbero riso a crepapelle ma lui è terribilmente freddoloso oltre che assolutamente impavido…
Tartine Tatin con rape e miele
Per le tartes tatin abbiamo una vera venerazione. Che sia il piacere infantile di voler fare le cose al contrario, che sia la tenacia convinta con cui ci ostiniamo a credere che la prima tarte tatin in assoluto sia stata davvero il frutto di un errore, ma insomma ci piacciono e ci piace tentarle con quel fremito di paura… piccolo, piccolo certo, ma inalienabile… Si sformerà?
Questa qui poi si presentava ardita e seducente, letta molti anni fa su un numero di Marie Claire Idées, rivista alla quale Maite tributa un culto insensato senza per questo essere mai riuscita a bricoler nulla che non fosse culinario.
L’abbiamo messa in cantiere con le rape (les navets, più o meno) della signora Fausta modificando di poco la ricetta: formato mini e semi di anice per contrastare il dolce delle rape e del miele e soprattutto pasta brisée al posto della sfoglia.
quiche tarassaco e trota salmonata
Il tarassaco ha sorpreso tutti. La signora Fausta che l’ha trovato nel campo di questa stagione e l’ha portato felice al mercato, noi che presi dall’entusiasmo ne abbiamo comprato mezzo chilo e poi a casa, pulendolo, ci siamo un po’ pentiti, e Truffaut (il gatto) che non riuscendo a capire cosa fosse si è messo ad annusarlo.
Pulito e lessato, il tarassaco è diventato una quiche con un gusto particolare e un fondo amarognolo inconfondibile che la trota salmonata (affumicata) ditraeva appena appena, tanto che il gatto non si è accorto di niente…
pasta con la borragine
“Borago officinalis (vedi dizionario) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Borraginaceae. Originaria del vicino Oriente, fu introdotta in Spagna e di lì si diffuse copiosamente in tutta l’area mediterranea.”
Le notizie sulla borragine tratte dal bellissimo libro di Cristina Bay e Gottardo Bonacini, Il giardiniere goloso (Ponte alle grazie, Milano 2008) hanno la capacità di restituire a questa piantina delicata e romantica, piena di fiorellini azzurro-violetti, tutto un sapore evocativo che la colloca nella storia, quella araba, quella romana e poi medievale… Scopriamo così che la Borragine è nota come “la pianta che allontana la malinconia”, che ha proprietà diaforetiche (cioè fa sudare) e che proprio da questa caratteristica deriverebbe il suo nome arabo (abù’araq) poi diventato borraginem nel latino medievale.
Nel vederla al mercato ancora in questa stagione (privilegi della montagna!) veniva quasi un po’ di nostalgia anticipata, immaginando che questa sia l’ultima, che bisognerà aspettare maggio… ed allora, complice la signora che l’ha raccolta nel suo orto, portata al mercato e persino elargito consigli su come “onorarla” al meglio… ci abbiamo fatto la pasta!
frittelle di sedano rapa
Il sedano rapa è ingiustamente misconosciuto.
Talmente mi-sconosciuto che Il fotografo, dopo aver dichiarato di non averne mai sentito parlare, è rimasto basito anche di fronte alla fotografia che ne provava l’esistenza… ed in effetti, a dire la verità, questa zocca nodosa che chiamano anche sedano di Verona ha qualcosa di extraterrestre.
Ma se si vince la diffidenza iniziale si scopre che è una verdura delicata e duttile, con una consistenza tutta particolare, un sapore un po’ dolce ma non privo di carattere.
Con i primi della stagione, teneri teneri, abbiamo fatto frittelle, ritagliando con un tagliapasta una forma regolare nelle fette prima sbollentate…
Pimientos de Padrón
Capita che nella vita certe lezioni sia necessario ripassarle ed è stato così che un certo architetto, spesso citato in queste pagine, si è trovato quasi ai confini del vecchio mondo (e certamente fuori dal proprio mondo partenopeo) a ripassare una certa lezione, di cucina naturalmente… si trattava in quel primo corso di friggitelli, mentre nel cuore della Galizia proprio vicino alla cittadina da cui prendono il nome si è trattato di Padron, intesi come pimientos, ovvero peperoncini verdi, piccoli, graziosissimi, famosissimi in tutta la Spagna.